“Ma vi rendete conto che secondo il pubblico ministero Maysoon non merita di essere scagionata perché non ha provato di aver pagato il viaggio? E glielo deve spiegare la difesa alla pm che è l’accusa a dover portare le prove di colpevolezza?”. Uscito dalle otto ore di udienza al tribunale di Crotone con l’ordinanza di scarcerazione immediata per Maysoon Majidi – l’attivista curda contro il regime iraniano tenuta in galera per 10 mesi in Calabria con l’accusa di essere una scafista – il suo avvocato difensore Giancarlo Liberati non si capacita dell’ostinazione della pm Rosaria Multari nel negare l’evidenza dell’innocenza di una ragazza su cui l’accusa si è accanita per quasi un anno senza alcuna ragionevolezza.
Il tribunale di Crotone presieduto dal giudice Edoardo D’Ambrosio ha disposto la scarcerazione “ essendo venuto meno il requisito dei gravi indizi di colpevolezza” . Potrebbe presto non essere prosciolta dall’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina , rischiando fino a 16 anni di carcere, ma all’udienza del 27 novembre potrà partecipare da libera. Ci sono altre 350 persone nelle celle italiane su cui grava la stessa accusa, firmata allo sbarco da migranti che hanno una comprensibile necessità di essere rilasciati subito per potersi allontanare,le cui parole sono tradotte da interpretari che spesso non capiscono la lingua del dichiarante. O che, per motivi che qualcuno dovrebbe indagare, fanno comunque sottoscrivere al dichiarante testimonianze da lui nemmeno comprese.
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Nel caso di Maysoon prove chiarissime della sua innocenza e anche prove lampanti che chi doveva indagare per dimostrare la sua colpevolezza non l’ha fatto erano disponibili da mesi. L’Unità lo denuncia dal 4 febbraio. Nessuno l’ha voluta scarcerare fino a ieri, nonostante in cella sia dimagrita pericolosamente e nonostante siano stati i suoi stessi accusatori a scagionarla dicendo di non aver mai detto quello che viene loro attribuito nelle dichiarazioni firmate prese dalle autorità italiane allo sbarco. Così come, quando è stata portata in carcere, nessuno degli inquirenti ha fatto lo sforzo di verificare chi fosse quella ragazza (basta digitare il nome in un motore di ricerca e piovono articoli e video su di lei, regista nota in Iran ). A nessuno è venuto in mente fosse poco verosimile che una ragazza curdo-iraniana mingherlina avesse il compito di tenere sotto controllo una settantina di migranti, tra i quali molti maschi per di più iracheni.
Due testimoni della difesa – marito e moglie, migranti a della stessa barca a vela con 77 persone a bordo con cui Maysoon e suo fratello sono arrivati il 31 dicembre del 2023 a Gabella, in Calabria – hanno raccontato in udienza come la ragazza aveva viaggiato sempre sottocoperta e aveva avuto il permesso di salire a prendere aria perché stava male solo il quarto giorno di traversata. Per la pm Rosaria Multari (che non l’ha interrogata mai fino a maggio) sarebbe stata fuori, in coperta, l’intero viaggio. Alla domanda se fossero stati forzati a testimoniare i due hanno risposto: “ Siamo venuti liberamente per salvare un’innocente”. Maysoon è stata arrestata perché, dice l’accusa, due migranti l’hanno indicata come collaboratrice di chi portava la barca.
Hasan Hosenzadi, uno dei due, che vive a Berlino è stato dichiarato irreperibile dalla Guardia di finanza delegata dal tribunale di cercarlo. Ma non è vero che era irreperibile, bastava telefonargli. L’ha fatto l’avvocato Giancarlo Liberati il giorno in cui il tribunale aveva comunicato in udienza che l’accusatore purtroppo era irreperibile. Ha risposto subito: era dal dentista. Il 10 maggio, l’abbiamo chiamato dall’Unità , ha risposto immediatamente. Ha detto: « Sono disposto a giurare che quella ragazza non ha niente a che fare con chi gestiva la barca, non ha fatto niente, viaggiava come me» . E ancora: «Ho detto che questa ragazza era una come noi, del tutto estranea, mi hanno fatto firmare alcuni documenti, non così esattamente cosa fossero. La polizia ha detto che questa ragazza era una degli scafisti. Ha insistito che avrei dovuto dire che era una scafista». Lo ha ripetuto la settimana dopo, mostrando i suoi documenti, un inviato da Le Iene che lo ha raggiunto in Germania. Anche l’altro accusatore, Alì Dara Dana, la scagiona completamente.
In udienza è stata raccontata la lite di Majidi a bordo con una donna indicata come la persona che aveva i telefonini (spenti) di tutti i passeggeri. Da lì probabilmente l’intenzione di vendicarsi facendola indicare come scafista allo sbarco. E’ stato ascoltato anche il capitano
della barca, che ha confessato già da tempo. Si chiama Akturk Ufuk, è turco, ha detto: “ Maysoon non ha fatto nulla sulla barca, zero, ho guidato io la barca da solo”. Poiché uno degli indizi contro Maysoon è che è scesa con il fratello (a cui nulla è stato contestato) con il gommoncino di bordo per andare a terra, il Tribunale ha chiesto al capitano come fossero state scelte le cinque persone sbarcate col tender. Ha risposto che era stata una scelta casuale e che poco prima dello sbarco chi voleva andare in Germania aveva parlato con gli altri che dicevano di poter restare in Italia.
Sia pm che presidente del Tribunale hanno chiesto al capitano come mai non fossero scesi per primi quelli che aveva indicato come collaboratori dei trafficanti. Ha detto di non saperlo. Chiunque abbia visto uno sbarco sa che chi teme di poter essere indicato come colui che collaborava a gestire la barca non vuol far nulla che lo faccia notare per non finire ucciso. Il consulente informatico Fausto Colosimo, ha chiamato a spiegare se il telefono dell’imputata fosse stato spento durante il viaggio o acceso come sostenendo l’accusa, ha detto che le telefonate non hanno risposto su whatsapp di Maysoon potevano essere state ricevute a telefono spento perché whatsapp le notifica appena il telefono viene riacceso. Il consulente ha detto: “ era plausibile che il telefono fosse spento” . Tutti i testimoni hanno ribadito in udienza che i telefoni sono stati fatti spegnere e messi in una unica sacca. La pm ha concluso: “ Il telefono poteva potenzialmente essere acceso”. Il consulente Colosimo ha anche detto che c’è stato il collegamento con un hot spot dopo lo sbarco, a conferma del fatto che Maysoon ha tentato di connettersi col telefono di un agente di Polizia per spiegare chi fosse. Invano.
C’è da sperare che le parole dell’ordinanza che ne ha disposto la liberazione “in ragione del mutato quadro cautelare delineante quantomeno una situazione di incertezza circa il ruolo svolto dall’imputata a bordo” siano la premessa di un proscioglimento dall’accusa il 27 novembre prossimo. Ma Maysoon è stata, nell’ingiustizia che sta subendo, una privilegiata. Ha avuto un avvocato difensore che ha fatto una indagine difensiva e l’ha saputa difendere. La sua storia è stata raccontata sui giornali. Attivisti dei diritti umani si sono mobilitati in sua difesa. Esistono dei comitati per la sua liberazione. Quanti Maysoon ci sono, noti a nessuno, sepolti nelle celle italiane, cui toccano difensori d’ufficio che non li vanno a trovare in carcere, non studiano le carte e non li sanno difendere? Soltanto al carcere di Locri c’è un intero piano terra fitto di celle traboccanti di ragazzi quasi solo neri accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tutti scafisti?