Più fedeltà che competenza
Trump vuole i MAGA nella sua amministrazione, per i Repubblicani “tradizionali” non c’è spazio: fuori Haley e Pompeo
Più che il curriculum, la fedeltà. Sembra questa la richiesta principale di Donald Trump ai candidati per la sua prossima amministrazione, con l’insediamento alla Casa Bianca del “presidente eletto” prevista il 20 gennaio del 2025.
In questa ottica si leggono i due “niet” rifilati dal tycoon a Nikki Haley e Mike Pompeo: né l’ex ambasciatrice Usa all’Onu (e più agguerrita sfidante di Trump alle primarie Repubblicane), né l’ex capo della Cia ed ex segretario di Stato si uniranno alla prossima amministrazione. Trump lo ha scritto senza mezzi termini su Truth, il suo social: “Non inviterò l’ex ambasciatrice Nikki Haley o l’ex segretario di Stato Mike Pompeo a unirsi all’amministrazione Trump, che è attualmente in formazione — ha scritto sabato il presidente eletto —. Ho avuto il piacere di lavorare con loro in passato, vorrei ringraziarli per il loro servizio alla nazione”.
I due nomi erano subito stati inseriti nell’elenco dei papabili per un posto di governo nella seconda presidenza Trump, anche alla luce dell’esperienza di entrambi in politica estera. Ma Trump ha subito stoppato sul nascere questa ipotesi: si tratta di un messaggio chiarissimo ai fedelissimi del movimento MAGA, “Make America Great Again”, la piattaforma politica che gli ha consentito di trionfare alle elezioni del 5 novembre. Movimento che vede con estrema ostilità il “vecchio” Partito Repubblicano, considerato alla stregua dei “nemici” del Partito Democratico.
Sia Pompeo che Haley, nella logica MAGA, sono “guerrafondai” della “vecchia scuola Repubblicana”, quella che vedeva come naturale l’interventismo Usa all’estero: il contrario della dottrina Trump, che ha promesso ai suoi elettori il disimpegno americano dai due principali conflitti in corso alle porte dell’Europa, quello in Ucraina e quello nel Medio Oriente.
Il processo di selezione della nuova amministrazione è stato affidato da Trump a Howard Lutnick, un miliardario finanziere capo della banca d’affari Cantor e di numerose altre attività di investimento e trading. Lutnick sta in realtà lavorando già da mesi alla selezione dei candidati da presentare a Trump, un ruolo che lo ha portato a ricevere critiche per i sospetti di conflitto di interessi: Lutnick, come fatto notare da diversi media Usa, si troverà a selezionare anche i funzionari che si occuperanno del controllo delle società finanziarie di Wall Street, lì dove lavora tramite la sua banca d’affari.
Selezioni che tra l’altro hanno già aperto un primo fronte di scontro tra Trump, i Repubblicani e le istituzioni democratiche del Paese. Al Senato, dove i Repubblicani il 5 novembre hanno ottenuto la maggioranza, per legge si approvano tutte le nomine più importanti del governo: un processo che in alcuni casi richiede mesi o anni perché l’opposizione può fare ostruzionismo. L’esempio arriva dall’attuale amministrazione Biden dove si due segretari, quello al Lavoro e alla Casa, formalmente “facenti funzione” perché non hanno mai ricevuto l’approvazione ufficiale del Senato.
Per evitare questo scenario Trump ha già comunicato via Twitter che il nuovo speaker del Senato, in pole c’è il senatore Rick Scott, dovrà concedergli di fare nomine anche senza approvazione, tramite quelli che vengono definiti “recess appointments”. In sostanza il presidente eletto vuole che lo speaker mandi in vacanza l’aula per una decina di giorni, così che il presidente possa firmare nomine emergenziali come previsto dalla legge. Un espediente già utilizzato dalle amministrazioni precedenti, ma mai per nominare tutto il governo.