Il membro della Direzione nazionale dem
Intervista a Roberto Morassut: “Il Pd cresce ma paga le bizze di Conte e Renzi”
«In vista delle elezioni tutta l’opposizione, sia politica che sociale e civica, si dovrebbe unire. Con le manovre di questo governo c’è urgenza di pensare a un futuro per una civiltà migliore»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Roberto Morassut, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito democratico, vicepresidente della Fondazione Giacomo Matteotti. Paradosso Liguria. Il Pd vince perdendo. Primo partito alla grande, ma il candidato a presidente della Regione sconfitto. Come se lo spiega?
La Liguria era una consultazione difficile. Sul filo di lana, lo sapevamo tutti. Aperta ad ogni esito. Con poche migliaia di voti in più, ora si parlerebbe di trionfo ma i problemi della coalizione di centrosinistra resterebbero tutti. La costruzione di una alleanza plurale ma coerente è un processo ancora aperto. Orlando ha stravinto a Genova dove Bucci avrebbe dovuto prevalere e questo è un dato molto importante. La destra ha prevalso nelle province, nelle aree interne e soprattutto ad Imperia, grazie alla rete di potere di un certo Scajola, quello che ebbe in regalo una casa senza sapere chi fosse il donatore. Il Pd vince perché è percepito come la forza di opposizione più credibile, come la guida della coalizione, la forza più unitaria e come quel partito che, pur tra tanti problemi, si sta rinnovando e sta cercando le vie più giuste per mettersi in sintonia con le istanze di cambiamento, di maggiore giustizia sociale che si agitano nella società. Mi permetto di dire che non altrettanto emerge per i nostri alleati. Sia nella cosiddetta area moderata, percepita come divisa e divisiva, sia nel Movimento 5 stelle, che sta attraversando una fase interna molto complessa e non sa ancora darsi un’identità riformatrice autonoma e complessiva aldilà del rituale richiamo ad un generico civismo. La somma algebrica di questi fattori spiega, in un certo senso, il successo del Pd e l’insuccesso degli altri e della coalizione tutta.
Il post voto ripropone vecchie litanie agronomo-politiche: campo largo, campo coeso, campo accidentato… Ma non sarebbe ora di darci un taglio?
Il rischio che la iterazione gergale delle formule produca noia e indifferenza – se non ironia – è inevitabile se non emergono con sempre maggiore forza e chiarezza per il maggior numero delle persone e per le “masse” i contenuti, i programmi, una visione critica e costruttiva del Paese, un profilo ideale che susciti nuove appartenenze, passione partecipazione. Il Partito democratico è pienamente impegnato in questa direzione. Abbiamo il nostro passo ma i risultati stanno arrivando: cresce un profilo programmatico riformatore e un rapporto con la società più fecondo. Le due cose vanno insieme. Ma, come ho detto, non è così per alcuni alleati che sono decisivi per il successo numerico del “campo largo”. E mi riferisco al centro liberaldemocratico, in tutte le sue parcellizzate forme partitiche, e ai 5Stelle. Litigano e si beccano. Italia viva ha con tutta evidenza incrociato il voto in Liguria come ripicca al veto dei 5Stelle. Questa situazione fa perdere tutti. Bisogna dire le cose come stanno. E per dirla tutta è evidente che le storie, le persone e i conflitti passati pesano. L’area moderata deve darsi un profilo nuovo, aggregarsi e presentarsi con leadership nuove, credibili e unitarie che non lascino aperto il rischio di repentine rotture, di furbizie.
Sta parlando di Renzi e Calenda?
Non ho mai avuto motivo di rancori personali né politici né con Renzi, né con Calenda, ma chi semina vento, raccoglie tempesta. È ovvio che una parte consistente di elettorato di sinistra non si fida più né dell’uno, né dell’altro. Il problema non è di rapporti personali ma di storie politiche che hanno un peso e lasciano delle tracce profonde.
Una cosa è certa: il tracollo dei 5Stelle, dilaniati da una faida interna che non sembra avere fine. Come la mettiamo?
Vuole la mia sincera opinione? Considero conclusa la parabola del Movimento 5 stelle che era sorto in un certo contesto politico, in una stagione caratterizzata da un vuoto di rappresentanza che si cercò di colmare con una proposta trasversale antipolitica. Adesso Conte sta gestendo un passaggio delicato, lo fa coraggiosamente… Ma diciamoci la verità: in una condizione generale in cui vota il 50% degli elettori, in cui la componente elettorale di destra del movimento è rifluita nei partiti di destra – prima la Lega e poi FdI – in cui non ci sono più né Grillo né ancor prima Casaleggio, cosa rimane di quella esperienza? Ben poco. Il rischio è che ci si condanni in un ruolo di pura competizione col Pd, per rosicchiare un po’ di voti, fare sgambetti come sulla Rai, approfittare di qualche errore o inciampo nostro. Il tutto per garantire un po’ di ceto politico. Invece no! Ora che tutto è cambiato, che c’è un Pd diverso, più aperto, che segue il sentiero del rinnovamento e della sintesi tra riforme e rapporti con la società civile sarebbe il momento di tentare una coraggiosa mossa unitaria che cambi il quadro e metta in moto tante energie sopite che aspettano una scossa…
Vale a dire?
Vale a dire un processo federativo che parta da un “patto di unità d’azione”, come si sarebbe detto un tempo, e che abbia la prospettiva di portare alla nascita di un unico grande soggetto politico, un partito-movimento ma plurale al suo interno, con una base costitutiva condivisa, sebbene con accenti diversi. Credo che questo processo dovrebbe coinvolgere anche Avs. Un processo progressivo, non politicista, a freddo ma che deve avere un percorso. Perché davvero e sempre più, io fatico a capire che cosa mi divide, al fondo, da tanti elettori o amiche, amici, compagne e compagni di Avs e del 5Stelle, adesso che tutto è tornato al dunque, cioè alla fatidica domanda del “Che fare?”, se il problema è restare separati per sempre perché dobbiamo distribuire posti questo si può fare lo stesso in un pluralismo interno vero e reale, molto diverso di quello asfittico e artificiale, inventato che ancora caratterizza il Pd. In Italia, questo è il punto, serve un forte soggetto democratico, socialista e ambientalista, europeista che si attesti almeno al 30-35% dei voti e che raccolga il sostegno di milioni di elettori che potrebbero vedere in questo fatto nuovo una speranza e un cambiamento. So bene che le leggi elettorali attuali non facilitano l’aggregazione ma questo è un alibi.
Quindi, tra polemiche, ripicche e tafazzismo dilagante c’è vita a sinistra?
C’è vita. Ma la vita deve cambiare per mantenersi più a lungo possibile, altrimenti lascia spazio alla morte. Io credo che per costruire livelli di unità e, se possibile, di integrazione sempre più costituenti tra tutte le forze di opposizione si debbano immaginare delle tappe concrete. Adesso ci saranno delle consultazioni regionali che potrebbero, mi auguro, persino cambiare le valutazioni generali su questa fase politica, poi potrebbe esserci il referendum sull’autonomia differenziata. Saranno momenti di grande unità e di verifica di tutto il “campo largo”. Ma in vista delle elezioni politiche si potrebbe pensare ad organizzare un momento comune, corale di confronto sulle grandi scelte programmatiche e di visione dell’Italia e dell’Europa, una sorta di Stati Generali che raccolga la partecipazione ed il contributo di tutte le forze politiche di opposizione e anche di forze sociali, civiche, intellettuali. Sento fortemente l’esigenza che si crei un “idem sentire” su alcune opzioni di fondo, che si ragioni concretamente e pragmaticamente sul rapporto tra giustizia sociale e transizione ecologica, che è l’asse della nostra linea. Sento questa necessità perché avverto che aldilà di tutto, quello che limita ancora la forza delle opposizioni è la sensazione che si dicano troppi “no”, magari sacrosanti, e che la coalizione sia ancora intrappolata e condizionata dalle storie e dalle inimicizie interne del passato. Questo, fa apparire la destra una forza che pur tra le numerose divisioni interne, ha una proposta per il futuro, vuole cambiare. Mentre noi vogliamo prevalentemente frenare e non tutti allo stesso modo. Serve quindi un momento collettivo, un atto e una celebrazione corale.
Ma il rischio non è fare come “l’Unione” con 18 capi partito sul palco che avevano ognuno un volume di 400 pagine in mano?
No. Per carità. Ricordo quella foto come un incubo e in parte come una scena comica. Serve un momento corale che definisca gli assi fondamentali, per un programma fondamentale per “Rifare l’Italia” come ho già detto su queste pagine citando Turati. Qui bisogna far capire a milioni di italiani come vogliamo unire giustizia sociale e sostenibilità. Giusto? Vale a dire dove e come trovare le risorse per grandi programmi pubblici su sanità, scuola e casa in primo luogo, e su come fare in modo che il minor lavoro liberato dalle nuove tecnologie non diventi disoccupazione e come l’enorme, colossale ricchezza prodotta dall’innovazione tecnologica non si concentri in poche mane ma venga ragionevolmente redistribuita. Infine, su come perseguire un nuovo ordine mondiale in cui l’Europa sia protagonista di una diplomazia mondiale multilaterale basta su una inevitabile deterrenza militare ma anche sul riconoscimento dei diversi protagonisti che animano il concerto globale. Il mondo davvero è a un bivio: può precipitare nelle guerre e nella guerra, nel definitivo trionfo delle energie fossili, nell’uso autoritario delle nuove tecnologie oppure, come scrive Marx nell’Ideologia Tedesca, liberare l’uomo dal dominio del lavoro e del macchinismo, costruire la pace di questo secolo – perché purtroppo la guerra è la lotta contro l’incubo della morte e ci sarà sempre dentro ognuno di noi come illusione di renderci eterni –, e puntare su energie rinnovabili di lungo tempo, a partire dall’idrogeno da fusione nucleare che, tra non molto, potrà essere il vettore di energia pulita dominante. Oppure immaginare un trasporto che anche nelle città, grazie alla diffusione dei droni, stacchi l’uomo dall’era della ruota e quindi dal suolo. Forse andiamo un po’ oltre l’ordine del giorno di questo colloquio ma, poiché in questi mesi si parla molto di Berlinguer, voglio ricordare che una delle sue ultime intuizioni fu quella di tenere un grande convegno internazionale di Futurologia. È un’idea da riprendere. Il Pd dovrebbe pensarci. Dobbiamo parlare, immaginare, praticare il futuro per indirizzarlo verso una civiltà migliore.
Intanto c’è la legge di bilancio.
Una manovra ingiusta di tagli e tasse. Lo abbiamo detto. Noi stiamo lavorando ai nostri emendamenti, Proverei a dare un segnale che ritengo importante… Introdurre un prelievo progressivo sui profitti delle società di capitale, che sono molto “rispettati” dal fisco e destinare le risorse derivanti da questa misura ad aumentare i fondi per la Sanità e possibilmente per la Scuola, in particolare per i salari del corpo docente. Una piccola patrimoniale con chiare finalità ben definite.
Per concludere. Martedì l’America vota. L’incubo Trump può trasformarsi in realtà.
Possiamo solo assistere e sperare nel miracolo di Kamala Harris. La vittoria di uno che è già stato Presidente e che ha spinto ad una trasformazione populista della più grande democrazia occidentale, che ha introdotto l’odio e la violenza nel confronto politico sarebbe drammatica e darebbe un ulteriore impulso al sovranismo in Europa. Lavorerebbe per l’indebolimento dell’UE e in ultima analisi per un maggiore rischio per la pace. Perché la legittimazione di Putin e del suo regime che ne deriverebbe sarebbe momentanea e comunque darebbe forza a quel regime riducendo il confronto ad una competizione militare nel Pacifico tra USA e Cina. Cosa che, in un mondo multipolare, avrebbe drammatiche ricadute su tutto il globo.