La sentenza ignorata
La denuncia dei magistrati di sorveglianza: sui colloqui intimi in carcere consulta ignorata
A ormai nove mesi dal deposito, i magistrati di sorveglianza denunciano la mancata attuazione della sentenza della Corte costituzionale sul diritto all’affettività in carcere.
Giustizia - di Redazione Web
A ormai nove mesi dal deposito, i magistrati di sorveglianza denunciano la mancata attuazione della sentenza della Corte costituzionale sul diritto all’affettività in carcere.
«Molteplici sono le attuali criticità del sistema penitenziario che ostacolano le finalità rieducative e risocializzanti della pena detentiva», si legge in una nota del Conams, Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza. «Prima tra tutte il permanente e gravissimo sovraffollamento carcerario, oltre alle strutturali carenze di personale all’interno degli Istituti penitenziari (Polizia penitenziaria, operatori dell’Amministrazione penitenziaria e delle Aree sanitarie), così come nei Tribunali e negli Uffici di sorveglianza (che in conseguenza stentano a provvedere con la dovuta tempestività sulle istanze dei detenuti) ed alla generale scarsità di risorse economiche, indispensabili per offrire a tutte le persone detenute l’opportunità di svolgere attività psicoeducative, riabilitative, lavorative, di formazione professionale e di studio.
Il Comitato esecutivo del Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza ritiene peraltro necessario porre in evidenza l’ulteriore criticità che deriva dalla persistente mancata attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 10/2024, depositata il 26.1.2024 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 31.1.2024, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 co. 3 della l. n. 354/75 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) “nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie.”
Tale omissione, come efficacemente evidenziato dalla stessa Corte, comporta la persistente assenza di colloqui affettivi intimi della persona detenuta con il partner, contribuendo ad ostacolare le finalità rieducative e risocializzanti della pena: “L’impossibilità per il detenuto di esprimere una normale affettività con il partner si traduce in un vulnus alla persona nell’ambito familiare e, più ampiamente, in un pregiudizio per la stessa nelle relazioni nelle quali si svolge la sua personalità, esposte pertanto ad un progressivo impoverimento, e in ultimo al rischio della disgregazione. Da questo punto di vista si evidenzia la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto una pena che impedisce al condannato di esercitare l’affettività nei colloqui con i familiari rischia di rivelarsi inidonea alla finalità rieducativa. […] Il perseguimento di questo obiettivo [i.e. della risocializzazione] risulta anzi gravemente ostacolato dall’indebolimento delle relazioni affettive, che può arrivare finanche alla dissoluzione delle stesse, giacché frustrate dalla protratta impossibilità di coltivarle nell’intimità di incontri riservati, con quell’esito di desertificazione affettiva che è l’esatto opposto della risocializzazione”.
È noto – continua la nota del Conams, che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria abbia disposto, nel corso degli ultimi mesi, l’attivazione di un tavolo di lavoro per acquisire dati e informazioni ritenuti necessari e preliminari all’adozione di norme regolamentari tese a dare attuazione alla sentenza. Tuttavia, pur considerate le prevedibili difficoltà nel dare attuazione alla sentenza, va ricordato che la stessa Corte Costituzionale, consapevole dello “sforzo organizzativo che sarà necessario per adeguare ad una nuova esigenza relazionale strutture già gravate da persistenti problemi di sovraffollamento”, ha suggerito una gradualità esecutiva, fornendo importanti criteri che dovranno guidare la progressiva attuazione della nuova modalità di svolgimento dei colloqui, per la quale, come chiarito dalla sentenza, non è necessaria l’adozione di una legge di rango primario.
Il tempo, non breve, ormai decorso dal 31.1.2024 senza che in alcun istituto penitenziario del Paese sia stata data esecuzione alla decisione della Consulta, di per sé dotata di immediata efficacia dalla data della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ci impone, dunque, di porre all’attenzione dell’Amministrazione penitenziaria tale tema, auspicando un pronto adeguamento della stessa ai dettami costituzionali.», concludono i magistrati di sorveglianza.