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Così il modello albanese ha fatto naufragio: fallimento a tempo di record

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Nel centro di Gjader nei giorni 17 e 18 ottobre 2024 si è consumata una concitata successione di fatti nei confronti di coloro che vi sono stati portati coattivamente dopo il loro salvataggio in mare. Nella prima giornata tutti i richiedenti hanno formalizzato la domanda di asilo e sono stati destinatari di un provvedimento di trattenimento nell’ambito dell’applicazione della procedura accelerata di frontiera.

Le motivazioni prevalenti che l’Amministrazione ha posto a base della decisione di trattenimento sono plurime; innanzitutto il fatto di provenire da paesi di origine sicuri (essendo il Bangladesh e l’Egitto inseriti nella lista dei paesi di origine sicuri del Ministero degli Esteri) ma anche ritenendo che i richiedenti “non abbiano fornito, neanche in copia, documenti di identità” né abbiano fornito idonee garanzie finanziarie. Si tratta di motivazioni non conformi al diritto dell’Unione che esclude la possibilità che una persona possa essere trattenuta per il solo fatto di non disporre di documenti di identità, fatto che riguarda per evidenti ragioni legate alle condizioni della fuga e del viaggio, la quasi totalità dei rifugiati. Al contrario, il diritto dell’Unione prevede che è possibile applicare la procedura accelerata solo se “è probabile che, in mala fede, il richiedente abbia distrutto o comunque fatto sparire un documento d’identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità o la cittadinanza”. (Direttiva 2013732/UE art. 31 paragrafo 8 lettera d). Non occorre spiegare oltre per comprendere la differenza.

Subito dopo il loro arrivo, nello stesso giorno, l’apposita sezione della commissione territoriale di Roma con somma solerzia ha effettuato le audizioni dei richiedenti, terminandole nella stessa giornata. Tutte le domande sono state rigettate. Forse, con un pizzico di malizia (o forse no) qualche osservatore potrebbe aggiungere: come previsto. Di una cosa comunque siamo certi: si è trattato del più veloce procedimento di audizione che ci sia mai stato ed è doveroso interrogarsi se fosse necessaria una simile straordinaria solerzia verso persone nei cui confronti si erano appena concluse le operazioni di soccorso in mare; operazioni che si erano concluse molto male considerato che lo screening sulla nave militare, effettuato senza alcuna base giuridica bensì solo sulla base di una mera prassi non regolamentata da nulla, non aveva indicato dell’esistenza tra i salvati di due minorenni che sono stati successivamente portati in Italia dopo il secondo screening effettuato nell’hotspot di Shengijn.

Chi scrive ha da tempo molti e crescenti dubbi sulla conformità dell’organo italiano di valutazione delle domande di asilo ai principi e ai criteri previsti dal diritto europeo sotto il profilo della necessità di garantire che le domande “siano esaminate e le decisioni prese in modo individuale, obiettivo ed imparziale” (Direttiva 2023/32/UE art. 10 paragrafo 2 lettera a) e che l’organo di valutazione abbia un adeguato profilo di autonomia rispetto a pervasive influenze politiche. Molti elementi sostengono i miei dubbi, ma consegno queste riflessioni a un successivo momento.

Nel centro albanese si verifica una sorta di corsa contro il tempo in quanto, nelle stesse ore, ai richiedenti denegati viene subito notificato, insieme al provvedimento di rigetto, e congiuntamente alla stessa, la decisione di trattenimento nella parte adattata ad asserito CPR del centro di Gjader in quanto è stata applicata la nuovissima disposizione, contenuta nel decreto legge n. 145 dell’11 ottobre 2024 in base al quale coloro che “ rintracciati, anche a seguito di operazioni di ricerca o soccorso in mare, nel corso delle attività di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea” sono condotti nei centri alle frontiere e che “qualora la procedura si svolga direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, ai sensi dell’articolo 28-bis, comma 2-bis, la decisione reca l’attestazione dell’obbligo di rimpatrio e produce gli effetti del provvedimento di respingimento di cui all’art. 10 co.2 del TU immigrazione” ovvero il cosiddetto “respingimento differito alla frontiera”. In sintesi il richiedente asilo rinchiuso nell’hotspot in Albania, dopo il diniego verrebbe immediatamente spostato nell’ala della stessa struttura destinata ad attuare un più stringente trattenimento finalizzato all’esecuzione del respingimento alla frontiera, applicando la cosiddetta finzione giuridica di non ingresso e ritenendo (con assai dubbi motivi) che il diritto dell’Unione Europea in materia di rimpatri possa applicarsi anche al di fuori del territorio europeo e che il centro di Gjader sia una sorta di “frontiera” dell’Italia.

Nella giornata successiva, il 18 ottobre, i giudici della sezione specializzata del Tribunale di Roma hanno proceduto alla valutazione della legittimità dei provvedimenti di trattenimento nell’hotspot di Gjader e li hanno rigettati tutti evidenziando che “in ragione dei principî affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, il Paese di origine del trattenuto (nel caso specifico il Bangladesh) non può essere riconosciuto come Paese sicuro” in quanto non lo è affatto per moltissime categorie quali “ appartenenti alla comunità LGBTQ+, vittime di violenza di genere incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, accusati di crimini politici, condannati a morte, sfollati climatici”. Il Tribunale ricorda che sussiste “ il dovere del giudice di rilevare, anche d’ufficio, l’eventuale violazione, nel caso sottoposto al suo giudizio, delle condizioni sostanziali della qualificazione di Paese sicuro enunciate nell’allegato I della direttiva 2013/32” ovvero la direttiva sulle procedure. Si giunge dunque al punto cruciale della decisione ovvero che “non sussiste, dunque, nel caso in esame il presupposto di applicazione della procedura accelerata in frontiera di cui all’art. 28-bis, comma 2, lett. b-bis), del D.LGS. N° 25/2008”. In modo cristallino il Tribunale di Roma, sezione specializzata in materia di asilo, conclude che “l’assenza del presupposto di applicabilità della suddetta procedura impedisce un legittimo trattenimento non soltanto al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato, ma anche con riferimento a qualunque altra motivazione addotta nel provvedimento di trattenimento”.

La domanda di asilo, dunque, non avrebbe dovuto essere esaminata in regime di procedura accelerata di frontiera, non esistendone i presupposti, e quindi vi è “assenza di un titolo di permanenza del richiedente protezione nelle strutture di cui all’art. 4, comma 1, del Protocollo e all’art. 3, comma 4, della Legge di ratifica”. Lo stesso Protocollo Italia-Albania d’altronde prevede che «nel caso in cui venga meno, per qualsiasi causa, il titolo della permanenza nelle strutture, la Parte italiana trasferisce immediatamente i migranti fuori dal territorio albanese» (art. 4, comma 3). Per tali ragioni il Governo italiano è stato costretto a portare in Italia coloro che, maldestramente e a salato carico spese del contribuente, aveva spedito in Albania con il chiaro intento, come scrissi su queste pagine (vedi l’edizione dell’Unità del 12 settembre) di sterilizzare le garanzie procedurali nell’esame della domanda di asilo.

I richiedenti asilo che dunque arriveranno dove avrebbero dovuti essere portati fin dall’inizio dell’operazione di soccorso, ovvero sul territorio nazionale, potranno, se lo vorranno, impugnare la decisione lampo di rigetto fatta dalla Commissione territoriale per l’asilo di Roma. Anche questo passaggio sarà una scalata per queste persone, giacché la norma prevede un termine brevissimo di quattordici giorni per il ricorso: un termine irragionevolmente breve, che il già citato DL 145/24, al termine della sua conversione in legge, porterà a sette giorni; un termine che solleva profondi interrogativi sulla conformità all’ordinamento costituzionale, e all’art. 24 Cost. in particolare, di una tale enorme compressione del diritto di difesa. Ma almeno chi farà ricorso lo potrà fare in una condizione di libertà e non internato in un centro di uno sperduto angolo dell’Albania.

Il Governo italiano ha annunciato che presenterà ricorso contro la decisione ed è suo diritto farlo. Forse però ha un po’ meno diritto a continuare a forzare disperatamente l’ordinamento giuridico vigente, creare cortocircuiti procedurali, ed utilizzare per scopi propagandistici un’immensa quantità di risorse economiche sottratte alla corretta gestione della cosa pubblica. Il ministro Piantedosi, celebre per molte sue esternazioni, ha pubblicamente affermato che “quello che l’Italia sta realizzando in Albania, e non solo, diventerà diritto europeo”. Ho dubbi che il ministro abbia studiato bene il diritto dell’Unione europea e la riforma legata al patto UE sull’asilo: per quanto giudichi pessima la riforma, essa non prevede nulla di ciò che il ministro sostiene.