Una nave di migranti nel cartellone lirico dell’Opera di Roma. “L’ultimo viaggio di Sindbad” è in scena al Teatro nazionale fino al 23 ottobre. La compositrice è Silvia Colasanti, il regista Luca Micheletti. A scrivere il libretto, ispirato a testi di Erri De Luca, è stato il drammaturgo Fabrizio Sinisi che si descrive così: “Sono di Barletta, figlio di un operaio e di una casalinga”. E che del protagonista dell’opera dice “Chi è Sindbad? È uno scafista”.
In scena una nave stracarica di persone. Dice Sinisi: “È una persona che porta migranti verso l’Europa attraverso il Mediterraneo. È un simbolo. La sua funzione cambia in continuazione, così come cambia la storia in cui è immerso. Così mentre nelle ‘Mille e una nottÈ Sindbad è un astuto viaggiatore che col sorriso e la furbizia attraversa le disavventure di un tempo troppo solenne per essere preso sul serio, questo Sindbad di oggi è uno scafista presentissimo e mediterraneo, di un’attualità disperata, cinica e crudele, che ingaggia col nostro tempo un agone diverso, più intimo e più duro, ma anche più scomodo e più urgente. Ne ha viste troppe, così tante da non volerle più raccontare. Non solo il dolore subito, ma anche quello inferto è un fardello”.
Del naufragio, dei naufragi, dice: “Purtroppo sembriamo esserci abituati ed è anche il nostro naufragio: il naufragio della nostra coscienza spezzata, incallita, ferita dall’aver visto così tanto, turbata dalla propria stessa indifferenza, dall’incapacità di soffrire, reagire, gridare. Questo lavoro non poteva essere una restituzione di ciò che giornali e televisioni ci raccontano ogni giorno con fin troppa chiarezza. Alla verità della cronaca non c’è nulla da aggiungere. Volevamo piuttosto che questo lavoro fosse come un piccolo rito, una liturgia laica che portasse dentro di sé il ricordo di tutti i viaggi e di tutti i naufragi: il viaggio come esperienza archetipica, che riporta ognuno di noi al pericolo che sempre si annida dentro ogni desiderio di salvezza, e che forse abbiamo dimenticato. II tentativo di avvicinarci al dolore di altri. II compito del teatro – lo diceva Antonin Artaud – è quello di provare a mettere in dialogo i vivi e i morti. Come scrive Didier Eribon: “È la questione politica fondamentale: chi parla? Chi può prendere la parola? E se questo gesto politico elementare rimane inaccessibile a così tante persone tra le più dominate, le più deprivate, le più vulnerabili, non è forse compito di scrittrici e scrittori, artiste, artisti e intellettuali parlare di loro e per loro, di renderle visibili, dare loro una voce?”.