Il caso Albania
I penalisti: il giudice ha fatto solo il giudice
Non si tratta di questione che possa essere risolta dal Governo per decreto e sarebbe invece opportuno che la politica si riappropriasse correttamente del proprio ruolo, richiamando alle sue responsabilità l’Europa, senza perdere di vista la tutela dei diritti fondamentali della persona.
Giustizia - di Redazione Web
La polemica seguita ai provvedimenti del Tribunale di Roma che non hanno convalidato il trattenimento dei primi migranti condotti presso i centri recentemente istituiti in Albania non ha fondamento tecnico. Basta leggere i provvedimenti dei giudici romani per constatare come questi si siano limitati a applicare la normativa europea di riferimento, in linea con le indicazioni vincolanti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, proprio poche settimane, fa era intervenuta sulla direttiva che riguarda il trattamento dei richiedenti asilo provenienti dai c.d. paesi sicuri.
La Corte ha stabilito che, per attribuire una tale definizione, che comporta una procedura semplificata di decisione sulla protezione internazionale e di rapido rimpatrio, occorre che il paese di provenienza dei migranti sia un paese che non risulta attuare persecuzioni e violazioni dei diritti umani, neppure in singole porzioni del proprio territorio nazionale ovvero nei confronti di limitate categorie di persone. Ciò comporta che non possano più ritenersi tali, ad esempio, la Tunisia, che punisce con il carcere i rapporti omosessuali, il Bangladesh, che perseguita le minoranze etniche e religiose, o l’Egitto, che perseguita anche gli “oppositori politici, i dissidenti” e perfino i “difensori dei diritti umani”. Proprio l’Egitto è quel Paese nel quale un nostro concittadino è stato barbaramente torturato e ucciso. Non sono stati i giudici a stabilire che esistano simili forme di persecuzione in quei paesi, ma è scritto in apposite schede redatte dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, proprio al fine di dare applicazione alla normativa sul trattamento dei richiedenti asilo, a seguito di documentate istruttorie.
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Il Giudice, dunque, non ha svolto alcuna particolare attività interpretativa, né si è sostituito al potere esecutivo o a quello legislativo, si è limitato ad applicare un principio chiaro e vincolante enunciato dalla Corte di Giustizia sulla base di un giudizio di pericolosità espresso da Governo. Ciò che rischia di determinare un corto circuito tra poteri dello Stato non è però quanto è accaduto, ma quanto accadrà nei prossimi giorni. Il Giudice deve valutare, infatti, anche d’ufficio se il Paese di provenienza del migrante sia sicuro secondo i principi espressi dalla stessa Corte, anche in contrasto con quanto stabilito dallo Stato membro. Una operazione delicatissima e ricca di implicazioni politiche di cui si grava la singola giurisdizione.
Questo produrrà difformità di trattamento, perché secondo un determinato Giudice un Paese potrebbe essere sicuro e secondo un altro no e soprattutto attribuisce al singolo magistrato una responsabilità enorme, in una materia come quella migratoria che ha ricadute molteplici e di estremo rilievo sulle politiche di tutti gli Stati d’Europa. È necessario che l’Europa detti regole chiare e condivise stabilendo quale Paese possa considerarsi sicuro e quale no, anziché delegare agli Stati membri tale compito e quindi delegare al Giudice dello stesso Stato il controllo sulla legittimità dell’esercizio di tale potere. Non si tratta di questione che possa essere risolta dal Governo per decreto e sarebbe invece opportuno che la politica si riappropriasse correttamente del proprio ruolo, richiamando alle sue responsabilità l’Europa, senza perdere di vista la tutela dei diritti fondamentali della persona.
La Giunta e la Commissione Centri di Permanenza per i Rimpatri dell’Unione delle camere penali