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Chi vincerà le elezioni negli USA, Harris o Trump: America al voto con lo spettro dell’”anatra zoppa”

AP Photo/Alex Brandon

AP Photo/Alex Brandon

Certo, gli occhi del mondo sono puntati sul voto per la Presidenza. Ma c’è un ma… Sì, perché chiunque sarà il nuovo inquilino, o inquilina, della Casa Bianca potrebbe essere, fin dall’inizio del mandato quadriennale, un’ “anatra zoppa”. Andiamo con ordine.

A due giorni dal voto, secondo la media dei sondaggi di FiveThirtyEight, Kamala Harris ha mantenuto il suo vantaggio di 0,6 punti percentuali in Michigan, ha diminuito il margine in Wisconsin restando avanti dello 0,3% ma è stata superata in Nevada da Trump, ora avanti dell’1,2%. L’ex presidente repubblicano è leggermente avanti in Pennsylvania, dello 0,3%, ed è ancora in vantaggio in North Carolina (1,4%), in Arizona (2,9%) e in Georgia (2,3%). Numeri simili, con calcoli statistici diversi, emergono anche dalla media dei sondaggi di RealClearPolitics. Harris mantiene il suo vantaggio in Michigan e Wisconsin (0,7% e 0,8% rispettivamente), mentre Trump è avanti in Arizona (2,6%), in Nevada (0,7%), in Pennsylvania (0,2%), in North Carolina (1,3%) e in Georgia (1,5%). Questi scenari darebbero la presidenza a Trump, ma tutti i numeri sono all’interno del margine di errore e basterebbe ribaltare il voto in Pennsylvania per cambiare l’esito delle elezioni.

Nelle ultime ore prima del voto, però, i rilevamenti hanno cominciato a registrare, soprattutto grazie all’elettorato femminile, il rimbalzo di Harris, che dopo tre settimane di dati negativi si è risollevata. L’Iowa Poll, rispettatissimo sondaggio di Des Moines Register/Mediacom, vede Harris avanti di 3 punti (47% a 44%) nello Stato che già due volte aveva votato con decisione Trump, e che anche quest’anno sembrava saldamente nelle sue mani – tanto che nessuno dei due sfidanti ha messo piede in Iowa dalla fine delle primarie. Nel 2020, lo stesso rilevamento aveva segnalato un testa a testa fino all’ultimo, per poi assegnare la vittoria a Trump a pochi giorni dalle elezioni. L’Iowa assegna appena 6 voti elettorali, ma aprirebbe alla vicepresidente altri sentieri verso la vittoria e soprattutto potrebbe anche rappresentare un indizio anche per gli altri Stati. L’altro dato interessante arriva dal sondaggio di New York Times e Siena College, che fissa il pareggio in Pennsylvania e a sorpresa assegna a Harris il Nevada (+3%) e il North Carolina (+2%). Per Harris altri 2 punti di vantaggio in Wisconsin e 1 in Georgia, mentre anche in Michigan sarebbe pareggio. A Trump resterebbe l’Arizona, con un margine di 4 punti. Se questo fosse lo scenario finale, Harris arriverebbe a 268 voti elettorali e le basterebbe vincere uno dei due Stati in pareggio per diventare la prima presidente donna nella storia degli Stati Uniti.

Secondo i conteggi più affidabili, i due candidati partono da un bottino certo: 226 voti elettorali per Harris, 219 per Trump. Per superare la soglia dei 270 necessari per essere eletti sono quindi necessari circa metà dei 93 voti elettorali assegnati dagli Stati in bilico: la Pennsylvania ne concede al vincitore 19, la Georgia e la North Carolina 16, il Michigan 15, l’Arizona 11, il Wisconsin 10 e il Nevada 6. Entrambi, stando al sito 270toWin, avrebbero a disposizione 21 combinazioni per diventare presidenti, e in quattro casi si potrebbe realizzare un pareggio.
Testa a testa, dunque. E lo stesso si può dire per la partita tra democratici e repubblicani nei due rami del Parlamento Usa. Oggi verranno rinnovati tutti i 435 seggi della Camera, come succede ogni due anni, e 33 dei 100 seggi del Senato. Il mandato dei senatori dura sei anni, ma ogni due anni viene rinnovato un terzo dei seggi.

Le elezioni del Congresso avranno ripercussioni importanti anche sui margini di azione del prossimo presidente: la Camera e il Senato devono approvare le leggi e le nomine di giudici e segretari, tra le altre cose. Non avere la maggioranza, oppure averne una molto risicata, e lavorare con un Congresso diviso, dove le due camere sono controllate da partiti diversi, metterebbe quindi in difficoltà il o la presidente e complicherebbe il processo legislativo. Le ultime elezioni per la Camera e il Senato si sono svolte nel 2022. Al momento i repubblicani hanno la maggioranza alla Camera, con 220 seggi contro i 212 dei democratici (ci sono tre seggi vacanti). I democratici hanno invece la maggioranza al Senato, con 51 parlamentari contro 49: un margine molto ridotto, nel quale anche un solo voto può fare la differenza. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che i senatori democratici sono in realtà 47, a cui se ne aggiungono quattro formalmente indipendenti ma vicini al Partito democratico, tra cui Bernie Sanders.

Come per le elezioni presidenziali, i sondaggi per molti seggi contesi sia alla Camera che al Senato sono incerti e tutte le previsioni vanno prese con cautela. Secondo il modello probabilistico elaborato dall’Economist, i democratici hanno il 56% di probabilità di ottenere la maggioranza alla Camera, e i repubblicani hanno il 69% di probabilità di controllare il Senato. Sarebbe una situazione opposta a quella attuale. Su un punto sondaggisti e analisti concordano: i democratici perderanno almeno un seggio al Senato, quello di Joe Manchin, un senatore indipendente del West Virginia, in carica dal 2010, che a questo giro non si è ricandidato. Il West Virginia è uno stato profondamente conservatore, dove da più di 20 anni alle elezioni presidenziali vince il candidato repubblicano, spesso con ampi margini. In seguito al ritiro di Manchin è molto probabile che il suo seggio venga vinto dal candidato repubblicano Jim Justice, indicato come favorito da tutti i sondaggi. I democratici potrebbero perdere un altro seggio in Montana, dove Jon Tester, in carica dal 2007, è in difficoltà contro il candidato repubblicano Tim Sheehy. Anche il Montana è uno stato tradizionalmente repubblicano, la cui composizione demografica sta cambiando molto negli ultimi anni a causa dell’arrivo di persone benestanti che comprano case e terreni. Il NYT definisce “improbabile” che i democratici riescano a conquistare altri seggi controllati dai repubblicani.

In questa situazione, l’unica speranza sarebbe quella di conservare 50 seggi e concludere in parità: un risultato che, con la vittoria di Kamala Harris alle elezioni, consentirebbe di mantenere il controllo del Senato, dal momento che in condizioni di parità lo stallo viene superato con il voto del vicepresidente. La perdita di due seggi – quelli di Manchin e Tester – potrebbe portare il Partito democratico a perdere la maggioranza al Senato. E questo è un grosso problema: il Senato deve approvare a maggioranza semplice le nomine dei segretari, ossia i ministri. Se quindi Kamala Harris dovesse diventare presidente, un Senato a maggioranza repubblicana potrebbe impedirle di nominare segretari considerati eccessivamente progressisti, costringendola a scendere a compromessi e proporre persone più moderate.

Il Senato ha anche il potere di bloccare le nomine dei giudici della Corte suprema, un altro tema di cui negli ultimi due anni si è discusso a lungo. L’incarico dei giudici dura per tutta la vita, e durante il suo mandato l’ex presidente e attuale candidato repubblicano Donald Trump riuscì a nominare tre giudici su un totale di nove, dando alla Corte un orientamento decisamente conservatore. Al contrario, se Trump dovesse vincere le elezioni presidenziali e ottenere anche la maggioranza al Senato, avrebbe un largo margine di azione per nominare segretari e giudici. La composizione del prossimo Congresso influenzerà la possibilità di Harris e Trump di raggiungere risultati concreti sulle molte proposte fatte in campagna elettorale, dalla costruzione di milioni di nuove case a vari bonus e agevolazioni fiscali.

Quanto ai due competitor, Trump è ritornato ancora una volta sul risultato delle elezioni del 2020, vinte da Joe Biden, e dichiara: «Non avrei dovuto lasciare la Casa Bianca». «Avevamo fatto così bene, ci eravamo divertiti così tanto…», ha aggiunto durante un comizio in Pennsylvania. Il tycoon attacca la stampa sostenendo che non gli «dispiacerebbe se qualcuno sparasse ai media».
Il candidato democratico alla vicepresidenza Tim Walz ha risposto a Trump: «Non ha imparato la lezione allora, ma la imparerà domani». Sono già oltre 78 milioni gli elettori che hanno espresso il loro voto anticipato nelle elezioni, quasi la metà di quelli che votarono complessivamente all’Election day nel 2020 (158 milioni). È il dato della Election Lab at the University of Florida.

Washington, Oregon e Nevada sono i primi tre stati ad aver allertato la Guardia nazionale come misura precauzionale contro i rischi di rivolte legate alle elezioni americane di domani. Lo riportano i media Usa. Negli stati di Washington e dell’Oregon ci sono stati episodi di contenitori di schede elettorali dati alle fiamme. Nel timore di disordini sono state erette barriere protettive intorno alla Casa Bianca, a Capitol Hill e il Naval Observatory, la residenza della vicepresidente, e candidata democratica, Kamala Harris. Le inferriate, di circa 2,5 metri di altezza, sono state montate nel weekend nell’ambito di una serie di misure di sicurezza aggiuntive adottate dalle autorità della capitale, che comunque continuano ad inviare messaggi rassicuranti alla popolazione dicendo che non sono state ricevute minacce credibili. Barriere protettive sono state predisposte dal Secret Service anche intorno al Convention center di West Palm Beach dove Donald Trump ospiterà un ricevimento la notte elettorale. Un clima (elettorale) infuocato.