Grane nel Governo

Più tasse per tutti: il governo Meloni balla sulla manovra, Giorgetti fa esplodere la maggioranza

Salvini e Tajani tentano di smentire le parole del ministro dell’Economia, Meloni si irrita ma i numeri parlano chiaro: per rientrare nei parametri europei i tagli al bilancio non bastano

Politica - di David Romoli

5 Ottobre 2024 alle 08:00

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Leghista, anzi numero due della Lega, e ministro dell’Economia, cioè a conti fatti numero due anche nel governo. Eppure, se Giancarlo Giorgetti fosse il ministro dell’Economia di un governo dell’altra sponda le reazioni unanimi e corali dei suoi compagni di partito, di maggioranza e di governo non potrebbero essere più ostili.

Ad aprire il fuoco, subito dopo l’intervista nella quale Giorgetti aveva detto ad alta voce ciò che tutti sapevano ma di cui tutti preferivano tacere, era stato il suo sottosegretario con la tessera leghista in tasca, Federico Freni. Il capo, Salvini, è arrivato quasi a ruota: “Nessun aumento di tasse o accise. Non è questo il governo che aumenterà le tasse”. Per una volta lui e l’eterno rivale Tajani, leader di Fi, la pensano esattamente allo stesso modo: “Siamo contrarissimi a nuove tasse e fino a che ci saremo noi non ci saranno”. Tajani – come letteralmente tutti – se la cava con la “cattiva interpretazione di alcune parole dette da Giorgetti”. Non che l’intervista del ministro a Bloomberg, diffusa a mercati aperti – e il particolare ha irritato particolarmente nonché comprensibilmente Giorgia Meloni – si presti a molti fraintendimenti. C’è una sola possibilità, certo decisiva: quando il ministro dice che lo sforzo dovrà ricadere su tutti, “non solo sugli individui ma anche sulle aziende grandi, medie e piccole” si può argomentare che gli individui, cioè i singoli contribuenti, quello sforzo già lo fanno. Un po’ tirata per i capelli, ma passi.

Sul resto però il rischio di equivoco è pari a zero. In sintesi il ministro ha detto che il percorso per rimettere in sesto il bilancio sarà nei prossimi anni difficile e doloroso. E che quello sforzo immane, a norma di art. 53 della Costituzione, dovrà ricadere soprattutto su chi ha realizzato maggiori profitti e ricavi. Possono essere tasse o può essere un contributo eccezionale (anche se trattandosi di una traiettoria che proseguirà per tutti i 7 anni previsti per il pieno rientro nei parametri europei l’eccezione rischia di doversi trasformare in regola). Sempre di una forma di tassazione si tratta. La rumorosa protesta di Salvini e Tajani evita di soffermarsi sulla necessità di trovare quei fondi, imposta non tanto dalla prossima manovra quanto dalla procedura d’infrazione europea e dall’intero percorso indicato dal Piano strutturale di bilancio. Troppi tagli sono impossibili: la Sanità è già in ginocchio, nuove mazzate sulle pensioni renderebbero Giorgia Meloni una nuova Elsa Fornero e gli elettori proprio non gradirebbero, il Pubblico impiego non è sforbiciabile. Senza tagli restano solo nuove entrate.

Con la maggioranza trasformatasi in un plotone d’esecuzione, Giorgetti ha trovato ieri un alleato, unico ma potente. Emanuele Orsini, il nuovo presidente di Confindustria. Dopo un incontro con il ministro Orsini si è detto “molto soddisfatto”, ha sottolineato l’intesa piena sulla necessità di nuovi investimenti per le industrie e si è detto pronto ad accettare “alcuni sacrifici”: “Siamo disposti a ripensare parte delle Tax Expenditures”. Gli sgravi fiscali in varie forme valgono 120 miliardi. Un taglio anche parziale sarebbe qualcosa in più di una boccata d’ossigeno e il “sacrificio” cementerebbe quell’alleanza tra industriali e governo a cui mira la premier ma che vuole anche Confindustria. Per gli investimenti, certo, ma anche per altri obiettivi altrettanto importanti per le aziende: la revisione al ribasso del Green Deal, il ritorno al nucleare di ultima generazione.

Ma l’eventuale e tutto da verificare e concordare taglio delle Tax Expenditures non basterebbe. Il contributo più o meno eccezionale a cui ha alluso Giorgetti dovrà esserci e non potrà che essere in qualche misura progressivo, a carico cioè non solo delle banche ma di tutte le aziende che hanno realizzato negli ultimi anni profitti e ricavi molto elevati. È probabile che la premier sia davvero irritata per le modalità scelte da Giorgetti: un annuncio a borse aperte e privo di sottigliezze (o ipocrisie) diplomatiche. Ma nella sostanza Meloni è certamente consapevole delle imperiose esigenze dettate dalla realtà dei fatti e dei conti e del resto in questi due anni ha sempre condiviso senza alcuna distinzione la linea austera quando non di rigore adottata dal Mef. Ma le modalità dell’eventuale contributo andranno trattate sia con le categorie direttamente interessate sia con una maggioranza che è ostile a qualsiasi cosa odori anche alla lontana di fisco. È su questo che il Mef sta già lavorando, soprattutto per quanto riguarda le banche, e forse qualcosa in più Giorgetti, ieri trincerato nel silenzio, dirà nel corso dell’audizione parlamentare sulla manovra di martedì prossimo.

5 Ottobre 2024

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