Il senatore e capogruppo dem

“Il Terzo Polo è finito, anche Renzi l’ha capito. Il Pd sia plurale”, parla Alessandro Alfieri

«Il Pd non deve rinunciare a rappresentare anche la parte centrista, o è plurale o non è. Inaccettabile la pretesa di Netanyahu che Unifil si ritiri. L’Ue deve far sentire la propria voce»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

16 Ottobre 2024 alle 10:00

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Photo credits: Andrea Panegrossi/Imagoeconomica
Photo credits: Andrea Panegrossi/Imagoeconomica

Alessandro Alfieri, senatore, capogruppo del Partito democratico alla Commissione esteri di Palazzo Madama e responsabile Riforme e Pnrr nella segreteria nazionale del Pd.

Il Medio Oriente è in fiamme. Gaza, la Cisgiordania, il Libano, dove Israele ha preso di mira anche l’Unifil e i caschi blu dell’Onu, italiani compresi. In attesa della rappresaglia israeliana in Iran. Una guerra regionale che rischia di innescare un conflitto mondiale. Ma il mondo sta a guardare.
Mai come oggi siamo vicini a un’escalation del conflitto. Lo spostamento del conflitto verso Hezbollah e l’attacco missilistico iraniano rischiano di rappresentare un punto di non ritorno. Parallelamente registro un senso di impotenza da parte dei principali attori internazionali ed europei. Con le elezioni in Usa tra tre settimane, che rappresentano un alibi perfetto per auto-assolversi. Ma come europei non possiamo rassegnarci: l’Ue deve far sentire la propria voce e amplificarla, coordinando quella dei principali governi europei. È inaccettabile che Netanyahu abbia mano libera nel decidere unilateralmente che le forze Unifil si debbano “ritirare”. Dal 1978 in più riprese il territorio tra il fiume Litani e il confine israelo-libanese è stato presidiato dai caschi blu con l’obiettivo di garantire il rispetto di una zona cuscinetto e favorire il raggiungimento di una tregua stabile e pacifica tra i due Paesi. Un presidio di “pace” che nei giorni scorsi è stato messo in pericolo dall’esercito israeliano. Un attacco non solo al contingente Onu, ma, letto insieme al tentativo di mettere fuori legge l’Unrwa in Israele, un colpo al sistema multilaterale già indebolito dalle continue forzature del diritto internazionale. Un fatto gravissimo che va condannato con nettezza. Come Italia abbiamo il dovere di tutelare il nostro contingente e in questo senso ha fatto bene il governo a chiedere spiegazioni al governo israeliano. Ora però il ministro Crosetto venga in Parlamento e riferire sulla situazione e sulle interlocuzioni avute con il governo Netanyahu.

«In questi giorni, per la prima volta in un anno di azioni militari israeliane, le postazioni del contingente militare italiano inquadrato nella missione Unifil delle Nazioni Unite sono state colpite dall’esercito israeliano. Pur se non si sono registrate vittime o danni ingenti, io penso che non si possa considerare accettabile. Ed è esattamente la posizione che l’Italia ha assunto, con determinazione, a tutti i livelli. È la posizione che io stessa ho ribadito al Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu». Così la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ieri, nel corso delle comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre. «Pretendiamo che venga garantita la sicurezza dei nostri soldati», ha aggiunto.
Ritengo che la presidente del Consiglio si sia mossa correttamente in ambito internazionale con la dichiarazione congiunta con il presidente francese Macron e con il premier spagnolo Sanchez, che sono tra l’altro, Francia e Spagna, i Paesi che assieme all’Italia contribuiscono di più alla missione Unifil. Ci siamo dispiaciuti nel non vedere la stessa condanna nei documenti d’indirizzo che stiamo approvando in vista del Consiglio europeo. Sarebbe stato utile che tutto il Parlamento avesse potuto esprimere una condanna molto forte a Netanyahu che non può permettersi di superare questa linea rossa. Non si colpiscono i caschi blu né li si minacciano per spostarli dalle loro posizioni. Semmai ci si deve porre il tema di come rafforzare la missione Unifil per metterla in condizione di adempiere agli obiettivi della Risoluzione 1701 che sono stati violati in più occasioni da Hezbollah, costringendo oltre 60mila israeliani abitanti nel nord d’Israele ad abbandonare le loro case, e per la reazione israeliana, far sì che decine di migliaia di civili libanesi si siano dovuti spostare più a nord.

Israele evoca sempre il diritto di difesa per legittimare ciò che sta compiendo a Gaza e ora in Libano. Ma gli oltre 40mila morti gazawi, decine di migliaia di donne e bambini, sono “danni collaterali” di una giusta guerra al terrorismo?
Nessuna guerra può essere giusta. Definire “danni collaterali” la morte di civili, in gran parte donne e bambini, è aberrante. Il 7 ottobre 2023 Israele è stato colpito da Hamas con un atto terroristico di una violenza inaudita. Abbiamo in più sedi sostenuto il diritto a difendersi e a garantire la propria esistenza da parte di Israele. Oggi è sotto gli occhi tutti che quel diritto è stato trasformato in una rappresaglia senza limiti che ha causato decine di migliaia di vittime civili ed una tragedia umanitaria senza precedenti a Gaza. Ora è il tempo di fermarsi, di un cessate il fuoco immediato che porti alla liberazione degli ostaggi e all’aumento del flusso di aiuti nella Striscia.

Riconoscere lo Stato di Palestina, se non ora, quando?
Parlamento italiano e Parlamento europeo si sono già espressi in passato a favore del riconoscimento dello Stato di Palestina. In una fase drammatica come questa serve un forte segnale simbolico a livello europeo: per dire che non ci rassegniamo alla situazione attuale e non rinunciamo alla prospettiva dei “due popoli due Stati”. Riconoscimento dello Stato palestinese e diritto di Israele a vivere in sicurezza sono inevitabilmente legati.

In questo scenario di guerra, l’autunno caldo italiano: elezioni regionali, legge di bilancio, referendum..
Oggi le stime sulla crescita sono in calo e il governo si trova nella complicata situazione di trovare le risorse per non disattendere le roboanti promesse fatte in campagna elettorale. Abolizione della Fornero, abolizione delle accise sulla benzina, Flat tax. Noi stiamo opponendo la nostra agenda sociale, a partire dalle battaglie a difesa della sanità pubblica e a sostegno di salari e pensioni.
Anche sull’autonomia differenziata, le persone incominciano a capire che sia una fregatura che nulla c’entra con l’autonomia ma che rischia di aumentare le diseguaglianze e complicare la vita a cittadini e imprese. Con la maggioranza che ha espresso divisioni sul tema e si è dovuta fermare sul Premierato. Anche sull’onda delle 1.300.000 firme raccolte. Nel frattempo, alle regionali schieriamo tre ottime candidature: Andrea Orlando in Liguria, Stefania Proietti in Umbria e Michele De Pascale in Emilia-Romagna. Tutta la nostra comunità è impegnata a sostenerle, ben sapendo che inevitabilmente ci sarà un giudizio anche nazionale.

La politica è contenuti, visioni, ma anche alleanze. Conte che si smarca, Renzi che volteggia, manovre, veti e mal di pancia. Siamo alle solite?
Non c’è spazio per i veti. Serve generosità e responsabilità. Non rimanere con la testa rivolta all’indietro verso stagioni segnate da rancori e scontri. Il Pd è il primo partito dell’opposizione ma sa di non essere autosufficiente e che dovremo costruire l’alternativa al governo Meloni con pazienza, nel lavoro quotidiano di opposizione che facciamo nelle aule parlamentari e sul territorio.

Al di là dei personalismi, esiste ancora, a suo avviso, uno spazio per il “centro” come terzo polo?
Io non penso che ci sia più spazio per un terzo polo con questa legge elettorale. Vedo che l’ha capito pure Renzi, prendendo atto che quello spazio politico non c’è. Uno spazio che c’è all’interno delle coalizioni. Su questo, se possibile, vorrei aggiungere due cose molto chiare e nette…

Siam qui per questo…
Per definire quello spazio si sono utilizzate, di volta in volta, molte etichettature differenti: moderati, centristi, liberal democratici, cattolici. Sono persone magari più distanti dalla politica, che quando vanno a votare, non come alle europee il 49% ma alle politiche dove vota quasi il 70% degli aventi diritto, quella parte lì ha richiesto una rappresentanza. C’è stata Scelta civica con Monti, piuttosto che il terzo polo nelle ultime elezioni, votati tra l’8 e il 12% degli elettori. Quello spazio politico c’è. Il punto è come dargli rappresentanza. Continuo a pensare che il Pd non debba rinunciare a rappresentare anche quella parte. Il Partito democratico è plurale o non è. È stato fondato, costruito, con l’ambizione di rappresentare una vasta fetta dell’elettorato. Non dobbiamo rinunciare a rappresentare la parte “centrista”. Lo abbiamo fatto alle europee con delle candidature plurali. D’altro canto, non arriviamo a rappresentarlo tutto noi, quello spazio centrista. Che ci sia una riaggregazione di quel fronte, centrista, moderato, chiamiamolo come si vuole, è un tema che a noi interessa per dar vita ad un’alternativa credibile, competitiva, al governo Meloni e alle destre.

Si dice: dalla politica di sicurezza a quella finanziaria, o si fa l’Europa o si muore. Ma l’Europa, dalla guerra in Medio Oriente alle grandi sfide della globalizzazione, è semplicemente, drammaticamente inesistente.
Non sempre è così. Dal punto di vista economico, quando il governo cinese o quello americano con Trump hanno provato a mettere dazi pesanti sui nostri prodotti, l’Ue ha minacciato rappresaglie e la minaccia è stata sventata. Ha parlato con una voce sola perché la politica commerciale è comunitaria. Gigante economico ma nano politico. Bisogna superare nazionalismi e sovranismi antistorici che frenano il sogno europeo dei padri fondatori. Serve una politica estera e di difesa comune per affiancare in una relazione paritaria i nostri alleati Usa e poter essere incisivi nei principali teatri di crisi. È evidente che non riusciamo a farlo dentro il perimetro dell’Europa a 27. Dobbiamo avere il coraggio di agire fuori trattato come fu fatto per l’euro. Partiamo con chi ci sta. Per Spagna, Francia, Germania e Italia è il momento di avere coraggio. Altrimenti l’Europa è destinata al declino.

16 Ottobre 2024

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