Si è spento a 96 anni

Gustavo Gutierrez, è morto il padre della teologia della liberazione

L’impegno a favore di periferie e indigenti gli costò a partire dagli anni 70 l’ostracismo della Chiesa reazionaria. Nonostante la condanna di Wojtyla, papa Francesco gli ha reso oggi giustizia

Cronaca - di Fabrizio Mastrofini

26 Ottobre 2024 alle 14:52

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Gustavo Gutierrez, è morto il padre della teologia della liberazione

Una settimana, quella che sta terminando, che vede la chiusura del Sinodo, la nuova Enciclica del papa, la morte del teologo peruviano Gustavo Gutierrez, ispiratore e principale rappresentante della teologia della liberazione. Una parabola di vita, quella di Gutierrez, deceduto a 96 anni il 22 ottobre, che ha attraversato come una lunga cavalcata la storia della teologia e della Chiesa. Il suo libro Teologia della liberazione, è stato edito in Italia nel 1971 da Queriniana e, come ha scritto il noto teologo Severino Dianich, ha avuto un ruolo determinante “a tenere viva nella Chiesa, nonostante critiche e ostilità di ogni genere, la consapevolezza che l’impegno per la liberazione dei poveri dalle loro condizioni di indigenza e, non di rado, di degrado spirituale, è parte essenziale della missione”.

Le Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano dal 1968 in poi, hanno messo al centro la teologia della liberazione nella formulazione della “opzione preferenziale per i poveri”. E hanno attirato alla Chiesa le critiche della destra Usa, capace di avviare una campagna di aggressione attraverso la diffusione capillare delle sétte fondamentaliste evangelicals, finanziate dai governi Usa della presidenza Reagan, perché una Chiesa a favore dei poveri e contraria a latifondi e latifondisti, potentati, dittatori, non piaceva. Mobilitata anche la Santa Sede, facendo balenare a Papa Wojtyla lo spettro del comunismo che avrebbe ispirato l’analisi di stampo marxiano delle condizioni economiche dei poveri.

Da qui nascono le accuse della Congregazione per la dottrina della fede del cardinale Ratzinger e i due documenti del 1984 e del 1986, il primo critico verso la teologia della liberazione, il secondo più equilibrato e consapevole. In mezzo ci sono stati gli interventi di parte dell’episcopato latinoamericano a difesa dei teologi e di Gutierrez passato al setaccio dal Vaticano che nelle sue opere non ha trovato nulla di sospetto. Ma per il teologo i guai sono continuati, sotto la pressione dell’arcivescovo di Lima, il cardinale opusdeista Cipriani, fino alla decisione del 2005 di lasciare il ruolo di prete diocesano ed entrare nell’Ordine dei Frati Domenicani, certamente per sentirsi più protetto e sottrarsi alla giurisdizione ostile del cardinale. La storia successiva e l’elezione di Francesco ha reso giustizia a lui e a tanti altri teologi, compresi molto meglio dal papa latinoamericano che vede nella misericordia e nelle periferie il fulcro di una Chiesa che deve camminare accanto alle vicende umane, per illuminarle e non per condannarle.

Sempre per citare il brillante ricordo di Severino Dianich, “la teologia della liberazione oggi non ha più bisogno neanche di fregiarsi del suo nome storico, perché l’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri oggi fa parte del comune patrimonio della coscienza della fede. L’avvento al pontificato di Jorge Mario Bergoglio le sta dando poi una grandissima rilevanza. Per ricordare degnamente Gustavo, nel giorno della sua morte, basterà dire che senza Gustavo, oggi, non ci sarebbe Francesco”. In un videomessaggio inviato per il funerale, papa Francesco ha definito Gustavo Gutiérrez “un grande uomo. Un uomo di Chiesa”. Ed ha ricordato che “sapeva tacere quando doveva tacere; sapeva soffrire quando doveva soffrire”. Un tema portante di tutto il pontificato – la misericordia e l’impegno della Chiesa per un mondo più giusto e umano – ha trovato nella nuova enciclica un’espressione eloquente, sebbene il linguaggio sia quello tipico di un documento ecclesiale.

Il papa mette esplicitamente a tema l’amore umano e divino del Cuore di Gesù, proponendo un approfondimento sull’amore di Cristo rappresentato nel suo santo Cuore e ricordando che nel Cuore di Cristo “possiamo trovare tutto il Vangelo”, “riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare”. Il tema devozionale del Cuore di Gesù, che è al centro del nome e delle attività di tante congregazioni religiose maschili e femminili, è declinato da papa Francesco pensando all’attualità e alla tradizione ecclesiale. Dopo avere sottolineato che guerre, conflitti, diseguaglianze, crisi, consumismo, uso spregiudicato delle tecnologie, sembrano far perdere di vista l’umanità che deve ispirare i comportamenti verso gli altri, il papa ricorda l’importanza del comandamento dell’amore perché “io sono il mio cuore, perché esso è ciò che mi distingue, mi configura nella mia identità spirituale e mi mette in comunione con le altre persone”.

La devozione in questo senso non è fine a se stessa; la devozione al Cuore di Cristo è necessaria per contrastare “nuove manifestazioni di una ‘spiritualità senza carne’ che si moltiplicano nella società”. È necessario tornare alla “sintesi incarnata del Vangelo” davanti a “comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti”. Come ha scritto Andrea Tornielli, direttore editoriale dei media vaticani, “incontrare la fede cristiana significa incontrare il cuore di Cristo, quel cuore incapace di rimanere indifferente, che abbracciandoci con la sua infinita misericordia ci invita a imitarlo. E questo ha conseguenze sociali, perché il mondo, che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia può cambiare a partire dal cuore. L’enciclica Dilexit nos diventa così una chiave interpretativa di tutto il pontificato”.

26 Ottobre 2024

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