L'ex sindaco di Pesaro

Intervista a Matteo Ricci: “Dazi e crescita, se l’Europa non ascolta Draghi, non avrà futuro”

«Ha ragione Draghi, o l’Ue sarà capace di mettere a terra un grande piano di investimenti pubblici, come con il Next Generation Eu, o il suo avvenire è compromesso. Di fronte alla vittoria di Trump questo tema è centrale»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

14 Novembre 2024 alle 08:00

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Foto Mauro Scrobogna/LaPresse
Foto Mauro Scrobogna/LaPresse

Matteo Ricci, europarlamentare Pd, già sindaco di Pesaro e coordinatore nazionale dei sindaci Dem. Che America è quella che ha “incoronato” Donald Trump?
L’America che ha paura. Un’America più chiusa, più impaurita e, in definitiva, più egoista. Quando prevalgono sentimenti di paura, storicamente i democratici non vincono. Le forze progressiste, storicamente, vincono e convincono quando nell’aria, nella società, vive e palpita un bisogno di speranza e una volontà di cambiamento. Ma, quando prevale la paura, come avviene in questa fase storica, sono spesso, purtroppo, i movimenti populisti e di destra a prevalere. L’Occidente, in questo momento, è attraversato da correnti di paure incontrollate. Si ha paura del diverso, spesso identificato nel migrante. Si ha timore che la transizione digitale possa comportare perdita di posti di lavoro. Si teme che i costi della transizione ecologica possano essere non sostenibili per le classi più fragili. Un terreno fertile, questo delle paure, per la crescita del populismo e della destra estrema. Trump ha saputo intercettare tutti questi timori dell’elettorato statunitense ed ha avuto gioco facile nel vincere. La sua vittoria è stata ampia e, dunque, va rispettata democraticamente. È tuttavia innegabile che ora si apre una fase nuova piena di incognite e inquietudine.

Quanto nella forza di Trump c’è la debolezza della sua competitor e del Partito Democratico?
Più che in Trump stesso, la debolezza della candidata democratica è intrinseca alla difficoltà, durante questa tornata elettorale, di proporre una visione ed un sogno. Kamala Harris, a differenza di quanto avvenuto quando venne eletto Barack Obama, non ha saputo incarnare un sogno di cambiamento. Da Vicepresidente in carica, si presentava in continuità con la precedente amministrazione, quella di Joe Biden, che peraltro ha portato sviluppo e occupazione. Tuttavia, allo stesso tempo, non poteva presentarsi – proprio perché Vicepresidente in carica – come elemento di novità e rottura. Inoltre, il cambio di candidato è avvenuto troppo tardi.

L’Europa e Trump 2.0. Cosa c’è da attendersi e cosa da temere?
Partiamo dal contesto generale. Viviamo un’epoca in cui la democrazia non va di moda. La democrazia è in pericolo nel mondo e la guerra è tornata alle porte dell’Europa stessa, penso all’Ucraina, così come al Medio Oriente. L’Unione europea, in questo scenario, rappresenta proprio uno spazio di democrazia, libertà, progresso. Tuttavia, se non saprà rafforzare il suo assetto istituzionale, l’Ue non potrà portare avanti il suo ruolo di faro e guida della democrazia a livello globale, in modo efficace, assolvendo a quella missione diplomatica, di ricerca della pace, che è connaturata ai valori stessi su cui è stata fondata. O l’Europa svolge questo ruolo, oppure non sarà un soggetto forte e credibile nel mondo che cambia. Non solo. Come ha di recente ribadito Mario Draghi, o l’Europa sarà capace di mettere a terra un ingente e complesso piano di investimenti pubblici, come è avvenuto con il Next Generation Eu, o non avrà futuro. Mario Draghi ha ragione: senza debito comune, l’Europa non ha futuro. A fronte della vittoria di Trump negli Stati Uniti, questo è il tema centrale che l’Unione europea ha il compito di affrontare al più presto. Dinanzi agli ipotizzati dazi, che ha preannunciato Trump, l’Europa, per crescere e sostenere la doppia transizione, ecologica e digitale, ha bisogno di massicci investimenti pubblici, basati su debito comune. Senza un piano di investimenti pubblici e privati straordinari che sia di sostegno ai cittadini e alle imprese, rischiamo di non riuscire a realizzare gli obiettivi – in termini di sviluppo e sostenibilità – che da europeisti ci siamo preposti.

Quali lezioni i progressisti dovrebbero trarre dal voto americano?
Innanzitutto, c’è da comprendere un fatto sostanziale e ben preciso, confermato anche dal voto americano. Ovvero: non si vince “contro” qualcosa o qualcuno. Il pensiero progressista e democratico ha prevalso nel Parlamento europeo grazie a un sistema elettorale proporzionale, ma si è trattato di una vittoria “in difesa”, ottenuta per escludere il pericolo rappresentato dall’estrema destra populista. Questo non è avvenuto negli Stati Uniti, dove, per l’appunto, non è bastato proporre una candidatura e un programma “contro” tutto ciò che rappresenta Donald Trump, “contro” la sua visione degli States e del mondo. Mentre in Europa, con grande fatica, siamo riusciti a creare una maggioranza europeista, composta da noi Socialisti & Democratici, dai Popolari, dai Liberali e dai Verdi, la stessa impresa non è riuscita ai dem guidati da Kamala Harris. Ecco, dunque, che si torna alla riflessione iniziale sulla debolezza dei dem in questa tornata elettorale: l’incapacità di interpretare, incarnare e indicare agli elettori una visione di cambiamento, di innovazione e protezione e, perché no, di sogno e speranza. Questa è la prima grande lezione da tenere a mente dopo la sconfitta del fronte progressista statunitense.

E la seconda?
La seconda lezione riguarda noi progressisti, nel lavoro che quotidianamente stiamo svolgendo in Europa. Siamo dinanzi ad uno scenario che deve destare forte preoccupazione, e – per quanto mi senta pessimista in tal senso, poiché credo che manchi la consapevolezza del reale pericolo che stiamo correndo – il lavoro che noi progressisti e democratici stiamo portando avanti in Europa diviene ora più che mai fondamentale. È questo il momento in cui l’Europa è chiamata a fare uno scatto in avanti nel percorso che la renda più unita, più forte e federale. Noi Socialisti & Democratici, insieme a Verdi, Liberali e Popolari, abbiamo sostenuto con forza il programma europeista presentato da Ursula von der Leyen, contenente punti che riteniamo fondamentali, ovvero quelli cui accennavo dapprima: un serio piano di investimenti pubblici e sostegno alla doppia transizione. Tuttavia, la maggioranza europeista – ovvero la cosiddetta “maggioranza Ursula” che abbiamo costruito – rischia di scricchiolare. È plausibile che il Ppe possa strizzare sempre di più l’occhio alle estreme destre, creando fibrillazioni continue. Diventerà, pertanto, necessario creare un coordinamento stretto tra noi Socialisti & Democratici, insieme ai colleghi Verdi e Liberali, per tenere dritta la barra sull’europeismo e sugli elementi fondamentali del programma. Qualcuno potrebbe provare a rallentare la transizione ecologica e a rinviare il piano di investimenti pubblici proposto da Mario Draghi: noi cercheremo di impedirlo. Mi auguro che Francia e Germania si pongano come locomotive di un’accelerazione europeista, ma mi sento pessimista anche su questo: i due Paesi hanno entrambi governi molto fragili ed elezioni vicine.

In Italia il voto americano è oggetto di una lettura di “bottega”, tutta interna, da parte della politica. Anche il Pd si allinea?
Il Partito democratico ha dimostrato di comprendere che per i progressisti si è trattato di una brutta sconfitta, figlia, come dicevo, di un contesto impregnato di paure, per l’intera società occidentale. Sappiamo di andare incontro ad anni difficili, poiché le politiche protezionistiche preannunciate da Trump potrebbero seriamente danneggiare l’Europa. E sappiamo che Giorgia Meloni si sente rafforzata da questa vittoria d’oltreoceano: come si è visto, la presidente del Consiglio non si è solo complimentata, in maniera istituzionale, con il nuovo inquilino della Casa Bianca. Ha anche tenuto a sottolineare, sui suoi canali social, la sua vicinanza all’imprenditore Elon Musk, principale sostenitore della corsa di Trump e probabile componente della sua squadra di governo.  conservatori, come abbiamo visto in Europa, non hanno votato il programma europeista di Ursula von der Leyen: e il partito di Giorgia Meloni fa parte di questi ultimi. Sappiamo già da mesi che non c’è da parte loro un vero sostegno alle politiche europeiste: con la vittoria di Trump sarà interessante vedere cosa sceglieranno di fare i conservatori di casa nostra dinanzi ai dazi imposti su beni prodotti dalle aziende di quel Made in Italy che dicono di voler proteggere. E questi sono fatti, non interpretazioni di “bottega”.

Bologna teatro delle provocazioni fasciste avallate dal governo. E Salvini sbraita contro le “zecche rosse”. E in Emilia-Romagna domenica si vota.
Ciò cui stiamo assistendo è una polemica che funge da arma di distrazione di massa da parte del governo. Sono loro quelli che hanno relazioni strutturali con formazioni post-fasciste e con gli estremisti di destra. Giorgia Meloni e Matteo Salvini, piuttosto, potrebbero parlare dei disastri in corso nel comparto trasporti e dei tagli al sistema sanitario in legge di Bilancio. Siamo dinanzi a un governo di prestigiatori e di incapaci.

Molto si discute del “campo largo” nel centrosinistra, dove si sommano veti e contro-veti. Siamo alle solite?
È sempre più urgente costruire un nuovo centrosinistra, che proponga agli elettori una visione del Paese alternativa a quella della destra al governo. Per questo, è utile, da un lato, lavorare ai temi comuni dal l’opposizione e, dall’altro, impegnarsi nella costruzione del campo stesso. Il Partito democratico deve essere il cardine di questo progetto, affiancato dal Movimento 5 stelle, che ci auguriamo continui ad essere guidato da Giuseppe Conte; dagli amici e compagni di AvS, che hanno avuto un ottimo risultato alle europee, e da un soggetto di centro moderato che, al momento, non esiste perché frammentato dai personalismi. Il Pd può favorire la nascita di questo soggetto, che può aspirare a raccogliere il 7-8% dei consensi nell’area moderata e liberale.

A proposito dei rapporti tra la destra che governa l’Italia e il neo rieletto presidente Usa. Cosa racconta l’attacco ai giudici italiani da parte del “Presidente ombra” Elon Musk?
Come ha asserito la saggista e giornalista Anne Applebaum, ai microfoni Rai, Elon Musk potrebbe avere, per Trump, lo stesso ruolo che gli oligarchi svolgono nella Russia di Putin: una sorta di co-ruler, un co-governante. Il suo attacco, assolutamente irricevibile, racconta di una voce che sente, in questo momento, di avere un potere non indifferente e privo di contrappesi democratici. Un qualcosa di inquietante su cui vigilare.

14 Novembre 2024

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