Nessuna battaglia tra poteri
Paesi sicuri, va in scena lo scontro tra diritto e arbitrio
Non c’è nulla di politicamente pretestuoso nei quesiti posti alla Corte Ue dal tribunale di Roma sul trattenimento dei sette richiedenti asilo in Albania. Invece colpisce l’arroganza con cui il governo vuole imporsi sulle regole che in una democrazia limitano il potere di chi detiene temporaneamente il consenso
Giustizia - di Gianfranco Schiavone
Perché il Tribunale di Roma – XVIII sezione civile, con ordinanza RG 46690/2024 ha deciso di operare ben quattro rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE), chiedendone altresì la trattazione d’urgenza, in merito all’applicazione della procedura accelerata di frontiera, con contestuale trattenimento, sul caso dei sette richiedenti asilo (egiziani e bengalesi) trasportati coattivamente nei centri voluti dal governo italiano in Albania in quanto provenienti da paesi di origine considerati sicuri dal governo stesso?
Il Tribunale appare ben consapevole che l’applicazione della procedura accelerata di frontiera comporti, oltre che il trattenimento, ovvero una limitazione della libertà personale, anche una “particolare celerità del procedimento, con conseguente compressione dei diritti della difesa, la possibilità di dichiarare la domanda manifestamente infondata, l’esclusione dell’effetto automaticamente sospensivo del ricorso giurisdizionale avverso la decisione negativa della Commissione territoriale”. Proprio per tali motivi il Tribunale ritiene di essere competente “anche nel corso di un giudizio di convalida di un trattenimento, (ndr e non solo in sede di impugnazione del rigetto della domanda di asilo) di sollevare una questione pregiudiziale a codesta eccellentissima Corte, giacché tale potere è funzionale a garantire un ricorso pieno ed effettivo” previsto dall’articolo 46 della Direttiva 2013/32/UE (procedure).
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Con il primo rinvio alla CGUE il Tribunale di Roma osserva che nella normativa previgente all’ultimo intervento normativo fortemente voluto dal Governo, ovvero con il vecchio D.M. del 7 maggio 2024 (norma secondaria) veniva prevista la creazione di un elenco di Stati terzi ritenuti Paesi di origine sicuri, così valutati sulla base di schede informative su ognuno di essi. Con il d.l. 23 ottobre 2024, n° 158 spetta invece “al solo legislatore ordinario (che opera con lo strumento della legge o dell’atto avente forza di legge) sia la disciplina generale delle modalità e dei criteri di tale designazione, sia la designazione stessa. Con il risultato che la designazione del Paese di origine sicuro potrebbe avvenire anche derogando tacitamente alla disciplina generale e quindi senza rispettare i criteri da quest’ultima stabiliti”. Chiede dunque il Tribunale di Roma alla CGUE se il diritto dell’Unione “osta a che la designazione dei Paesi di origine sicuri sia affidata ad un atto normativo primario, avente forza e valore di legge”.
Con il secondo rinvio alla CGUE il Tribunale di Roma mette in luce che il nuovo “decreto-legge non riporta né le specifiche fonti informative utilizzate né la loro provenienza; e neppure vi fa riferimento in modo preciso per consentire di risalire a quelle fonti e di esaminarne il contenuto e non permette, quindi, al richiedente asilo di contestarne, ed al giudice di sindacarne la provenienza, l’autorevolezza, l’attendibilità, la pertinenza, l’attualità, la completezza, e comunque in generale il contenuto”. Ciò ad avviso del Tribunale determina “una significativa limitazione del carattere effettivo della tutela giurisdizionale” che è diritto fondamentale della persona sancito anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Chiede dunque alla CGUE se nel designare un Paese terzo come di origine sicuro, uno Stato UE possa, senza violare il diritto dell’Unione, non esplicitare “il metodo di valutazione ed i criteri di giudizio adoperati in concreto, nonché le fonti dalle quali ha tratto le pertinenti informazioni su quel determinato Paese”.
Con il terzo rinvio alla CGUE il Tribunale di Roma torna sulla questione dei “poteri spettanti al giudice nella valutazione della correttezza della designazione di uno Stato terzo come Paese di origine sicuro” ovvero se il giudice possa avvalersi di proprie autonome fonti informative qualificate per svolgere quell’analisi e valutazione concreta che gli viene richiesto di attuare sulla base dell’interpretazione del diritto dell’Unione che la stessa CGUE ne ha dato con la nota sentenza del 4 ottobre 2024, causa C-406/22. Chiede pertanto il Tribunale di Roma se il diritto UE “impone agli Stati membri di attribuire ai giudici il potere-dovere di utilizzare tutte le informazioni ad essi disponibili, provenienti da fonti qualificate, per compiere una valutazione effettiva e attuale della correttezza della qualificazione dello Stato terzo come Paese di origine sicuro, indipendentemente dal fatto che l’autorità che lo ha così designato abbia reso note le fonti e le informazioni su cui ha basato le proprie valutazioni oppure no”.
Con il quarto rinvio alla CGUE il Tribunale di Roma, proprio riferendosi alle conclusioni della sentenza della CGUE del 4 ottobre, ritiene, sulla base di un’interpretazione che ritengo corretta del diritto UE, che “un Paese terzo non possa essere considerato sicuro se tale non è per gruppi di individui, sia che ciò dipenda dalla porzione di territorio in cui si trovano o potrebbero trovarsi” (…) sia che dipenda dalla “categoria di soggetti alla quale appartengono”. Ritengo molto importante la valutazione del Tribunale laddove evidenzia in particolare che “l’applicazione di una procedura accelerata appare incompatibile con l’esistenza di situazioni di persecuzione, discriminazione e maltrattamento come quelle relative a categorie di persone: tali situazioni, infatti, emergono normalmente soltanto all’esito di un’approfondita istruttoria sulla situazione di ogni singolo richiedente protezione, possibile esclusivamente nelle procedure amministrative ordinarie di esame della domanda di protezione, che permettono tempi adeguati di analisi e valutazione della posizione individuale del richiedente e sono soggette eventualmente ad impugnazione attraverso ricorsi in sede giurisdizionale esperibili entro termini di decadenza non stringenti”.
Muovendosi su una linea di pensiero non molto dissimile da quella del Tribunale di Bologna che ha anch’esso effettuato un rinvio pregiudiziale alla CGUE (Ordinanza R.G. 14572-1/2024) e di cui ho scritto sull’edizione del 30 ottobre 24, il Tribunale di Roma chiede ora dunque alla CGUE se non sia in contrasto con il diritto europeo una disposizione che designi un Paese di origine come sicuro se esso non può essere designato come tale per determinate categorie di persone. Il lettore mi scuserà per l’inevitabile ricorso a qualche tecnicismo, ma sono certo che da quanto sopra esposto coglierà bene come i quesiti interpretativi posti dal Tribunale di Roma siano chiari e precisi e che nell’ordinanza che a molti ancora fa scandalo non ci sia invero nulla di politicamente pretestuoso.
Il problema sta da tutta un’altra parte: come ho già ricordato nell’edizione del 23 ottobre 24 la nozione di “paese di origine sicuro” è una nozione giuridica definita dalla Direttiva 2013/32/UE (e nell’Allegato 1) e non già un concetto politico liberamente disponibile alla politica interna ed estera, come invece vorrebbe il Governo italiano. Sostenere (e volerlo persino imporre per legge) che Paesi devastati dalla violenza politica e da conflitti interni siano considerati di origine sicura, come lo sono molti dei Paesi dichiarati tali dal Governo italiano, rappresenta una distorsione enorme e non accettabile dei criteri e principi previsti dal diritto UE. Non a caso nessuno Stato UE ha ad esempio inserito l’Egitto, dove è stato torturato ed ucciso Giulio Regeni (e dove migliaia di persone vengono fatte sparire o torturate nelle carceri come ricorda anche la storia di Patrick Zaki) tra i paesi di origine sicura.
Credo che a nessuno verrebbe mai in mente una simile scelta, tranne che al triste Governo italiano, così inadeguato a temporaneamente guidare quella stessa Repubblica che alla sua Costituzione (art. 10 c.3) tutela il diritto d’asilo tra i diritti fondamentali della persona. Un Paese come la Nigeria dilaniato dai conflitti interni compariva anch’esso tra i paesi di origine sicura fino a poco fa quando è stato depennato grazie alla richiamata sentenza della Corte di Giustizia. Non avrebbe però mai dovuto comparire nell’elenco, lo stesso in cui ancora c’è la Georgia, dove ben due regioni secessioniste, l’Ossezia del nord e l’Abkhazia, con l’appoggio di Mosca, sono di fatto separate dal resto del Paese. Compariva (dove c’è tuttora) nella lista italiana il Bangladesh mentre erano in corso le repressioni politiche del precedente Governo di quel Paese che hanno prodotto centinaia di morti, specie tra gli studenti. E si potrebbe continuare su altri Paesi, ma non ve n’è bisogno perché il punto è chiaro.
Ciò che colpisce in questa storia che molti cittadini italiani non comprendono perché la guardano erroneamente come fosse una battaglia tra poteri dello Stato condotta a colpi di cavilli legali su temi astrusi, è l’atteggiamento arrogante dell’Esecutivo che pretende di imporre in ogni modo la sua volontà come se quelle regole e limiti che caratterizzano un ordinamento democratico, e che dunque limitano il potere di qualunque Esecutivo, non esistessero e tutto fosse per così dire “a libera disposizione” di coloro che detengono temporaneamente il consenso. Una storia dunque molto pericolosa per noi, non solo per gli stranieri che ci chiedono asilo.