L'ex presidente della Camera
Come fermare Netanyahu e la guerra, parla Laura Boldrini: “Stop armi ad Israele”
«#StopCrimesInPalestine è l’appello lanciato per impedire che continuino i crimini a Gaza e in Cisgiordania. Riconoscere lo stato di Palestina è fondamentale per la sicurezza sia di Israele che dei palestinesi»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Laura Boldrini, già Presidente della Camera, parlamentare Dem e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo. Il Medio Oriente è in fiamme. Gaza, la Cisgiordania, il Libano. In attesa della rappresaglia israeliana in Iran. Una guerra regionale che rischia di innescare un conflitto mondiale. Ma il mondo sta a guardare.
Fino ad ora abbiamo assistito ad appelli, inviti alla moderazione, inviti alla tutela dei civili rivolti dai leader mondiali a Netanyahu e al suo governo. È sotto gli occhi di tutti che non hanno funzionato e non funzionano. Il premier israeliano continua con la sua strategia senza che nulla possa scalfirlo. E la sua strategia è chiara: ridisegnare la geopolitica dell’intero Medio Oriente con un “nuovo ordine”, non a caso il nome dell’invasione del Libano, in cui non c’è spazio per i palestinesi e, men che meno, per lo stato di Palestina. Una strategia che comporta decine di migliaia di morti civili, 42mila solo a Gaza, ma siamo già a migliaia anche in Libano la distruzione dell’intera Striscia di cui l’85% è ridotto in cenere, l’intensificarsi dell’occupazione illegale della Cisgiordania ad opera dei coloni violenti supportati e affiancati dall’esercito israeliano, la violazione della sovranità nazionale di altri paesi come il Libano, ma anche la Siria, dov’è stata colpita l’ambasciata iraniana, e dell’Iran stesso dov’è stato ucciso il capo di Hamas, Haniyeh proprio mentre si stava trattando per una tregua. Naturalmente, dopo la morte di Haniyeh, la trattativa si è arenata. Perché è evidente: se uccidi il negoziatore, uccidi il negoziato. Stiamo assistendo ad azioni che, a mio avviso, sono del tutto assimilabili ad atti terroristici: le esplosioni di cercapersone e walkie-talkie contemporaneamente in Libano e in Siria, l’attacco mirato per uccidere Nasrallah, il leader di Hezbollah, sempre in Libano. E mentre Netanyahu incendia il Medio Oriente, i leader mondiali guardano le fiamme divampare senza correre ai ripari.
L’Europa arma l’Ucraina in quanto paese aggredito che difende la sua sovranità statuale dall’aggressione russa. Ma anche il Libano è uno Stato sovrano invaso da un altro Stato confinante, Israele, col sostegno o il silenzio dell’Europa. Siamo al doppio standard?
A mio avviso sì, siamo davanti a un doppio standard che milioni di persone nel mondo non sono più disposte a tollerare. Se la sovranità territoriale è un principio da difendere in Ucraina, invasa dalla Russia, lo deve essere anche quando ad essere invaso è il Libano, ad essere colpita è la Siria o l’Iran e quando ad essere occupati illegalmente sono i territori della Cisgiordania che le risoluzioni Onu attribuiscono ai palestinesi. Se l’Italia e l’Europa non condanneranno queste azioni compiute da Netanyahu e dal suo governo come ha fatto con Putin, se non difenderà, in buona sostanza, la legalità internazionale, perderà credibilità agli occhi del mondo e non avrà più alcuna autorevolezza. Anche per questo, insieme al prof. Massimo Amato, storico ed economista, e al giornalista Gianni Giovannetti, abbiamo lanciato l’appello #StopCrimesInPalestine, fermiamo i crimini in Palestina, rivolto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e che su Change.org ha raggiunto 30mila firme solo nella prima settimana dal lancio.
Cosa chiedete?
Con questo appello, che abbiamo già inviato sia a Meloni sia a Von der Leyen, chiediamo che si mettano in atto iniziative concrete per fermare Netanyahu, anche alla luce dell’escalation in Libano. A nostro avviso è necessario fermare la vendita di armi a Israele che le usa contro i civili, mettere le sanzioni a Netanyahu e ai suoi ministri e sospendere l’accordo di Associazione tra Ue e Israele che si basa proprio sul rispetto dei diritti umani, gli stessi che soprattutto nell’ultimo anno il governo israeliano ha regolarmente calpestato a Gaza, in Cisgiordania e ora in Libano. Alcune interpretazioni strumentali e in malafede leggono queste posizioni come un appoggio ad Hamas ed Hezbollah. Niente di più falso. Chiedere di fermare Netanyahu significa chiedere e, anzi, pretendere che prevalga il diritto internazionale sulla legge del più forte. Quelle regole condivise che ci siamo dati dopo le barbarie della Seconda Guerra Mondiale ci hanno garantito la convivenza per quasi 80 anni: lasciare che vengano calpestate senza fare niente è una responsabilità gravissima che la comunità internazionale si assume. Vuol dire farci ripiombare nella legge della giungla dove a prevalere è solo il più forte e non c’è spazio per i diritti umani e la pace.
Israele evoca sempre il diritto di difesa per legittimare ciò che sta compiendo a Gaza e ora in Libano. Ma gli oltre 40mila morti gazawi, decine di migliaia donne e bambini, sono “danni collaterali” di una giusta guerra al terrorismo?
Lo ripeto per l’ennesima volta: il 7 ottobre 2023 si è consumato un attacco terroristico abominevole contro civili indifesi che ballavano e si divertivano, contro donne, bambini, anziani inermi. Una barbarie proseguita con il sequestro di circa 200 ostaggi, buona parte dei quali ancora nelle mani di Hamas e altri, purtroppo, rimasti uccisi nel corso dei mesi. Ostaggi le cui sorti stanno a cuore a tutte e tutti noi. Ed è un dato di fatto che solo pochissimi di loro sono stati liberati durante azioni militari dell’Idf nella Striscia, la maggior parte di coloro che sono tornati a casa, lo hanno potuto fare durante l’unica tregua, quella alla fine di novembre del 2023. In quei giorni Hamas liberò più di cento ostaggi. Questo dimostra che non è continuando a distruggere Gaza che si libereranno gli altri. Anzi. Nonostante questa evidenza, Netanyahu continua a bombardare indiscriminatamente la Striscia compiendo un inaccettabile massacro del popolo palestinese che da 12 mesi continua a morire sotto le bombe, per la fame, per le malattie. Non sono danni collaterali: sono la ragione per cui la Corte internazionale di giustizia ritiene che l’accusa di atti genocidiari mossa dal Sudafrica contro Israele possa avere un fondamento. Non si sconfigge il terrorismo con le bombe, né quello nazionale né quello internazionale. Dovremmo averlo ormai imparato: lo abbiamo visto, ad esempio, con la guerra seguita al drammatico attentato alle Torri Gemelle. I terroristi si perseguono, si catturano e si processano nei tribunali nazionali e internazionali. Queste sono le regole che abbiamo scelto di darci dal 1948 in poi. Le uniche in grado di garantire la pace.
Riconoscere lo Stato di Palestina, se non ora, quando?
A sentire il governo, quando lo vorrà Israele. E questo dopo che la Knesset (il parlamento israeliano) ha votato che mai sarà riconosciuto lo Stato di Palestina. È evidente che aspettare Tel Aviv è un modo per lavarsene le mani, non assumersi responsabilità e non urtare l’amico Bibi. Invece, come in Parlamento abbiamo chiesto più volte, lo Stato di Palestina va riconosciuto immediatamente perché il presupposto senza il quale non ci può essere alcuna pace e nessuna sicurezza né per gli israeliani né per i palestinesi. La dimostrazione di questo è proprio quello che è accaduto il 7 ottobre dell’anno scorso. E non è vero, come sostengono alcuni, che dare legittimità allo Stato di Palestina equivale a fare un regalo ad Hamas. È esattamente il contrario: Hamas nasce e prolifera su un sentimento di rabbia e frustrazione che viene dall’essere un popolo senza stato, rinchiuso in una enorme gabbia come Gaza e costantemente vessato e perseguitato nei territori della Cisgiordania. L’Italia deve seguire l’esempio della Spagna, della Norvegia e dell’Irlanda che hanno riconosciuto lo Stato di Palestina nei mesi scorsi. Noi continueremo a chiederlo, nonostante il muro di gomma del governo.
Cosa significa oggi per lei essere veri “amici d’Israele”?
Significa dire chiaramente che Netanyahu e il suo governo di ultradestra, con ministri dichiaratamente fascisti, sono un problema per Israele e una minaccia per la sua sicurezza. C’è una recrudescenza di sentimenti antisemiti mai del tutto estirpati in Europa, ed è una cosa gravissima a cui opporsi fermamente. Ma sono state autorevoli voci della comunità ebraica internazionale a dire che è proprio la politica scellerata e sanguinaria di Netanyahu ad alimentare questi fenomeni gravi e pericolosi. Cito Edith Bruck che, certo, non può essere tacciata di antisemitismo. Secondo la scrittrice, sopravvissuta alla Shoah, Netanyahu «è il responsabile di una reazione enorme, ingiusta, così inappropriata da aver provocato uno tsunami contro gli ebrei, attizzando il fuoco di un antisemitismo che non aveva bisogno di prove per alzare alte le sue fiamme». O ancora lo storico israeliano Ilan Pappé che in una recente intervista ha dichiarato che «Israele non sarà mai al sicuro finché non permetterà ai palestinesi di vivere liberi».
Un tempo il core business della politica estera italiana era il Mediterraneo. Ora?
Paradossalmente lo è ancora, ma con un’ottica completamente diversa rispetto a prima e del tutto deleteria. L’unica lente con cui il governo Meloni guarda al Mediterraneo è quella della guerra senza confini ai migranti. Per condurre questa guerra, sono disposti a tutto: a fare accordi con i più feroci autocrati dei paesi nordafricani, dal presidente tunisino Kaïs Saïed, rieletto domenica scorsa con il 91% dei voti ma con un’affluenza di appena il 28%, all’egiziano al-Sisi, passando per Haftar, a impedire che le navi delle Ong salvino le persone che rischiano di annegare – e purtroppo annegano – fino deportare migranti in centri appositamente costruiti in Albania la cui legittimità è, quanto meno, dubbia. Per il resto non c’è altro. La totale assenza dell’Italia dalla crisi in Medio Oriente ne è la prova. Non un’iniziativa, non una presa di posizione netta. Uno schiaffo alla lunga tradizione politica e diplomatica dell’Italia che, una volta, aveva un ruolo centrale e ora è del tutto inesistente.