174 violazioni del diritto internazionale

Guerra in Medio Oriente, Biden ci riprova con Netanyahu: “Tregua o niente armi”

Gli attacchi di Tel Aviv non si fermano su nessuno dei due fronti. Le vittime dell’incendio a Gaza salgono a 15. Tutti bambini. Il bilancio totale dei morti nella Striscia è di 42.344. In Libano sono 1,2 milioni le persone colpite dai raid israeliani

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

16 Ottobre 2024 alle 09:00

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Miriam Alster/Pool Photo via AP
Miriam Alster/Pool Photo via AP

«In questi giorni, per la prima volta in un anno di azioni militari israeliane, le postazioni del contingente militare italiano inquadrato nella missione Unifil delle Nazioni unite sono state colpite dall’esercito israeliano. Pur se non si sono registrate vittime o danni ingenti, io penso che non si possa considerare accettabile. Ed è esattamente la posizione che l’Italia ha assunto, con determinazione, a tutti i livelli. È la posizione che io stessa ho ribadito al primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu». Così la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel corso delle comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre.

«Pretendiamo che venga garantita la sicurezza dei nostri soldati» aggiunge. E ancora: «Riteniamo che l’atteggiamento delle forze israeliane sia del tutto ingiustificato, oltre a rappresentare una palese violazione di quanto stabilito dalla Risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Per contro, non si può non tenere presente la violazione della stessa risoluzione compiuta negli anni da Hezbollah, che ha operato per militarizzare l’area di competenza di Unifil. La posizione del governo italiano è che si debba lavorare alla piena applicazione della Risoluzione 1701 rafforzando le capacità di Unifil e delle Forze armate libanesi».

Meloni ammette di essere preoccupata per l’escalation in Libano «per come sta evolvendo lo scenario, nonostante gli sforzi innumerevoli, nostri e dei nostri alleati», osserva in un passaggio del suo intervento in aula al Senato nelle sue comunicazioni in vista del Consiglio europeo. «È già previsto che io vada in Libano, e il ministro Tajani si sta preparando per andare in Israele e Palestina la settimana prossima». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni, in sede di replica nel dibattito sulle comunicazioni al Senato in vista del Consiglio europeo, rispondendo al senatore di Iv Enrico Borghi. «Anche con la nostra presenza – ha aggiunto – stiamo facendo tutto quello che è possibile fare». E sempre nella replica, ha poi specificato: «Io dovrei essere in Libano venerdì».

«Dopo l’avvio delle operazioni a Gaza il governo ha sospeso immediatamente ogni nuova licenza di esportazione e tutti gli accordi firmati dopo il 7 ottobre non hanno trovato applicazione. Le licenze autorizzate prima sono tutte analizzate caso per caso dall’autorità competente alla Farnesina», ha rimarcato, nella stessa replica, la presidente del Consiglio. «Voglio ricordare che la posizione italiana del blocco completo di tutte le nuove licenze è molto più restrittiva di quella applicata dai nostri partner, Francia, Germania Regno Unito: questi partner continuano a operare anche per le nuove licenze una valutazione caso per caso, noi abbiamo bloccato tutto». «Laddove c’è il rischio che questo materiale possa essere impiegato nella crisi in atto, noi non procediamo», ha spiegato la premier, che ha citato «il caso delle munizioni marittime dimostrative, una licenza prima sospesa e poi revocata». «Questo è come sta procedendo l’Italia e credo che sia un modo di procedere molto serio», ha affermato. Venerdì Meloni dovrebbe essere in Libano.

Un Paese invaso

“Oltre un quarto del Libano è sottoposto a un ordine di evacuazione israeliano”. Lo ha riferito l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati. Rema Jamous Imseis, direttore dell’agenzia per il Medio Oriente, ha dichiarato in una conferenza stampa che i nuovi ordini di evacuazione per 20 villaggi nel Libano meridionale hanno interessato oltre il 25% del Paese. «La gente sta rispondendo a queste richieste di evacuazione e sta scappando senza quasi portare nulla con sé», ha affermato. Secondo i dati del governo libanese, più di 1,2 milioni di persone sono state sfollate dal sud del Libano, dalla valle della Beqaa e da alcune zone di Beirut. Le principali città e i villaggi nel sud del paese si sono svuotati, costringendo la popolazione a spostarsi verso le città più a nord. Molti sono finiti in condizioni insicure e malsane nei rifugi, dentro e intorno alla capitale, dove scuole e negozi sono stati chiusi per ospitare le persone. L’enorme quantità di sfollati ha messo in ginocchio i servizi sociali, lasciando migliaia di persone per strada. «Beirut si era preparata ad accogliere solo il 10% dell’ondata di persone che è arrivata», ha dichiarato la scorsa settimana il sindaco Abdallah Darwich alla Bbc. «Non immaginavamo che potesse essere così grande».

Da una dichiarazione congiunta del vicedirettore generale dell’Unicef Ted Chaiban e del vicedirettore generale del Wfp Carl Skau: “Durante una missione di 3 giorni in Libano, abbiamo visto la devastazione e la sensazione di paura e confusione delle persone. Per loro, il futuro rimane incerto mentre il loro paese è sotto attacco. La guerra che il mondo voleva evitare in Libano adesso sta accadendo e ha già scatenato una catastrofe. Abbiamo visitato rifugi e insediamenti informali di tende, ci siamo confrontati con le comunità e abbiamo incontrato funzionari governativi e partner della società civile che stanno lavorando senza sosta per rispondere ai bisogni. Ogni persona aveva una storia, una storia di sfollamento forzato e molteplici problemi. Abbiamo visitato il checkpoint di Masnaa dove centinaia di migliaia di persone hanno superato il confine con la Siria, complicando ulteriormente la risposta umanitaria. Le famiglie stanno vivendo in circostanze pericolose. Mentre il conflitto peggiora, il peso psicologico sulla popolazione, in particolare fra bambini e giovani, aumenta. Quasi ogni bambino in Libano è stato coinvolto in qualche modo. Molti sono stati vittime di bombardamenti, hanno perso cari, case, accesso all’istruzione e stanno affrontando un futuro incerto in una condizione di povertà forse ancora più grave. Circa 1,2 milioni di persone sono state colpite, con conseguenze significative sulle comunità vulnerabili. Quasi 190mila persone sfollate sono attualmente ospitate in oltre mille strutture, mentre altre centinaia di migliaia di persone sono alla ricerca di sicurezza fra famiglia e amici”. «Israele colpisce tutto il Libano e noi colpiremo tutto Israele». Lo ha detto Naim Qassem, numero due di Hezbollah in un discorso televisivo. «Visto che il nemico israeliano prende di mira tutto il Libano, ora attaccheremo ogni punto di Israele, al nord, al sud, al centro», ha minacciato Qassem.

Dal Libano alla martoriata Gaza

Tratto dal profilo X dell’Unicef “Ieri (lunedì, ndr) i nostri schermi sono stati ancora una volta pieni di notizie terribili di bambini uccisi, bruciati, e famiglie che venivano fuori da tende bombardate a Gaza. Questo dovrebbe shockare il mondo fino al midollo. Gli attacchi ai rifugi di Deir-al-Balah e all’ospedale di Al-Aqsa, in cui secondo le notizie sono morti 15 bambini, dimostrano ancora una volta che non c’è un luogo sicuro a Gaza. Questa vergognosa violenza contro i bambini deve finire ora”. Nella Striscia di Gaza il bilancio dei morti è salito a quota 42.344, di cui 55 nelle ultime 24 ore: lo ha reso noto su Telegram il ministero della Sanità di Hamas. I feriti sono 99.013.

Gli Stati Uniti hanno informato Israele che interromperanno le forniture di armi se Tel Aviv continuerà a bloccare l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Lo riporta Haaretz, citando una fonte diplomatica israeliana. Il quotidiano israeliano ha, quindi, riportato la lettera firmata dal segretario di Stato americano, Antony Blinken, e dal segretario alla Difesa, Lloyd Austin, indirizzata ai ministri israeliani Yoav Gallant e Ron Dermer, datata 13 ottobre, in cui si chiede alle autorità israeliane di agire “entro 30 giorni”. Nella missiva l’amministrazione Biden si è detta “particolarmente preoccupata dal fatto che le recenti misure adottate dal governo israeliano, tra cui l’interruzione delle importazioni commerciali, il rifiuto o l’impedimento di quasi il 90% dei movimenti umanitari tra il nord e il sud di Gaza a settembre, le continue restrizioni onerose ed eccessive sul dual-use e l’istituzione di nuovi controlli e requisiti di responsabilità e doganali per il personale umanitario e le spedizioni, insieme all’aumento dell’illegalità e dei saccheggi, stiano contribuendo a un deterioramento accelerato delle condizioni a Gaza”.

Fronte iraniano

Una fonte a conoscenza dei dettagli della conversazione tra il presidente Usa Joe Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu della scorsa settimana ha riferito al Washington Post che l’attacco di Israele all’Iran ci sarà prima delle elezioni americane del 5 novembre, poiché la mancanza di una rappresaglia contro Teheran sarebbe interpretata dall’Iran come un segno di debolezza. La risposta di Israele all’attacco missilistico dell’Iran terrà conto degli interessi israeliani, ma sarà anche calibrata in funzione del voto negli Usa. A riferirlo è una fonte non meglio precisata dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu, citata dal quotidiano Times of Israel.

In altre parole, saranno “gli interessi israeliani che determineranno la risposta all’Iran”, ma anche il voto degli Stati Uniti “è un fattore” di cui terrà conto una decisione di Netanyahu nei suoi piani di rappresaglia contro l’Iran. La dichiarazione è stata diffusa in risposta a un rapporto del Washington Post, secondo cui Netanyahu ha detto al presidente degli Stati Uniti che Israele non avrebbe attaccato i siti petroliferi o nucleari iraniani. Secondo un funzionario anonimo citato dal quotidiano, i piani di Israele sono stati calibrati per evitare di avere un impatto sulle prossime elezioni statunitensi.

«Ascoltiamo i pensieri del governo americano, ma prenderemo le nostre decisioni finali in base alle esigenze di sicurezza nazionale di Israele», afferma ancora la dichiarazione dell’ufficio del premier Netanyahu, che in un incontro con una delegazione di rabbini, ha affermato che per raggiungere la vittoria «abbiamo bisogno di forza, astuzia e di aiuto divino». Lo riporta Ynet. «La guerra è una cosa lunga: non è un piano che va come vorresti. Ci sono giorni migliori e ci sono giorni meno buoni, ma l’importante è lottare per la vittoria». Least but non last: da almeno dieci anni, Israele sfida le Nazioni unite. 174 violazioni del diritto internazionale. Un record mondiale.

16 Ottobre 2024

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