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Elio Germano è Enrico Berlinguer: “Il sogno del leader del PCI è vivo, c’è speranza oltre la destra”

Foto: Stefano Colarieti /LaPresse

“Nella discussione continua che abbiamo oggi in Italia sul fatto che non abbiamo un leader, dopo questo film, io rispondo: siamo sicuri che serva un leader? Innanzitutto Berlinguer era un segretario, chiunque parla di lui parla di silenzi, faceva parlare molto gli altri e desumeva. C’era una ricchezza di punti di vista che venivano ascoltati e c’era una fatica quasi cristica nel mettersi a disposizione, nell’essere quello che tira le fila. C’era il senso di responsabilità verso le persone di cui era rappresentante. Un termine che la politica ha dimenticato, il concetto di rappresentante del popolo. C’era tanto di quello che oggi non abbiamo più, una modalità di risolvere le cose assembleare, collettiva”. Questo l’insegnamento che Elio Germano ha ricevuto nell’interpretare Enrico Berlinguer in Berlinguer – La grande ambizione, film d’apertura, in concorso, della 19esima della Festa del Cinema di Roma.

Diretto dal veneto Andrea Segre e in sala con Lucky Red dal 31 ottobre, il film porta sul grande schermo il racconto della vita pubblica e privata di Enrico Berlinguer, dal viaggio a Sofia del 1973, quando sfuggì a un attentato dei servizi segreti bulgari, fino all’assassinio nel 1978 di Aldo Moro e l’irrimediabile fine del progetto di “compromesso storico”, tentativo di unire le forze popolari di matrice cattolica, socialista e comunista per guidare il Paese. Quelli gli anni presi in esame da Segre perché i più funzionali, come racconta in conferenza stampa: “Ero sul set di Welcome Venice e ho letto il libro di Piero Ruzzante e Antonio Martini, Eppure il vento soffia ancora, che raccontava gli ultimi giorni di Berlinguer, e lì mi è venuto in mente che effettivamente era un’idea che avevo in testa, fare un film su di lui. Con lo sceneggiatore Marco Pettenello abbiamo riflettuto sul fatto che era incredibile che il cinema italiano non avesse raccontato, non solo Berlinguer ma quel pezzo di Italia e di italiani che avevano vissuto l’esperienza del partito comunista italiano”. “Subito – prosegue – abbiamo iniziato a riflettere su quale fosse il momento chiave più importante della storia di Berlinguer e quel popolo perché non volevamo fare un biopic in generale di tutta la vita. Gli anni che vanno dal ‘73 al ‘78 sono stati il momento più importante di quell’esperienza per il paese, per il ruolo che l’Italia ha avuto in quegli anni, con il più grande partito comunista d’Occidente”.

Berlinguer – La grande ambizione conserva volutamente un tono e un rispetto documentaristici, seguendo il suo protagonista nel continuo dialogare con gli altri, nella sua ricerca di libertà per tutti nei valori del partito e dell’ideologia politica della condivisione e dell’unità. Fondamentale era dunque porre l’attenzione sull’utilizzo funzionale del materiale di repertorio per rispettare la memoria storica ma fonderla con il flusso del racconto cinematografico. “Ho sempre pensato che fosse un elemento molto potente del nostro lavoro, giocare su quel confine tra verità e finzione – sottolinea Segre – i produttori non mi hanno mai mollato proprio sul repertorio perché consapevoli che lì si giocava una sfida creativa e artistica importante. A me piace questo dialogo tra repertorio e finzione: il film che mi ha guidato è stato Milk di Gus van Sant, dove il repertorio è sia didascalico, dunque racconta qualcosa, sia poetico e subliminale”.

L’Enrico Berlinguer di Elio Germano è in ascolto, a tratti curvo, mai caricaturale e mai imitativo. Chi conosce il lavoro di Germano ne conosce anche il rigore con il quale lavora sui personaggi e dunque questa opportunità non poteva coglierlo impreparato: “Non ho voluto caratterizzare troppo ma restituire il personaggio in qualche dettaglio”, spiega l’attore, in sala in questi giorni con Iddu. “L’approccio è stato quello di approfondire le questioni di cui erano portatori tutti quegli intellettuali che sedevano al tavolo e di cui Berlinguer era il segretario, una ricostruzione non esteriore vissuta con un atteggiamento quasi di indagine storica. Io credo molto in quel che è il linguaggio e la comunicazione inconsapevole dei nostri corpi e il corpo di Berlinguer, la sua prossemica involontaria raccontava un senso di inadeguatezza, di fatica, di peso della responsabilità, una mancanza di attenzione verso l’esteriorità con ‘sti capelli che andavano da tutte le parti. Nella misura in cui il suo corpo raccontava qualcosa, è stato una fonte di ispirazione, non essendo il nostro obiettivo quello di fare un’imitazione esteriore. Il sottotitolo del film di Segre è “la grande ambizione”.

Ma, se il progetto a cui “ambiva” Berlinguer era il compromesso storico, allora, qualcuno si interroga in sala, il film si sarebbe dovuto chiamare “la grande illusione”? Risponde lungamente e ampiamente Andrea Segre:La grande illusione è una possibile interpretazione dell’ambizione. La cosa che abbiamo capito studiando è che quella stagione ha prodotto dei risultati molto importanti nella storia d’Italia al di là del successo o meno del progetto di Berlinguer. Quello che è successo in quegli anni è che l’incontro tra Partito Comunista e la Democrazia Cristiana ha prodotto dei risultati: riforme molto importanti tra cui, per citarne una, la sanità pubblica. A noi interessava raccontare quello che rimane, che è la parola “grande”, che gramscianamente significa non solo mio ma di tutti, qualcosa a cui vogliamo arrivare collettivamente. Quel sentimento di condivisione si è un po’ perso o èp stato articolato in altri modi. Qualcuno potrebbe argomentare che invece, nella destra c’è grande ambizione ed è una possibile lettura. Credo che il quadro di quello che sta succedendo nel mondo, non solo in Italia, sia riassumibile in una chiarezza di prospettiva nella destra e un disorientamento nella sinistra che si chiede cosa fare anche di questa tradizione e di queste origini”.

Nel suggerire delle proiezioni del film per le scuole, luogo perfetto per incamerare la lezione del percorso di Berlinguer e di quell’epoca storica, si interroga Segre sulla paternità dell’idea di compromesso storico. Idea originaria di Enrico Berlinguer o di Aldo Moro? “L’artefice del nuovo grande compromesso storico è Berlinguer, come scrive nell’articolo su Rinascita nell’ottobre 1973”, risponde Segre. In realtà quella di “compromesso storico” è una definizione togliattiana ma abbiamo deciso di mettere quell’articolo all’inizio del film per raccontare il tentativo di Berlinguer di rendere possibile l’accesso al governo del Pci in quanto forza popolare di grandissimo consenso democratico e di utilizzare il compromesso storico come strumento per superare la pregiudiziale anticomunista e il rischio di fare la stessa fine del governo Allende. Quelli sono i giorni del colpo di stato in Cile. Moro nel film ascolta quello che Berlinguer propone, nella realtà fa molte altre cose”.

Prima di chiudere la conferenza, non si può non chiedere che sentimento si prova a portare in concorso un film che parla di un periodo virtuoso e pieno di speranza per la sinistra mentre oggi siamo governati dalla destra. È Elio Germano a dire la sua per tutti: “Vi dico per onestà che il film non ha mai pensato a riferimenti con la politica contemporanea e penso che invece la questione della grande ambizione sia una cosa molto viva e contemporanea e permette una qualità della vita migliore di tutti. Il film ci mostra un modello diverso da quello della destra, del mercato, dell’ambizione personale: mettersi a disposizione della collettività e quindi avere l’ambizione che questo film che abbiamo fatto, oltre che arricchirmi, possa portare a questo paese elementi di discussione e critica e questa è una differenza che nella vita di tutti noi, voi giornalisti e noi attori per esempio, si può sentire. Visto che siamo una serie di monadi individualiste, usiamo questa menzogna per cui la felicità è prodotta dall’accumulo, dal vincere, mentre quando si condivide si sta meglio, si guadagna meno ma si è più felici, si sta meglio al mondo”.