Il responsabile immigrazione Pd
Intervista a Pierfrancesco Majorino: “Albania e attacco al Csm: la repressione del governo Meloni affetto da sindrome ungherese “
«Il governo crea un totem della repressione delle persone con il CPR d’Albania, poi si rende conto che il suo progetto, oltre ad essere costosissimo, cozza con il diritto internazionale e le scelte del governo stesso e cosa fa? Attacca i giudici»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie e Diritto alla Casa nella Segreteria nazionale del Partito Democratico e Capogruppo Pd al Consiglio regionale della Lombardia: l’Unità ha titolato nei giorni scorsi in prima pagina: “Meloni in Parlamento si schiera con i trafficanti libici. Povera patria…”. È troppo?
No, assolutamente! Lo ritengo un titolo perfetto sul piano politico e sostanziale. Alla fine, infatti, se ci pensiamo bene, quel che accade è che la destra al governo coltiva la cultura dell’emergenza permanente come ingrediente essenziale per la gestione delle politiche migratorie. Non si governa, non si gestisce, non si innova un sistema oramai logoro, non si modifica il più rilevante quadro di regole di riferimento – non dimentichiamoci che in Italia è da oltre vent’anni in vigore la Legge Bossi Fini – e si produce la spirale che abbiamo già richiamato, in passato, proprio su questo giornale. Quel corto circuito che si determina attraverso l’immigrazione non gestita – l’allarme sociale fatto crescere – l’esasperazione dei toni e la macchina repressiva che calpesta i diritti umani.
Del resto, parliamoci chiaro: la destra in termini simbolici ha bisogno come il pane dei trafficanti d’uomini e perfino della gente stipata sui barconi alla deriva.
Queste sono le fotografie che preferisce esibire per esaltare la retorica di un’invasione che mette costantemente a repentaglio le nostre società.
Dopo il flop dell’evanescente “Piano Mattei” per l’Africa, lo schiaffo-Albania. La presidente del Consiglio ha reagito, sul secondo fronte, attaccando la magistratura e gridando “vergogna” all’indirizzo del Pd e degli europarlamentari Dem. Premier sull’orlo di una crisi di nervi?
Apparentemente potremmo dire che sì, la presidente del Consiglio stia perdendo un po’ il controllo. Ma questo, in realtà, vorrebbe dire sottovalutarla. Poiché io sono sempre convinto e nulla mi fa cambiare idea, che la destra, o meglio questa di oggi, di stampo nazionalista, non certo quella di matrice “liberale”, cerchi l’esasperazione di un conflitto caotico, in qualche modo se ne nutra, poiché esso diviene utile a giustificare le forzature istituzionali e perfino democratiche. Torno sulle conseguenze di quel che è avvenuto in questi giorni. Ne vedo alcune. La prima è, per l’appunto, quella di coltivare l’immagine mitica dell’immigrato invasore. L’immigrato da segregare e deportare e non da “includere” e da accogliere magari in forme più efficaci che in passato. La seconda è quella distrarre l’opinione pubblica rispetto a scelte realizzate in altri campi, in questo momento penso in particolare alla manovra economica, una manovra dal respiro corto e dai sacrifici garantiti – e tuttavia taciuti –. La terza – ed è il salto di qualità, la vera involuzione preoccupante di queste ore – l’aggressione perpetuata nei confronti dei giudici. Un’aggressione imbarazzante e che imbarazza, a cui ha risposto correttamente l’Associazione Nazionale Magistrati costretta a chiedere pubblicamente che “la giurisdizione sia rispettata come esercizio di una funzione del tutto autonoma ed indipendente”. Tutto questo sa molto di sindrome ungherese. Il presidente del Senato La Russa, non dimentichiamolo, un po’ come il personaggio del Film “Il dottor Stranamore” a cui il braccio teso a un certo punto scappa istintivamente, ha esplicitamente fatto riferimento alla necessità di rivedere la separazione dei poteri. Ma ci rendiamo conto in che mani siamo? La seconda carica dello Stato che interviene così dopo che i giudici, semplicemente, si sono attenuti alle regole ed anzi sono intervenuti in relazione alla materia dei cosiddetti “Paesi sicuri” facendo riferimento alla documentazione prodotto dai ministeri stessi. Riavvolgiamo il nastro: il governo crea un totem della repressione delle persone con il CPR d’Albania, poi si rende conto che ha messo in piedi un progetto che – oltre ad essere costosissimo – cozza con il diritto internazionale e le scelte del governo stesso e cosa fa? Attacca i giudici.
Guardando alla politica sui migranti ed estendendo il giro d’orizzonte alle questioni sociali e del lavoro, si può sostenere, per usare un vecchio adagio, che il governo Meloni si dimostra debole con i forti e forte con i deboli?
Direi che è la vera cifra del governo attuale. In barba a qualsiasi narrazione relativa alla “destra sociale”. Alla “fratellanza” perlomeno espressa tra gli “italiani”. Cito due cose che mi stanno molto a cuore, non sempre sufficientemente “osservate”. Il governo Meloni, in materia di diritti sociali e politiche dell’abitare, ha debuttato azzerando il fondo sostegno affitti e il fondo per la morosità incolpevole, cioè gli unici strumenti esistenti per aiutare, in un Paese storicamente debole sul piano della politica nazionale sulla casa, chi non ce la fa, proprio, a cimentarsi con il mercato degli affitti. Lo stesso governo, poi, si accanisce sulla sanità pubblica facendo finta di realizzare interventi straordinari, laddove la percentuale di risorse impiegate rispetto al PIL praticamente non varia ed è lontanissima (tra il 6.4 e il 6.5) rispetto al 7.5% che da tutti è considerato come il target di spesa da raggiungere per assicurare il diritto alle cure.
Cosa ci dicono queste due vicende? Che alla fin della fiera la voce dei più deboli non conta.
Un tempo lontano ma non troppo, l’allora ministro dell’Interno (Pd) Marco Minniti sostenne che “sicurezza è parola di sinistra”. Fu l’estate della “guerra” alle Ong salvavita nel Mediterraneo. Lei come declinerebbe, da sinistra, la parola “sicurezza”?
Pur non essendo stato d’accordo con alcune delle scelte che faceva allora Minniti, in particolare in relazione alla questione dei campi libici, io sulla sostanza di quel ragionamento sono d’accordo. Se esso significa non lasciamo alla destra il valore della “protezione”, dello “stare al fianco”. Ciò riguarda peraltro pure lo specifico della sicurezza urbana, anche nei termini di sostegno alle forze dell’ordine e alla magistratura. Posto che è quella del garantire la certezza della pena una delle prime necessità di fronte a cui siamo anche proprio in termini di contrasto ai fenomeni criminali, ritengo che si debbano affrontare più aspetti e che lo si debba fare, anche a sinistra, con meno timidezza. Giorni fa, ad esempio, sono stati arrestati alcuni “trafficanti” di uomini. Vedremo come andrà a finire quella vicenda sul piano giudiziario ma a me pare una notizia assolutamente positiva. Passo ogni giorno praticamente davanti alla Stazione Centrale di Milano e spesso frequento quartieri “difficili” della mia città. In questi contesti, giusto per fare altri esempi concreti, se si vedono più agenti a presidiare il territorio molti cittadini guadagnano solo in serenità e son convinto che la presenza delle forze dell’ordine possa anche svolgere una funzione preventiva. Ovviamente la sicurezza è pure tanto altro: è innanzitutto la questione sociale, è la capacità di affrontare le cause, di scommettere non solo sulla qualità e l’efficacia dell’azione repressiva. Sconcerta abbastanza il fatto che ogni ragionamento sulle “cause” venga spacciato come ragionamento buonista, nel senso di “lassista” di fronte al crimine. È ovvio, infatti, che un Paese con scarsissimi strumenti contro le povertà sia un Paese più ingiusto e pure più capace di alimentare le illegalità.
Come contrastare questa deriva securitaria?
Prendiamo proprio lo specifico dell’immigrazione. Abbiamo appena presentato la nostra proposta di superamento della Legge Bossi-Fini. Legge che sciaguratamente anche la sinistra ha tollerato quando aveva i numeri per cambiarla. Ebbene essa determina l’aumento della condizione di irregolarità. Poiché, se mi si passa la semplificazione, stabilisce che chiunque arrivi in Italia senza un contratto di lavoro in tasca, lo faccia nei fatti da irregolare. Questo alimenta proprio la spirale a cui mi riferivo prima. Una sacca abbondante di irregolarità è il perfetto contesto da cui possano emergere grave emarginazione sociale, sfruttamento e caporalato e, certamente, pure comportamenti delittuosi. Quel che noi diciamo è: cambiamo radicalmente il modello. Facciamo sì che le persone possano essere considerate regolari anche se il lavoro non ce l’hanno garantendo loro un permesso temporaneo, dunque con un inizio e una fine, connesso alla ricerca stessa del lavoro. Definiamo, in altre parole, un patto con chi arriva: garantiamo canali legali d’ingresso, che spazzerebbero via il ricorso ai barconi, realizziamo grandi piani per l’inclusione sociale e controlliamo meglio chi, essendo in Italia regolarmente, diventa perfino più “tracciabile”. Questo modello, che ho ovviamente semplificato molto, l’Italia non lo ha mai sperimentato e fatica, pure, a prendere corpo in Europa. Ma io credo che sia un approccio capace non solo di favorire la “promozione della persona” ma anche di rendere più sicure le nostre città. Quel che intendo dire è che sicurezza vuol dire gestire e governare le questioni che abbiamo davanti. Non fare della demagogia a buon mercato augurandosi che poi i problemi irrisolti generino allarme sociale da cavalcare elettoralisticamente.
Tra una eliminazione mirata e l’altra, ci sarà mai pace in Palestina?
C’è solo da sperarlo. E da rivendicare a gran voce una politica diversa fondata sul protagonismo politico e diplomatico della comunità internazionale, sul riconoscimento dello Stato di Palestina, sulla necessità di contrastare esplicitamente le scelte folli di Netanyahu, le cui mani sono sporche di sangue. I crimini di guerra del governo israeliano producono effetti dirompenti, il sacrificio di vite umane e, alla lunga, credo isolino perfino Israele. Il cui diritto a esistere va salvaguardato e difeso. Ma di cui non si possono in alcun modo anche solo tollerare le scelte compiute in questi 12 mesi terrificanti. E’ inaccettabile rispondere allo stragismo di Hamas con altre stragi.