Il nuovo scivolone della premier

Meloni fa indignare Mattarella e i magistrati: la convocazione di Pinelli ennesimo scivolone della premier

Per la visita informale del vicepresidente del Csm a palazzo Chigi Mattarella ha espresso “stupore”, ovvero profonda indignazione

Politica - di David Romoli

6 Novembre 2024 alle 15:00

Condividi l'articolo

Foto Francesco Ammendola/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse
Foto Francesco Ammendola/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse

Una politica esperta come Giorgia Meloni deve essere davvero sull’orlo della crisi di nervi per commettere un errore come quello di lunedì, la convocazione a palazzo Chigi del vicepresidente del Csm Pinelli, quota Lega, non concordata con il presidente sia della Repubblica che del Consiglio superiore della magistratura Mattarella. Ieri il Csm, o più precisamente il suo vicepresidente, ha fatto sapere in via informale che il Quirinale era stato informato. È vero ma è anche quasi la classica toppa peggiore del buco.

Il capo dello Stato è stato infatti messo al corrente dell’incontro, sui cui contenuti non è filtrato per una volta assolutamente niente, all’ultimo minuto, dunque quasi a cose fatte, quando sarebbe stato tardi per consigliare di soprassedere. Mattarella l’ha presa male. La formula adoperata dal Colle è quella dello “stupore”, lieve se proveniente da altre fonti, decisamente pesante nel lessico quirinalizio, improntato all’understatement. Non significa che il presidente intenda commentare. Non lo ha fatto e non lo farà. Ma lo sgarbo verrà ricordato sia per quanto riguarda la premier che il vicepresidente, che del resto ha al passivo già una lista di incresciose gaffe nei rapporti con l’inquilino del Quirinale. Una volta per aver adoperato parole durissime nei confronti del precedente Csm, dimenticando che Mattarella ne era il presidente, salvo poi correre ai ripari ma con inevitabile goffagine. La seconda per aver adoperato parole molto crude su una questione, la riorganizzazione delle procure e in contrasti in merito, che il presidente raccomandava di affrontare invece con felpatezza e con la diplomazia del caso.

Se Mattarella non ha gradito, i consiglieri, a loro volta tenuti all’oscuro, l’hanno presa peggio e si preparano a presentare il conto oggi stesso, nel plenum dell’organo di autogoverno della magistratura, con un documento nel quale chiedono al vicepresidente di spiegare l’irrituale incontro. Va anche detto che Pinelli, scelto da Salvini, è un vicepresidente poco amato non solo dall’ala sinistra del Csm ma anche da quella destra che dunque, magari non associandosi al documento di fatto di condanna, non sarà neppure particolarmente amichevole. Ufficialmente l’incontro di lunedì viene definito da palazzo Chigi come “di routine”. Gli ambienti più vicini alla premier parlano di un’intenzione “distensiva”, con l’obiettivo di chiarire che non c’è nessuna intenzione di attentare all’indipendenza della magistratura nel durissimo scontro in atto sul protocollo con l’Albania. Ma la concomitanza tra la convocazione a Chigi di un vicepresidente del Csm indicato dalla destra e l’assemblea dell’Anm a Bologna, in difesa della procura presa di mira per aver impugnato di fronte alla Corte di giustizia europea il dl del governo seguito allo scontro sull’Albania desta, a torto o a ragione, dà una sensazione diametralmente opposta.

Lo sgarbo istituzionale del vicepresidente Pinelli, appunto non nuovo a incidenti del genere, si può spiegare con l’imperizia dell’uomo. Diverso il caso di Giorgia Meloni, politica esperta, che ha sempre cercato di evitare scontri con Mattarella. Uno strafalcione del genere è segno dunque di massimo nervosismo. Il problema è proprio quel protocollo con l’Albania che doveva essere il fiore all’occhiello del governo agli occhi dell’Europa, il nuovo indirizzo in materia di politiche migratorie inventato dal governo italiano di destra e poi assunto dall’intera Unione, come in effetti sembrava dovesse essere sino al 4 ottobre scorso, quando il pronunciamento della Corte di giustizia sull’impossibilità di definire sicuro un Paese che non sia tale in tutte le sue aree, e per estensione nei confronti di tutti i suoi cittadini, ha rovesciato la situazione. Da quel momento l’accordo con l’Albania ha iniziato a essere sommerso da un diluvio di ricorsi e sentenze impugnate.

Lunedì il Tribunale di Catania ha considerato non valido il decreto del governo che ordinava di considerare Paesi sicuri quelli indicati dal governo stesso e ha rifiutato di validare il trattenimento di cinque migranti egiziani e bengalesi. Il governo ricorrerà in appello, non più in Cassazione in base al medesimo decreto. Ma i gradi di giudizio non possono che essere tre e se anche l’appello darà ragione al governo il contenzioso si sposterà sulla necessità di attendere la Cassazione invece di chiudersi. Nella stessa giornata il Tribunale di Roma ha impugnato il decreto di fronte alla Corte europea come aveva già fatto pochi giorni prima Bologna. Pende anche il ricorso in Cassazione del governo dopo l’ordine del Tribunale di Roma di riportare in Italia i 12 migranti già trasferiti in Albania, in questo caso depositato però in Cassazione perché non era ancora stato emanato il dl che passa la competenza alla corte d’appello.

Intanto la nave Libra è ancorata in mare. Attende di fare il pieno di migranti richiedenti asilo per poi vagliarne la posizione e smistare i richiedenti asilo parte in Italia e parte, quelli da rimpatriare, in Albania. Ma senza alcun dubbio anche in questo caso la magistratura ordinerà di riportarli in Italia e seguirà ricorso. La strategia di esternalizzazione dei migranti che doveva fare dell’Italia di Giorgia il centro delle nuove politiche migratorie europee si è trasformato in una gigantesca e lunghissima bega legale, almeno fino a quando l’Europa non stilerà una lista dei Paesi ufficialmente considerati sicuri. Il contrario esatto di quel che aveva in mente Giorgia. Ovvio che sia un bel po’ nervosa.

6 Novembre 2024

Condividi l'articolo