Intervista all'economista
Acemoglu Nobel all’economia, Emiliano Brancaccio: “Era antimarxista, ma si è redento”
«L’economista premiato non è convinto, come ha dimostrato Piketty, che i ricchi diventano sempre più ricchi, ma di fronte alle evidenze ha ammesso d’aver torto»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
L’accademia svedese delle scienze ha attribuito il premio Nobel per l’economia 2024 a Daron Acemoglu, Simon Johnson and James A. Robinson per l’analisi “dei modi in cui le istituzioni si formano e influenzano la prosperità”. La stella del terzetto è certamente Acemoglu, professore al Mit di Boston, già vincitore della John Bates Clark medal e tra gli economisti più citati in accademia. Acemoglu è anche famoso per una sua celebre battaglia “anti-marxista”, che lo ha portato a contestare il metodo marxiano di ricerca delle “leggi di tendenza” del capitalismo. Ne discutiamo con l’economista Emiliano Brancaccio, tra i principali studiosi italiani delle famigerate “leggi” marxiane, che nel 2021 è stato protagonista di un vivace dibattito in tema proprio con Acemoglu (ora riportato nel libro Democrazia sotto assedio, edito da Piemme).
Professor Brancaccio, chi è Daron Acenoglu e perché ha vinto il Nobel per l’economia?
È un economista piuttosto ortodosso, che tuttavia ha una particolarità. Se guardiamo al suo metodo di indagine, è quello solito degli economisti mainstream: lo studio della società come se fosse composta da individui egoisti e separati tra loro, che puntano a massimizzare la loro felicità sotto il vincolo delle risorse di cui dispongono. La novità di Acemoglu e dei suoi coautori è che utilizzano questa rigida ipotesi di comportamento molto al di là dell’economia, per cercare di studiare anche fenomeni più ampi, tra cui persino lo sviluppo della cultura, delle istituzioni politiche, e addirittura le condizioni di passaggio dalla democrazia alla dittatura. Un metodo che io reputo discutibile, ma che lui ha applicato a campi di ricerca indubbiamente nuovi.
Gli studi di Acemoglu consentono di prevedere se una democrazia può essere sostituita da un regime autoritario?
L’idea di Acemoglu è piuttosto disincantata. Lui ritiene che la democrazia sia forte se le sue “élites” non hanno incentivo a rovesciarla. L’esistenza o meno di questo incentivo dipenderebbe da sei fattori: la forza della società civile, la struttura delle istituzioni politiche, la natura delle crisi politiche ed economiche, il livello di disuguaglianza economica, la struttura dell’economia e l’apertura ai mercati globali. A seconda di come si combinano questi elementi, si determina la forza o la fragilità delle istituzioni democratiche delle diverse nazioni. Con questo approccio lui cerca più che altro di capire la storia passata delle istituzioni dei vari paesi. Di solito non osa fare previsioni sul futuro.
Qualche tempo fa la Fondazione Feltrinelli ospitò un interessante dibattito tra Lei e Acemoglu che toccò anche il tema marxiano delle “leggi di tendenza” del capitalismo. Alla luce di quel dibattito, Lei definirebbe Acemoglu un “anti-marxista”?
Dal punto di vista metodologico è apertamente avverso a Marx. Acemoglu è convinto che date le specificità istituzionali, politiche e culturali di ciascun paese, non sia possibile ricercare una marxiana “legge di tendenza” del capitalismo che possa risultare valida in senso generale. Per questo Acemoglu ha anche criticato un altro grande economista contemporaneo, Thomas Piketty, che invece sta cercando di riabilitare le “leggi” marxiane… Piketty sostiene che esista una “legge” capitalistica in grado di spiegare la crescita delle disuguaglianze degli ultimi decenni. In poche parole, quando profitti e rendite superano il tasso di crescita del reddito, il risultato è che il capitale cresce più velocemente dei salari. È stata definita la “legge dei ricchi che diventano sempre più ricchi”. Acemoglu però non ci crede. Per lui, anche le disuguaglianze seguono i sentieri specifici delle istituzioni delle diverse nazioni. Per questo, ha sostenuto che Piketty non ha dati sufficienti per ricavare una “legge” di disuguaglianza valida in generale.
Lei però ha dichiarato che Acemoglu si sbaglia…
In un paper scritto in collaborazione con Fabiana De Cristofaro, abbiamo utilizzato la stessa tecnica di analisi di Acemoglu per giungere a un risultato opposto al suo: la “legge” di disuguaglianza di Piketty trova nei dati un riscontro piuttosto ampio. È dura da ammettere, ma Piketty ha qualche ragione a dire che stiamo drammaticamente tornando all’Ottocento narrato da Balzac, quando conveniva impegnarsi per un matrimonio di convenienza piuttosto che lavorare sodo per realizzarsi autonomamente.
E sulla centralizzazione dei capitali in sempre meno mani? Cosa pensa Acemoglu di quest’altra fondamentale “legge di tendenza” marxiana?
Anche qui i dati sono piuttosto eloquenti. Dall’inizio del secolo, oltre l’ottanta per cento del capitale azionario mondiale risulta controllato da una percentuale sempre più piccola di grandi azionisti, ormai al di sotto del due percento. È una tendenza che a mio avviso sta favorendo anche gli attuali fenomeni di “recessione democratica”, con la concentrazione del potere economico che alimenta anche una concentrazione del potere politico in poche mani. Stando alla sua impostazione, Acemoglu avrebbe dovuto contestare pure questa “legge” di tendenza. Invece, messo davanti ai dati, ha riconosciuto che il problema esiste. Un “anti-marxista”, senza dubbio, ma capace di redenzione.