Fi e Lega a bocca asciutta
Manovra, Salvini e Tajani respinti si leccano le ferite: non ottengono né flat tax né quota 41
Se gli azzurri sono riusciti quanto meno a salvare le banche, i leghisti del “via la Fornero” non hanno ottenuto niente: né flat tax né quota 41
Politica - di David Romoli
Trovandosi tutti a Bruxelles, la premier e i suoi vice ingannano la serata intorno a un tavolino al bar dell’Hotel Amigo, dove pernotta Giorgia. Li raggiunge il futuro commissario europeo Raffaele Fitto, l’incontro si trasforma in vertice notturno, in molti concludono che la manovra appena varata già vacilla. Conforta l’ipotesi una frase buttata lì dallo stesso Tajani prima di trasferirsi nella capitale belga: “Tranquilli. La manovra non è chiusa”. Esattamente quello che volevano sentirsi dire gli azzurri frustrati dal muro di no contro il quale hanno sbattuto i loro desiderata.
La terza legge di bilancio e le promesse non mantenute
È la terza legge di bilancio varata da questo governo e loro, per la terza volta consecutiva, hanno chiesto un aumento delle pensioni minime, la principale promessa fatta agli elettori. Non che sperassero in roba forte, non con i chiari di luna che affliggono il Mef. Ma un segnale sembrava possibile, anzi per un po’, nella lunga gestazione, lo si dava per quasi certo. Niente da fare. Invocavano ristoro anche per il classico ceto medio impoverentesi e spesso impoverito: un abbassamento della seconda aliquota Irpef, che chiedevano passasse al 33%. Invece al 35% stava e al 35% resta. Si capisce che brontolino.
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Le richieste di Tajani e Salvini
Ma se Tajani è scontento, cosa dovrebbe dire il collega Salvini? I cavalli di battaglia della Lega sono rovinati a terra con i garretti frantumati uno dopo l’altro. La richiesta di bandiere, quota 41 per i pensionamenti, Salvini la dava per persa già da mesi. In compenso ci sono gli incentivi per chi resta al lavoro e rinvia la pensione, con piena soddisfazione dell’arcinemica Elsa Fornero, che gongola. L’altro vessillo leghista, la flat tax, ha subìto la stessa mesta sorte dell’abbassamento dell’aliquota invocata dai forzisti: Salvini voleva innalzare il tetto della platea interessata dalla tassa piatta, da 85mila a 100mila euro. Non ce l’ha fatta.
Il contributo delle banche e la flat tax
Ma la situazione dei due vice non è affatto identica. Tajani può cantare vittoria, come infatti fa a voce spiegata, per quanto riguarda il contributo delle banche. Il rinvio dei crediti di imposta di due anni non è precisamente quello a cui puntavano i banchieri. “I crediti di imposta prima li si incassa e meglio è”, commentava a caldo la notizia del rinvio il presidente di Abi Patuelli enunciando l’ovvio. Puntava a un anno solo ma non l’ha affatto presa male. Se non è vittoria piena sua e di Tajani, lo scudo umano a difesa delle banche, i due ci sono andati molto vicini. Per Salvini, che chiedeva di penalizzare i profitti stellari degli istituti di credito con Irpef e Irap, è rotta completa. Insomma, è vero che entrambi i soci di Giorgia sperano di rivedere la manovra, non certo nelle poche ore prima che venga trasferita nero su bianco e non dopo che il ministro Giorgetti l’ha illustrata nei particolari dandola per definita. Casomai in Parlamento, con gli emendamenti. Su quelli soprattutto Tajani punta davvero ed è possibile che qualcosa i soli nocchieri del vascello governativo, la premier e il ministro dell’Economia, concedano. Ma poca roba e molto poco incisiva. Solo che i quattro amici al bar avevano altro di cui discutere nella notte belga.
Le speranze di modifica della manovra in parlamento
Si avvicina l’audizione con voto finale e maggioranza qualificata obbligatoria, del commissario italiano e vicepresidente esecutivo della Commissione Fitto. Rischia davvero e se dovesse essere falciato per il governo e per la sua immagine, all’estero e tanto più in patria, sarebbe un disastro. Socialisti e Liberali meditano lo sgambetto. La premier, in aula, ha provato a forzare la mano a Elly Schlein, mettendo sul tavolo il ricatto del tradimento degli interessi nazionali. L’obiettivo non era solo garantirsi il voto del Pd, che alla fine probabilmente arriverà perché quel ricatto funziona davvero, ma strappare i buoni uffici del Pd, la delegazione più forte nell’eurogruppo Socialisti e Democratici, nel convincere, anzi costringere le altre delegazioni a non mettersi di mezzo. Non c’è riuscita. Elly è stata evasiva e non ha preso impegni di sorta.
La situazione di fitto e le tensioni politiche
La palla è passata a Tajani, pezzo da novanta del Ppe, che ieri mattina ha tratto le conclusioni della chiacchierata andando giù a muso durissimo: “Se i socialisti non sostengono Fitto perdono il consenso dei Popolari”: se voi affossate Fitto noi falcidiamo i vostri commissari. È una garanzia ma non basta. La certezza assoluta arriverebbe se Salvini, che fa parte dell’alto comando dei Patrioti, convincesse i Sovranisti di Orbàn a convogliare in segreto una parte dei loro voti su Fitto, che in fondo è un cugino. In primo grado.