Il naufragio di Roccella Ionica del giugno scorso non risale alla notte fra il 16 e il 17 quando un veliero francese, in acque SAR italiane, trovò sulla propria rotta una barca semi-affondata, ma a due o tre giorni prima, e sempre nelle nostre acque SAR.
Il 16 giugno le autorità italiane vennero a conoscenza di una imbarcazione in pericolo a circa 90 miglia da Roccella Ionica. Lanciarono un messaggio alle navi in transito, piuttosto che agire direttamente, come si fa nelle proprie acque di competenza. I naufraghi, ritrovati 40 miglia più in là verso la Grecia, erano rimasti diversi giorni in acqua: famiglie intere, donne e bambini. Erano 76 e soltanto 11 si sono salvati. Bisognerà tornare su questo naufragio, ancor più grave, se possibile – per i silenzi, per le implicazioni istituzionali – di quello accaduto a Cutro nel febbraio dello scorso anno.
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Per ora, basta ribadire due fatti. Il primo: la posizione segnalata il giorno 16 (e riferita a tre giorni prima) e quella del luogo del naufragio (si tratta della stessa imbarcazione, poi sospinta a est dalle onde) si trovano entrambe in acque di ricerca e soccorso italiane: una cosa facilmente documentabile, grazie anche alle ricostruzioni grafiche fornite da Sergio Scandurra di Radio Radicale. Il secondo: nessun mezzo istituzionale, secondo quanto documentato da Report nel servizio andato in onda domenica sera, eseguì ricerche nella zona. Certo, che bisognerà tornarci.