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Oltre 70 milioni di persone hanno già votato e altrettante sono attese oggi alle urne, negli Stati Uniti, per decidere il 47esimo presidente degli Stati Uniti. Si vota già sulla costa orientale del Paese, ma sono gli orari di chiusura quelli da tenere d’occhio per provare a capire quando potremmo avere un’idea del vincitore, tra la democratica Kamala Harris, attuale vicepresidente, e il repubblicano Donald Trump, 45esimo presidente degli Stati Uniti. I primi seggi chiuderanno alla mezzanotte italiana, in Indiana e Kentucky, mentre per gli ultimi, in Alaska, bisognerà aspettare le 7 del mattino. La sfida tra Harris e Trump si deciderà in sette Stati e, per gli esperti, entrambi i candidati hanno una realistica possibilità di vittoria: Georgia, North Carolina, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Arizona e Nevada, dove i seggi chiuderanno tra l’1 e le 4 del mattino (in Italia). Secondo i modelli statistici di uno dei massimi esperti di previsioni elettorali, Nate Silver, Harris ha il 50,015% di possibilità di vittoria.
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Elezioni Usa 2024: chi è avanti tra Harris e Trump
Considerando che il confronto tra Harris e Trump appare serrato, è difficile immaginare che un vincitore emerga nelle prime ore di domani mattina. Possibile che, negli Stati decisivi per la vittoria, si procederà con i riconteggi: in Pennsylvania, per esempio, un riconteggio è necessario in caso di differenza di mezzo punto percentuale tra i due contendenti. Non improbabile, anche, che si proceda con cause legali. Nel 2020, Joe Biden fu dichiarato vincitore dai media quattro giorni dopo l’Election Day. Nel 2016, Trump fu dichiarato vincitore quando in Italia erano circa le 9 del mattino seguente. Nel 2012, Barack Obama ottenne di fatto il secondo mandato quando in Italia era ancora notte. Tutti ricordano anche le Elezioni del 2000, quando la Corte Suprema mise fine al riconteggio in Florida e George W. Bush fu dichiarato vincitore, cinque settimane dopo il voto. Bisogna ricordare che i cittadini non eleggono direttamente il presidente: nominano invece dei ‘grandi elettori’ scelti dai due partiti fra funzionari, sostenitori e politici locali che a loro volta eleggono poi il presidente.
Il testa a testa: i primi risultati
Sono in totale 538, un numero pari alla somma dei senatori (100) e dei deputati (435) che compongono il Congresso, oltre ai tre rappresentanti del District of Columbia, dove si trova la capitale Washington. Il numero di grandi elettori assegnati da ogni Stato è stabilito in proporzione agli abitanti, con i più popolosi che hanno un peso maggiore: la California ne ha 54, i più piccoli come il Vermont ne hanno tre. Per diventare presidente, bisogna ottenere almeno 270 voti elettorali su 538. Il candidato che vince il voto popolare nei singoli Stati ne ottiene tutti i voti elettorali, tranne che in Maine e in Nebraska, dove vige un sistema misto. In ogni Stato, le dispute sul voto dovranno essere risolte entro l’11 dicembre. Il 17 dicembre si riunisce quindi in ogni Stato il collegio elettorale degli Stati Uniti – ovvero tutti i grandi elettori – che voterà per eleggere formalmente il presidente. Entro il 25 dicembre, i loro voti saranno inviati al Senato, dove saranno contati in seduta comune dal nuovo Congresso il 6 gennaio, quando sarà proclamato il nuovo presidente, che presterà giuramento e si insedierà il 20 gennaio.
Come si vota negli Stati Uniti
Gli elettori voteranno anche per rinnovare tutti e 435 i seggi della Camera, dove il mandato dura due anni, e un terzo del Senato, quest’anno 34 seggi, dove il mandato dura sei anni. Al momento, i democratici hanno in mano il Senato – riconquistato alle Elezioni del 2020 – dove hanno 51 seggi, contro i 49 dei conservatori. I repubblicani hanno invece la maggioranza alla Camera, riconquistata nel 2022, con 220 seggi contro i 212 del partito avversario (e 3 vacanti). Si vota anche per l’elezione di 11 governatori, migliaia di cariche statali e locali e quasi 150 referendum: i cittadini saranno chiamati a esprimersi sull’aborto in 10 Stati, in particolare negli Stati in bilico di Arizona e Nevada, in quattro sulla legalizzazione della marijuana e in Arizona per approvare misure più stringenti sull’immigrazione. Il sistema di elezione presidenziale negli Stati Uniti è indiretto. I cittadini non votano direttamente per il presidente, ma eleggono i grandi elettori, che successivamente voteranno per il candidato presidenziale.
Il sistema elettorale americano
Ogni Stato ha un numero di grandi elettori proporzionale alla sua popolazione. In tutto sono 538, numero che deriva dal totale dei rappresentanti del Congresso (435 più a00) a cui si aggiungono i 3 rappresentati del Distretto di Columbia, dove si trova Washington. Per vincere, un candidato deve ottenere almeno 270 voti, con ciascuno Stato che assegna i voti in base alla regola del ‘winner-take-all‘ (il vincitore prende tutto), eccetto Nebraska e Maine, dove è in vigore un sistema misto. Se nessun candidato ottiene i 270 voti necessari, il voto si sposta alla Camera dei Rappresentanti, dove ogni stato esprime un unico voto. Questo tipo di elezione è raro, l’ultimo caso risale al 1837. Il Senato sceglie invece il vicepresidente con un voto individuale. Il voto popolare non determina direttamente il vincitore, e questo sistema può portare a esiti in cui il candidato con più voti a livello nazionale non vince. Esempi recenti sono le elezioni del 2000, quando George W. Bush sconfisse Al Gore, e del 2016, quando Trump vinse contro Hillary Clinton pur avendo meno voti popolari.
Perché si vota di martedì
Le elezioni federali negli Stati Uniti si svolgono da quasi 180 anni il martedì successivo al primo lunedì di novembre. Le ragioni della scelta dell’Election Day sono molto pragmatiche e legate soprattutto a ragioni logistiche ed economiche. In principio, dopo l’indipendenza delle colonie dalla madre patria britannica, ogni Stato dell’Unione stabiliva la data delle elezioni, che dovevano tenersi nei 34 giorni precedenti al primo mercoledì di dicembre. Le votazioni in tutti gli Stati dovevano concludersi entro quella data. Ma il caos era grande, le date troppo diverse e la raccolta dei dati difficilissima. Così, nel 1845, si decise di uniformare la data del voto e il Congresso stabilì che i cittadini americani aventi diritto (all’epoca solo bianchi, possidenti e maschi) sarebbero andati a votare appunto il martedì seguente al primo lunedì di novembre. Le ragioni, come detto, furono soprattutto pratiche e logistiche.
Perché si vota a novembre
La maggior parte degli elettori viveva in aree rurali e per raggiungere il seggio serviva almeno un giorno di viaggio in carrozza o a cavallo. Furono esclusi quindi la domenica, dedicata al riposo e alla preghiera, e il lunedì, proprio perché non ci si poteva mettere in viaggio di domenica. Il mercoledì fu escluso in quanto giorno di mercato e e il giovedì avrebbe presentato lo stesso problema di spostamento (ovvero muoversi il giorno precedente per raggiungere il seggio). La scelta considerata più comoda dunque fu quella del martedì. Anche la decisione di votare a novembre ha a che fare con la situazione economica e sociale di un paese principalmente agricolo. Nel mese di novembre infatti erano terminati i raccolti e gli impegni erano minori per i proprietari terrieri uomini, gli unici con diritto di voto. Il giorno delle elezioni tuttavia, soprattutto negli ultimi anni, una grossa fetta di elettorato ha già espresso il suo voto. In quasi tutti gli Stati e in forme diverse infatti c’è la possibilità di votare in anticipo e per corrispondenza.
Gli stati in bilico
Quest’anno circa 60 milioni di elettori americani hanno votato già prima del martedì elettorale. Nel 2020 (anche a causa del Covid) la modalità del voto anticipato arrivò al record di 66,4 milioni di schede. Il voto anticipato è autorizzato in tutti gli Stati Usa tranne Alabama, Mississippi e New Hampshire che non consentono il voto anticipato, a meno che non ci siano specifiche motivazioni. Mentre alcuni stati sono storicamente roccaforti repubblicane o democratiche, gli stati in bilico tra i due partiti, noti come swing states, spesso decidono chi vincerà la presidenza. Per il 2024 i principali stati in bilico includono Pennsylvania e Wisconsin, dove nel 2020 Joe Biden ha vinto con un margine ristretto; Michigan, parte della ‘Rust Belt‘; Georgia, Stato del sud tradizionalmente repubblicano che ha sorpreso nel 2020 passando ai Democratici; Arizona, che nel 2020 ha fatto il salto verso i Democratici; Nevada e North Carolina.