Boxe

Rumble in the jungle: 50 anni dell’incontro Muhammad Ali-Foreman in Africa, il più grande evento sportivo del XX secolo

A Kinshasa, nello Zaire del dittatore Mobutu Sese Seko, il 30 ottobre 1974 andava in scena allo Stade du 20 mai l'incontro più leggendario nella storia del pugilato. Un match raccontato dal grande cinema e dalla grande letteratura

Sport - di Antonio Lamorte

30 Ottobre 2024 alle 13:48

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FILE – In this Oct. 30, 1974 file photo, referee Zack Clayton, right, steps in after challenger Muhammad Ali looks on after knocking down defending heavyweight champion George Foreman in the eighth round of their championship bout in Kinshasa, Zaire. (AP Photo/File) Associated Press/LaPresse
FILE – In this Oct. 30, 1974 file photo, referee Zack Clayton, right, steps in after challenger Muhammad Ali looks on after knocking down defending heavyweight champion George Foreman in the eighth round of their championship bout in Kinshasa, Zaire. (AP Photo/File) Associated Press/LaPresse

Come il “Rumble in the jungle” nessuno mai. Per quanti incontri di boxe, soprattutto nel pugilato nel XX secolo, abbiano colpito l’immaginario collettivo – dal “massacro di San Valentino” del febbraio 1951 tra Jake LaMotta e Sugar Ray Robinson al “The War” tra Marvin Hagler e Thomas Hearns nell’aprile del 1985, oppure l’incontro dell’orecchio di Evander Holyfield staccato a morsi da Mike Tyson il 28 giugno del 1997 – nessun incontro ha raggiunto lo status mitico della sfida tra Muhammad Ali e George Foreman nello Zaire il 30 ottobre del 1974. Esattamente 50 anni fa a Kinshasa. Nessun incontro mai così raccontato tra libri, film, documentari, per citarne tre su tutti: il libro The Fight dello scrittore Norman Mailer, il documentario Quando eravamo Re che si aggiudicò anche un Premio Oscar, il film Alì con protagonista Will Smith. 50 anni che hanno riverberato uno status leggendario.

Quando i pesi massimi erano Re per davvero: con tutto il rispetto per la monumentale riunificazione tra Oleksander Usyk e Tyson Fury allestita dai petroldollari sauditi. Quando la boxe e i suoi protagonisti attiravano l’attenzione di tutto il mondo: 60mila persone allo Stade du 20 mai e un miliardo di persone davanti alla televisione in tutto il mondo. Due campioni irripetibili, due modi completamente diversi di fare a cazzotti. 24 anni Foreman, 32 Ali. Entrambi erano stati ori olimpici. 38 incontri vinti di cui 35 per ko dal primo. Ancora fresco del rientro nel 1971 il secondo, sospeso dal 1967 al 1970 per essersi rifiutato di combattere per gli Stati Uniti in Vietnam. “Nessun vietcong mi ha mai chiamato negro”. Ancora oggi secondo alcuni il mondo non ha mai visto The Greatest al suo meglio, nel suo “prime” come si dice oggi, per via di quella squalifica.

FILE – Challenger Muhammad Ali, right, watches as defending world champion George Foreman goes down to the canvas in the eighth round of their WBA/WBC championship match, on Oct. 30, 1974, in Kinshasa, Zaire. (AP Photo/Richard Drew, File) Associated Press/LaPresse

Ali aveva perso nel 1971 al Madison Square Garden contro Joe Frazier, che invece era stato demolito, ribaltato al tappeto per sei volte da Foreman in un solo incontro nel 1973. Ali partiva sfavorito, Foreman era il campione. 5 milioni di dollari a testa in un Paese piagato da carestia e fame, siccità e povertà, analfabetismo e disoccupazione. Kinshasa era stata Leopodville con i belgi, centro nevralgico del traffico di avorio e di schiavi. Per quanto la vulgata racconti di un incontro voluto in Africa da Ali, in una sorta di ritorno afroamericano alle origini, il “terremoto nella giungla” fu soprattutto un’operazione del dittatore golpista e sanguinario Mobutu Sese Seko. “Un cadeau de President Mobutu au peuple Zairois et un honneur pur l’homme noir”, recitavano i cartelloni pubblicitari. Il promoter Don King gongolava. “È stata la cosa più grande che abbia fatto nella mia vita, l’orgoglio del popolo nero”.

“Ali Boma ye”

Foreman aveva la pelle più nera di Ali ma l’incontro fu anticipato e accompagnato dalle grida dei bambini dello Zaire. “Ali Boma ye”, Ali uccidilo: uno dei refrain ancora oggi noto, uno dei più noti nella storia dello sport intero, un altro capolavoro di comunicazione di un mattatore della parola oltre che del ring. Foreman poi ci aveva messo del suo quando all’arrivo a Kinshasa era sceso dall’areo con un pastore tedesco al guinzaglio: la razza di cane che quando il Congo era una colonia belga era aizzato e scagliato dagli occupanti verso il popolo nelle spedizioni punitive. Mobutu ci mise i soldi che Don King non avrebbe trovato in nessun altro posto del mondo. Ci riuscì grazie all’intermediazione di Fred Weymar, consigliere del Presidente, in un’autentica operazione di soft power.

FILE – This is a Sept. 22, 1974 file photo of Zaire\’s President Mobutu Sese Seko, center, as he raises the arms of heavyweight champ George Foreman, left, and Muhammad Ali, right, in Kinshasa, Zaire. (AP Photo/Horst Faas, File) Associated Press/LaPresse

Il promoter convinse i due atleti a trasferirsi in Zaire e a preparare l’incontro sul posto per abituarsi al clima e aumentare l’hype sull’evento. Sia Ali che Foreman si fecero vedere spesso in pubblico: neanche a dirlo chi fu più bravo in quelle occasioni. Ali insisteva molto sul suo ritorno in Africa, alle origini. Era ancora lo sportivo più influente al mondo, per le sue doti sul ring ma anche per quello che la sua vita era stata fuori dalle 16 corde. Si era convertito all’Islam nel 1964, si era unito alla Nation of Islam, aveva cambiato il suo nome “da schiavo” Cassius Clay, era stato molto vicino a Malcom X, si era opposto all’arruolamento in Vietnam. Foreman non aveva quel carisma ma era considerato unanimemente il pugile più forte in circolazione, un autentico “picchiatore” a differenza dello sfidante più tecnico e creativo che dopo le sconfitte con Frazier e Ken Norton aveva perso la sua aurea di superiorità incontrastata precedente alla squalifica.

Ready to Rumble in the Jungle

L’incontro previsto a settembre fu rimandato di un mese a causa dell’infortunio – un taglio all’occhio in allenamento – di Foreman. A quel punto Don King propose a Mobutu l’organizzazione di un concerto, lo Zaire 74, un festival di musica afro-americana cui parteciparono artisti statunitensi come Aretha Franklin, James Brown, B.B.King, Bill Withers e gli Spinners, africani come Hugh Masekela, Miriam Makeba, Manu Dibango, Fela Kuti e la trinidense Celia Cruz. Secondo alcune fonti l’evento generò in totale un indotto da 100 milioni di dollari a livello mondiale.

Quando i due pugili entrarono nelle sedici corde pesavano 97 e 99 chili. Si erano cambiati e vestiti e preparati negli spogliatoi in cui secondo le ricostruzioni giornalistiche e investigative erano stati torturati gli oppositori del regime. Ali e Foreman salirono sul ring alle 4:30 del mattino, quasi all’alba, temperatura di 26 e 27 gradi, con la pioggia incessante che risparmiò Kinshasa praticamente soltanto per il tempo dell’incontro. Negli Stati Uniti erano le 22:30. L’arbitro era Zack Clayton, che nel 1952 era diventato il primo afroamericano a dirigere un match valido per il titolo mondiale.

Alla campanella cominciò un match durissimo. Foreman sempre in avanti, avanzava e colpiva con i suoi pugni pesantissimi. Muhammad Ali invece non ballò come sempre, non si fece cercare stancando l’avversario per colpirlo in velocità di rimessa come aveva abituato: a Kinshasa portò la tecnica che aveva affinato negli ultimi tempi. Si chiamava “rope-a-dope”, consisteva nell’appoggiarsi alle corde e farsi colpire, limitando i danni alla testa, per scaricare la potenza di quei cazzotti tramite le corde al tappeto. Secondo alcuni Angelo Dundee, storico allenatore di Ali, aveva manomesso le corde allentandole per favorire ulteriormente la tecnica del suo pugile.

FILE – Perspiration flies from the head of George Foreman as he takes a right from challenger Muhammad Ali in the seventh round in the match dubbed Rumble in the Jungle in Kinshasa, Zaire on Oct. 30, 1974. (AP Photo/Ed Kolenovsky, File) Associated Press/LaPresse

All’ottava ripresa arrivò il momento apicale del pugilato: un ko stratosferico per incorniciare un dramma epico ed epocale. Dopo aver subito e assorbito alle corde e all’angolo, Ali venne dentro al tappeto portando una serie di colpi a uno stremato Foreman che a un destro devastante andò al tappeto mentre lo sfidante lo guardava andare giù, senza infierire con altri colpi, in pratica scortandolo con lo sguardo fino al ko. Ali aveva trovato una tecnica per comandare l’incontro senza dominare dal centro del ring. Svenne sul tappeto, invaso dagli entourage dei due pugili, e tornò a essere campione del mondo contro tutti i pronostici. Foreman subì una crisi mistica che quasi lo costrinse a lasciare il pugilato, cosa che avvenne tre anni dopo: divenne pastore evangelico prima di tornare alla boxe professionistica anni dopo, a 45 anni riconquistò il titolo, nel 1994. E divenne grande amico di Ali, con cui ebbe lunghissime chiacchierate telefoniche nel corso degli anni.

“Dopo averlo tanto odiato, adesso io amo Ali: è stato l’uomo migliore che abbia mai avuto la boxe, mentre io sono stato solo uno che picchiava gli altri”. Per Norman Mailer quel suo libro fu anche una maniera per capire gli uomini neri, in anni di dura contrapposizione tra contestazioni e rivendicazioni negli Stati Uniti. “I pugili erano mentitori. I campioni erano grandi mentitori. Dovevano esserlo. Se scoprivi ciò che pensavano, potevi colpirli”. Compendio di strategia e machismo, dissimulazione delle proprie emozioni tramite lo sport definito “l’ultimo baluardo maschile” per eccellenza, almeno prima che arrivasse la boxe femminile a rimettere tutto in gioco. Il “Rumble in the jungle”, per tutti gli spunti di approfondimento e riflessione che offre, nei più disparati campi, resta un momento insuperato nella storia dello sport mondiale.

FILE – In this March 24, 1997, file photo, George Foreman, left, looks on as Will Smith, center, gives Muhammad Ali a hug after Ali And Foreman made an appearance on stage after the film “When We Were Kings” was awarded Best Documentary Feature at the 69th Annual Academy Awards in Los Angeles. The Associated Press has compiled a list of the best sports movies ever made — a one-of-a-kind AP Top 25. Two documentaries made the rankings: “Hoop Dreams” at No. 14 and “When We Were Kings,” tied for No. 21. (AP Photo/Susan Sterner, File)

30 Ottobre 2024

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