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Sulla sanità il governo Meloni ha fallito, la sinistra torni in piazza

Photo credits: Andrea Giannetti/Imagoeconomica

Photo credits: Andrea Giannetti/Imagoeconomica

Se qualcuno volesse indicare un paradigma della mancanza di indirizzo politico del governo Meloni, che evidentemente naviga a vista e vive alla giornata, nella gestione della sanità pubblica, troverebbe la prova lampante dell’inadeguatezza della maggioranza di destra nell’elaborare soluzioni efficaci ai problemi concreti degli italiani. La manovra economica illustrata da Giorgetti assegna al comparto sanitario meno di un milione di euro, lasciando così inalterato il deficitario rapporto tra Pil e spesa sanitaria. Un rapporto già largamente deficitario, visto che l’Italia investe nella salute dei cittadini poco più del 6% del Pil contro il 10% dei maggiori stati europei.

Il fallimento delle promesse sul servizio sanitario nazionale

Le promesse fatte circolare nei mesi scorsi, le roboanti dichiarazioni di attribuzione del carattere di priorità assoluta al rilancio del servizio sanitario nazionale fatte dai maggiori esponenti della destra governante, si infrangono sullo scoglio dell’incapacità di scegliere e attuare una linea coraggiosa e di rottura con i troppi interessi al lavoro, per lasciare tutto come sta. Cioè lasciare attiva la mangiatoia il cui effetto nel paese è descritto in modo crudo e disperante dal rapporto Gimbe dei giorni scorsi: gap rispetto alla media Ocse di 50 miliardi l’anno; ondata di abbandoni del Ssn da parte degli operatori sanitari; vertiginoso incremento della spesa sanitaria a carico delle famiglie (+10,3%); rinuncia alla cure per povertà che ormai riguarda quattro milioni e mezzo di italiani, alla faccia della sanità gratuita e universale nata dalle battaglie degli anni 60-80 con i ministri socialisti Mancini, Mariotti e Aniasi in prima fila, padri di quel Servizio sanitario nazionale oggi ridotto allo stremo.

La crisi del personale sanitario e le conseguenze

Spaventa l’assoluta incapacità di affrontare di petto il problema della mancanza di personale sanitario, in un paese che non assume medici e infermieri nemmeno in numero sufficiente a compensare i pensionamenti, che mantiene la follia del numero chiuso per l’accesso alle facoltà che formano gli operatori sanitari, ha visto crescere la sfiducia di tutti, cittadini e operatori, in un sistema che sembra avvitato in una spirale negativa apparentemente irreversibile. Senza medici, tecnici e infermieri, le liste d’attesa, già inaccettabili, continueranno ad allungarsi; apparecchi diagnostici che potrebbero lavorare 14 ore al giorno, sono attivi per molto meno, quando non restano inattivi. Elementari tecniche di efficientamento del sistema, come la riduzione del ticket per chi accetta di fare una tac alle sette del mattino o alle nove di sera, sembrano appartenere al mondo dei sogni. Rispetto a questo quadro desolante, l’opposizione deve fare di più.

La necessità di una mobilitazione popolare per la sanità pubblica

Se una piattaforma comune delle forze di opposizione sulla sanità esiste, alimentata dal tavolo di lavoro costituito ormai da mesi, risulta evidente la necessità di lanciare una forma di mobilitazione popolare sugli aspetti più impattanti dell’evidente fallimento meloniano rispetto alla crisi della sanità pubblica: una mobilitazione permanente e generale, coinvolgente cittadini e operatori, che sia in piazza ogni giorno davanti a ogni presidio sanitario a difesa del Servizio sanitario nazionale, universale e gratuito per davvero. Parole d’ordine chiare e forti: spesa sanitaria al 10% del Pil; via il numero chiuso dalle università; aumento vero del numero dei medici, dei tecnici e degli infermieri; esenzione assoluta dal ticket per chi non ce la fa. Siamo l’opposizione, abbiamo chiaro cosa si deve fare: torniamo in piazza.

*Segretario Psi