La capriola 5 stelle
Trump stravince e Conte torna di destra…
Salvini già vede il presidente insignito del Nobel per la Pace, mentre nell'ala dell'opposizione Conte prende le distanze dal Pd
Esteri - di David Romoli
Anche nell’esultanza si può mostrare una certa misura. A Salvini non capita. Fa la ola, stappa e brinda, si scompone. Ieri per tutto il giorno ha tripudiato, dal videomessaggio di congratulazioni al vincitore con tanto di cravatta rossa in stile rigorosamente trumpista e maglia da Proud Boy appesa al muro, alle iperboli dispensate senza risparmio.
Già vede il presidente insignito del Nobel per la Pace: “Se riporta al dialogo i Paesi in guerra, anche grazie ai suoi rapporti personali, può ottenerlo” disserta alla Camera, sempre ornato dalla cravatta Maga. Come modello per tutti non c’è chi gli tenga testa: “Che giornata storica per tutto l’Occidente. Con Trump vincono il buon senso, la passione, il futuro. È la fine del tunnel. Sulla lotta all’immigrazione clandestina il suo è un esempio per l’Italia e per l’Europa”. Il leghista sta già preparando, parola sua, il pellegrinaggio negli Usa e non dimentica l’altro trionfatore, Elon Musk, “difensore della libertà di pensiero e di parola”.
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Tanto entusiasmo, certamente sincero, non è però del tutto disinteressato. Con il tycoon tornato alla Casa Bianca il capo leghista già vede imminente la fine dell’invio delle armi a Kiev, e per lui sarebbe una specie di trionfo personale. Ma soprattutto, anche se assicura che tra lui e Meloni non c’è nessuna “corsa alla trumpianità”, ci tiene a segnalare che, nel caso la vincerebbe lui: “Sono contento di essere tra i pochi che non hanno mai nascosto la preferenza per Trump. Altri nel centrodestra la pensavano diversamente ma questo non intacca il governo”. L’allusione non è solo a Tajani, il meno trumpiano di tutta la destra ma anche, tra le righe, alla premier. La sua reazione è non a caso ben diversa dal peana del leghista. Non è fredda come Scholz e Macron, che si congratulano, certo, ma senza nascondere la preoccupazione, tanto che si sono subito telefonati per provare a mettere in piedi “un’azione comune, una strategia europea coordinata che non sia il ciascun per sé”.
Insomma, per reggere il colpo che si prepara. Ma neppure si sbraccia, segnalando solo che Usa e Italia sono “nazioni sorelle legate da un’alleanza incrollabile, valori comuni, storica amicizia”. Per Giorgia la vittoria del tycoon è un problema doppio. Lo è come premier di un Paese europeo, perché tra dazi e richiesta di sobbarcarsi in misura molto maggiore i costi della Nato, il rientro di Trump alla Casa Bianca sarà un guaio per tutta la Ue. Ma lo è anche per lei in quanto leader di una forza europea di destra, i Conservatori, spinta verso l’angolo dal supporto dei vincitori americani ai molto più omogenei Patrioti di Orbàn e di Salvini.
Le differenze di tonalità a destra erano ampiamente prevedibili. Quel che lo era di meno era registrarne di simili, pur se certo non identiche, anche nell’opposizione. L’anatema scagliato contro il trionfatore e la preoccupazione per le sorti della democrazia americana accomunano tutti, anche se Elly, come la sconfitta Kamala Harris, evita di pronunciarsi. Ma Conte quasi se ne tira fuori. Porge tra i primi gli “auguri di buon lavoro” a The Donald. Sottolinea la “vittoria netta anche nel voto popolare. Mette al primo posto tra le sfide che attendono il ri-presidente quella di “fermare le guerre in corso”, nobile missione alla quale anche l’Italia “potrà dare un contributo importante”. Basta conoscere anche superficialmente i codici della politica per cogliere la distanza dalla linea di tutti gli altri partiti dell’opposizione.
Del resto non a caso Conte era stato il solo a rifiutarsi di prendere partito per Harris contro il candidato repubblicano e una figura che, pur se dall’esterno, ha un peso enorme nel Movimento come Marco Travaglio è tra i pochissimi ad aver fatto capire di ritenere la democratica più pericolosa del pur detestato Donald, “perché con lei ci sarebbe la terza guerra mondiale su suolo europeo”.
Dai tempi di “Giuseppi”, e dell’appoggio dei servizi italiani a quelli americani, fra Trump e Conte c’è un rapporto di fiducia e stima molto più solido di quello che c’è fra il futuro presidente Usa e Salvini, che conosce appena e di cui si fida poco.
Il leader dei 5S sta chiaramente cercando di recuperare la postazione “né di destra né di sinistra” e di prendere le distanze dal Pd, sia pure in vista di una convergenza finale nelle elezioni politiche. L’avvento di Trump può aprire prospettive che l’avvocato, tipo piuttosto spregiudicato, non ha alcuna intenzione di precludersi in partenza. Molti pentastellati, tra cui Tridico, escludono qualsiasi possibile simpatia del Movimento, o del suo capo, per Trump. Ma la politica italiana è quello che è: fondata sul “Mai dire mai” e in fondo qualcosa del vecchio idillio gialloverde chissà che non sia sopravvissuto.