La sanzione e la libertà di espressione
Caso Raimo: la doppia morale del ministro Valditara
Dopo aver rivendicato il suo diritto come libero cittadino di manifestare di fronte al Tribunale di Palermo in sostegno a Salvini, ha sospeso Raimo dal suo lavoro come professore per aver espresso una sua opinione al di fuori dell’esercizio della sua professione
Politica - di Paolo Persichetti
La sanzione inflitta dall’Ufficio scolastico regionale del Lazio, diretto da Anna Paola Sabatini, una rampante democristiana prima in quota Pd poi passata a Forza Italia, contro Christian Raimo (tre mesi di sospensione dall’insegnamento con dimezzamento dello stipendio), professore di filosofia in un liceo romano, vivace animatore culturale, già assessore alla cultura del municipio XIV del comune di Roma, candidato per Avs alle ultime elezioni europee, per aver espresso critiche molto aspre contro la politica dell’istruzione condotta dall’attuale ministro, Giuseppe Valditara, non è solo un segnale ulteriore dell’autoritarismo di questo governo, composto da un ceto politico insofferente alle critiche e vigliaccamente vendicativo, ma la conferma della torsione disciplinare introdotta con la controriforma del voto in condotta, che va di pari passo con regolamenti interni presenti in diversi istituti, ingiustificatamente repressivi, persino lesivi di alcuni diritti costituzionali degli stessi studenti.
Ciò che più bisogna sottolineare in questa vicenda sono le modalità con cui è stata esercitata la rappresaglia del potere contro la parola critica. Il ministro, infatti, poteva ricorrere alla magistratura per far valere – se davvero queste erano fondate – le ragioni di un eventuale danno alla sua immagine. Quando si è espresso, infatti, Raimo non era in cattedra, non stava tenendo lezione ai suoi studenti ma parlava in uno spazio pubblico, all’interno di un dibattito sulla scuola durante la festa di Avs, lo scorso settembre. Era in qualità di cittadino e non di docente che Raimo interveniva esercitando un diritto costituzionale che forse a questo governo dispiace. Eppure la punizione comminata a Raimo non è quella di un giudice che avrebbe individuato contenuti diffamatori nelle sue dichiarazioni ma una sanzione inflitta per via gerarchica dal suo datore di lavoro, il ministero del Pubblica istruzione e – quanto mai – del (De)merito.
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È come se un chirurgo fosse stato sanzionato dal ministro della Sanità per quel che ha detto in una pubblica piazza. La classe docente non porta l’uniforme, non è armata, non esercita la forza legittima dello Stato per cui è legata dalla costituzione a stretti vincoli di fedeltà, condotta e riserbo. La classe docente non giura fedeltà ad alcun regime, è composta da liberi cittadini che all’interno della scuola devono rispettare un codice regolamentare e i doveri contrattuali e quando escono hanno la piena libertà di esprimersi e criticare nello spazio pubblico. Diritto che per altro il ministro Valditara rivendica per sé, senza riconoscerlo agli altri, quando come «semplice cittadino» – a suo dire – nonostante sia membro del governo, si è recato al presidio davanti al Tribunale di Palermo per sostenere il suo segretario di partito Matteo Salvini accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio al processo Open Arms.
Se questa sanzione non viene ricacciata indietro non si dovrà aspettare molto perché un qualunque ufficio scolastico si sentirà libero di sindacare anche i gusti sessuali e religiosi, oltre che politici, dei docenti fuori dalla scuola, perché questi possono «ledere l’immagine dell’istituzione scolastica». Non basta dunque la semplice solidarietà, serve anche reagire e mobilitarsi dentro e fuori le scuole e bene farà Raimo a presentare ricorso in sede amministrativa, perché ha ragione da vendere.