Il dibattito con la premier

Unifil e Albania, la sinistra divisa fa il solletico alla Meloni

Il raid contro la base militare e le deportazioni di profughi erano occasioni per pressare la premier. Ma le opposizioni sono andate in ordine sparso

Politica - di David Romoli

17 Ottobre 2024 alle 14:00

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Il canonico dibattito parlamentare che segue le comunicazioni del premier alla vigilia di ogni riunione ufficiale del Consiglio europeo è diventato da un pezzo un’arena nella quale i leader si confrontano e si scontrano senza il pur minimo interesse per l’esito del Consiglio stesso e persino per l’agenda del medesimo. Ci sono le tv. Non trattandosi di discussione su un argomento preciso si può procedere quasi a tutto campo. Quale occasione migliore per sfoggiare argomenti utili per la propaganda e per mettere in pessima luce la controparte? Data la vis polemica che a Giorgia Meloni certo non manca da quando è lei l’inquilina di palazzo Chigi l’appuntamento è diventato rutilante. Contenuti politici pochi ma spettacolarità elevata.

La sessione di due giorni fa non ha fatto eccezione. Per la destra ha parlato solo la presidente, tra i leader dell’opposizione nessuno ha passato la mano. Insomma una specie di scontro “tutti contro Giorgia e Giorgia contro tutti”. L’opposizione tutta avrebbe avuto buoni argomenti da giocare: il Protocollo con l’Albania mostra la corda ancora prima di essere avviato, per una volta, complice la manovra incombente la maggioranza era molto più divisa e litigiosa della controparte, gli attacchi dell’esercito israeliano contro Unifil e contro il contingente italiano sembravano fatti apposta per creare imbarazzo sia al governo, considerato comunque responsabile della sicurezza dei soldati italiani, ma anche a una maggioranza che è molto più vicina a Israele di quanto non ammetta e nella discussione di due giorni fa il dato è emerso con chiarezza solare.

Non è andata così. La premier ne è uscita bene, anzi decisamente meglio dell’opposizione e la messa in scena evidenzia, nella sua teatralità, i limiti reali sia del centrosinistra, cioè dei tre partiti che si candidano a comporlo, Pd, M5s e Avs, sia dell’eventuale Campo largo complessivo, con l’aggiunta cioè di Iv, Azione e +Europa. Al Senato i partiti dell’opposizione si sono presentati con cinque diverse mozioni, alla Camera con sei, una per ciascun gruppo. Trattandosi di uno show propagandistico nessuno voleva rinunciare a tirare acqua al proprio mulino. Lo si può capire, o meglio lo si potrebbe capire se avendo deciso di differenziarsi nelle mozioni i partiti avessero poi assunto posizioni almeno nelle sfumature distinte.

Al contrario, almeno per quanto riguarda i tre partiti del quasi centrosinistra e in particolare i leader del Pd e del M5s, i discorsi sono stati quasi fotocopie, nel contenuto, nel tono comiziante, nei decibel molto sopra le righe. Difficile immaginare un ritratto più plastico dello stato e dei limiti di quella (possibile) alleanza. Invece di diversificare l’offerta politica per allargare la fascia del loro elettorato i tre partiti competono sullo stesso terreno, spesso sino a diventare indistinguibili. Cercano di superarsi a vicenda, ma la competizione sullo stesso terreno rende impossibile unificare le mozioni e presentarsi così da subito come un’alternativa effettiva e coesa.

Sull’Albania l’affondo non è riuscito per motivi simili. Meloni aveva nella manica carte forti: l’interesse palesato dal governo laburista inglese e dal cancelliere socialdemocratico tedesco Scholz per il suo modello e la lettera di entusiasta appoggio firmata dalla presidente von der Leyen. Quasi nessuno però ha ritenuto opportuno denunciare a viso aperto il pericolo rappresentato dalla svolta rigorista sull’immigrazione dei partiti di sinistra europei, quella che rende la premier italiana quasi egemone, invece che sui costi eccessivi del Protocollo o, peggio, della sua scarsa utilità nel contrastare l’immigrazione.

Il caso Fitto è a modo suo anche più esemplare. Lì la premier non si limitava a dare spettacolo. È davvero preoccupata per il voto dei socialisti nella commissione di Strasburgo. Teme lo sgambetto ai danni del suo commissario. Dunque mirava davvero a pressare il Pd per spingerlo a dichiarare il proprio appoggio a Fitto, come FdI fece nei confronti di Gentiloni pur votando poi contro la commissione nel suo complesso. Elly, nonostante fosse stata chiamata direttamente in causa dalla premier, ha scelto di glissare, cavandosela con un “ascolteremo la sua audizione”. La realtà è che il Pd sa perfettamente che alla fine voterà a favore di Fitto ma non vuole esporsi e forse, in segreto, spera anche che il resto dell’eurogruppo socialista non lo segua e affossi il commissario del governo. Ma la posizione incerta e sgusciante finisce per agevolare il gioco d’immagine sul quale punta Meloni, che mira a imporsi come leader che ha il coraggio di parlare chiaramente a differenza dei rivali.

Le elezioni politiche sono lontane, ma non lontanissime. In mezzo ci sono alcune prove regionali importanti e forse anche alcuni referendum determinanti. Sarebbe il caso che i partiti dell’opposizione, se vogliono conquistare chances di vittoria che al momento sarebbero molto ridotte, si decidessero a rivedere qualcosa, anzi molte cose, nella loro strategia anche comunicativa.

17 Ottobre 2024

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