Dopo gli scontri di Bologna
Cosa significa ‘zecca’ e perché è dispregiativa dei comunisti: quando lo era anche Salvini
Il ministro che oggi vorrebbe spianare con la ruspa i centri sociali, la pensava diversamente negli anni 90 quando era un comunista padano e diceva: “come si sta bene al Leoncavallo”
Politica - di Frank Cimini
La mattina del 10 settembre del 1994 il centro di Milano fu teatro di una piccola guerriglia urbana. Pochi giorni prima era stato sgomberato per l’ennesima volta il Leoncavallo, centro sociale uno dei primi in Italia. Scontri sassaiole manganellate. Qualche decina tra feriti e contusi.
“Gli incidenti sono avvenuti per colpa di pochi violenti, mentre i 15 mila giovani che avevano manifestato avevano ragioni giuste e condivisibili ma sono stati strumentalizzati”. Queste parole pronunciò di fronte alla giunta e al sindaco Marco Formentini un consigliere comunale di 21 anni, Matteo Salvini entrato nella Lega Nord nel 1990 che nel 1997 entrò a far parte del movimento dei comunisti padani. “Chi non ha mai frequentato un centro sociale? – chiedeva e si chiedeva Salvini – Io si dai 16 ai 19 anni mentre studiavo al liceo. Il mio ritrovo era il Leoncavallo. Là stavo bene mi ritrovavo in quelle idee, in quei bisogni”. Si tratta di parole che non possono non fare impressione dette da chi ora da tempo invoca le maniere forti (eufemismo), “le ruspe su campi nomadi e centri sociali che forse campano con la camorra”.
In questi giorni, dopo gli scontri di Bologna, Salvini ha addirittura rincarato la dose parlando di “zecche rosse, delinquenti comunisti”. Il Salvini degli anni ‘90 era “un ragazzo di sinistra folgorato dal progetto dell’autonomia territoriale – scrivono Alessandro Franzi e Alessandro Macron nel libro dal titolo Matteo Salvini il Militante- un comunista leghista sospeso tra i due schieramenti dai quali prendeva in modo equo ispirazione, indipendenza della Padania ma con un occhio di riguardo al proletariato, agli operai, ai marginali”. Tracce che oggi soprattutto in queste ore sembrano sparite per sempre.
Nel 1997 Salvini partecipò alle elezioni del parlamento padano. La sua lista si chiamava “comunisti padani” sullo stemma comparivano la falce e il martello. “Scrivere il programma fu facile – le parole di allora di Mauro Manfredini fondatore della lista – di comunismo ne avevamo masticato assai da queste parti tra i punti fermi mettemmo l’assistenza ai bisognosi e il credito a basso costo per le piccole e medie imprese”. Non c’era ostilità per gli immigrati, almeno per quelli che ottenevano il permesso di soggiorno. Poi la linea cominciò a cambiare con la raccolte delle firme ai banchetti contro l’apertura di una moschea e l’istituzione di un numero telefonico per segnalare casi di delinquenza legati agli immigrati clandestini. Un passo dopo l’altro fino a citofonare chiedendo: “Scusi qui si spaccia?” Il resto lo stiamo vedendo e sentendo ora in diretta.