Parola al germanista

Parla Angelo Bolaffi: “Cosa insegna all’Italia la crisi tedesca”

«Bisogna ritrovare la forza analitica che la sinistra storica, marxista e post-marxista, come anche il Pci, dimostrava di avere quando cercava di capire quali fossero le forze trainanti della società»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

15 Novembre 2024 alle 07:00

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Parla Angelo Bolaffi: “Cosa insegna all’Italia la crisi tedesca”

Molto più di una crisi di governo. Quella che ha investito la Germania è una crisi di sistema che può avere ricadute drammatiche sull’Europa. L’Unità ne discute con Angelo Bolaffi. Filosofo della politica e germanista, dal 2007 al 2011 è stato direttore dell’Istituto di cultura italiana a Berlino. È membro della Grüne Akademie della Böll Stiftung di Berlino e del direttivo di Villa Vigoni “Centro italo-tedesco per l’eccellenza europea”.

Il 23 febbraio 2025 la Germania va al voto, anticipato, per le elezioni federali. Professor Bolaffi, siamo di fronte “solo” a una crisi di governo o c’è dell’altro e di più?
Questa è una crisi di sistema. Nel senso che la Germania va a votare nel vivo di una profonda crisi economica, storica e politica. Una crisi che ha il suo inizio il 27 febbraio del 2022, quando il cancelliere Scholz annunciò la zeitenwende, la svolta epocale. Salvo che la “svolta epocale” non l’ha fatta la Germania…

E chi, professor Bolaffi?
L’hanno fatta Putin e poi Trump. La Germania si trova in una crisi economica molto forte, in una crisi di identità non meno gravosa, e deve vedere che ruolo giocare in un mondo che non è più quello in cui era diventata, assieme agli Stati Uniti e alla Cina che emergeva, la prima potenza nel mondo globale.

In questa crisi di sistema, la Spd ha un problema in più: la ricandidatura dell’iper-criticato Olaf Scholz. C’è chi ventila una sua sostituzione. Lei cosa prevede?
La ricandidatura di Scholz appare inevitabile, che è altra cosa dell’auspicabile. A meno che non accada una cosa per me imprevedibile, cioè la candidatura dell’attuale ministro della Difesa, Pistorius, ma questo significherebbe che la Spd si spacca.

Perché?
Vede, nella Spd ci sono due anime. Una, maggioritaria, di quelli che amano Putin. E una, minoritaria, che invece tendeva a rafforzare l’Ucraina militarmente e a rompere quella tradizione filosovietica prima e filorussa dopo, che c’è stata in Germania. Tutto sommato, ritengo che sarà Scholz il candidato della Spd, con l’idea che la Spd farà il partito junior e difficilmente un ex cancelliere andrà a fare il secondo di un cancelliere democristiano. Questa potrebbe essere l’unica obiezione alla candidatura di Scholz.

I sondaggi danno la Cdu come probabile vincitrice delle elezioni federali. È vera gloria?
Intanto è importante annotare che nei 6 paesi che fondarono l’Europa, la Germania è l’unico in cui i partiti storici ancora funzionano. La Cdu è l’erede storica dell’europeismo di Adenauer e Khol. Almeno per chi non ha delle preclusioni ideologiche, una vittoria democristiana sarebbe una garanzia per l’Europa. E questo perché l’europeismo è connotato alla Cdu, è nel suo Dna molto più di quanto lo sia nella Spd. La Spd ha sempre avuto problemi molto complicati con l’Europa e soprattutto nei rapporti con i paesi dell’Est. Questo in parte si è riverberato anche nelle politiche di Angela Merkel. Le grandi difficoltà che oggi incontra la Germania vengono anche da lì.

A cosa si riferisce in particolare?
Il fatto che il gas di Putin ha funzionato come “droga”, che ha tranquillizzato l’animo, perché tutti si sentivano amanti della pace, e ha arricchito le tasche dei tedeschi grazie alle esportazioni sostenute da una energia pagata a basso prezzo. Non va dimenticato che la Merkel diede il via libera alla costruzione del North Stream 2, quando di fatto già c’erano le truppe russe alla frontiera ucraina.

Come si potrebbe rideterminare il rapporto tra la Germania e gli Stati Uniti di Trump?
Questa è una domanda davvero molto complicata e dirimente. Se fosse vero quello che ha minacciato Trump in campagna elettorale, automaticamente, assieme alla Cina, la Germania diviene il nemico numero uno per l’America. Lui ha proclamato che l’obiettivo da presidente sarà quello di ridurre il deficit commerciale. E il deficit commerciale degli Stati Uniti nei confronti della Germania, e dell’Italia, è enorme: 140 miliardi di dollari per la Germania, 60 miliardi di dollari per l’Italia. Attenzione: quando parliamo del futuro della Germania, parliamo anche di un pezzo importante del futuro dell’economia italiana. Siamo di fronte al tornante di un’epoca geopolitica del tutto sconosciuta. Per quanto riguarda la Germania, si trova in una situazione simile a quella con cui dovette cimentarsi Adenauer nel 1949, quando fu fondata la Germania di Bonn.

Vale a dire?
Dovette fare una scelta di campo, atlantica, e una scelta di sviluppo economico. Allora andò bene. Questo ciclo è finito. L’idea dell’Europa nasce con due obiettivi: tenere i tedeschi sotto controllo, perché erano stati causa delle due guerre mondiali, e tenere i russi fuori dalla politica europea. Adesso la situazione è completamente cambiata. L’America non pare essere più interessata a svolgere il ruolo di “lord protettore” dell’Europa. Gli europei lasciati da soli ce la faranno? Una domanda da un milione di dollari. Certamente senza la Germania non si costruisce, contro la Germania non si costruisce l’Europa. Però bisogna vedere se la Germania sarà in grado di contribuire, con un ruolo egemonico, o comunque di egemonia benevola, alla costruzione dell’Europa che verrà. Per far questo, dovrebbe per primo trovare soluzione ai problemi economici che oggi appaiono molto complicati.

C’è da temere una forte avanzata elettorale dell’estrema destra della AfD?
Sicuramente avranno un risultato elettorale che non piace a nessuno, ma non al punto di raggiungere il livello dei consensi che hanno registrato nelle tre regioni dell’Est. Lì c’è un filo putinismo e un antioccidentalismo storico. La Germania renana, la Germania cattolica di Bonn e di Stoccarda, la Germania bavarese, la Germania di Amburgo, la Germania di Francoforte, dove c’è la Banca centrale europea, questa Germania è tutta un’altra realtà e lì c’è il potere vero della Germania futura. Più interessante sarà vedere che ruolo giocherà il movimento di Sarah Wagenknecht, Mentre l’AfD è stigmatizzata ex ante, razzista, nazista etc, con lei è molto più complicato.

Perché, professor Bolaffi?
Perché lei e il suo movimento giocano su due tavoli: un tavolo rosso, l’occupazione, il welfare, e un tavolo nero, via gli immigrati e viva Putin. La Wagenknecht può avere un fascino superiore e una capacità attrattiva superiori a quelli dell’AfD. E una pericolosità storica…

Addirittura?
Ricordiamoci che Weimar cadde non solo per colpa dei nazisti ma anche per gli errori del partito comunista weimariano.

I rapporti tra Italia e Germania. Cosa ne pensa di quelli che qui da noi, in modo più o meno palese, sembrano godere della crisi tedesca?
Esiste un termine tedesco quassi intraducibile: la schadenfreude, la gioia maligna. Quella dei perdenti. Una gioia “tafazziana”. Assieme all’America, la Germania è il punto di riferimento dell’Italia produttiva. Se la Germania va male, l’Italia non va bene per niente. La Germania ha tre paesi di riferimento: gli Stati Uniti, la Francia e l’Italia. Quello con l’Italia è un rapporto complicato ma molto più intenso, dal punto di vista economico, di quello con la Francia. Con la Francia è legata perché c’è il Reno, perché è potenza atomica, ma l’economia, quella vera, è ciò che lega la Germania e l’Italia. Non dovremmo mai dimenticarcelo.

Professor Bolaffi, cosa racconto in un mondo globale e sempre più disordinato, la crisi tedesca?
Racconta che quando nel mondo non c’è un egemone, la situazione si fa confusa. Quando il gatto non c’è, i topi ballano. E qui stanno ballando tutti. La Germania non ha e non potrà più avere un ruolo egemonico nel mondo. Lo aveva, ed era molto forte. Ed in parte lo ha anche oggi. Ricordiamoci che la Germania è ancora la terza-quarta potenza economica mondiale. La Germania in sé ha il 34-35 del Pil di tutta l’Europa. Teniamoci cari i rapporti. Se la Germania non funziona, l’Europa non può funzionare. Senza o contro la Germania non si può fare l’Europa. La domanda che noi italiani dovremmo porci è se siamo in grado assieme a Francia e Germania, di costruire l’Europa. A me pare complicato. Perché la Francia è assente, la Germania è in difficoltà, l’Italia è quella che è. Andiamo verso un periodo di grande incertezza. E non è detto che l’Europa ce la faccia. È la prima volta che rischia seriamente un lento declino. Qualcuno ha detto che l’Europa potrebbe assomigliare all’Italia del quattro-cinquecento. Il più ricco e belpaese al mondo, con l’arte, l’economia…In un secolo è declinato, scomparendo dalla scena politica europea. Speriamo che non sia così oggi. Ma i cicli esistono per le grandi potenze.

I progressisti italiani quale insegnamento dovrebbero trarre dalla vicenda tedesca?
Dalla vicenda tedesca e dall’elezione di Trump. Che non abbiamo in tasca alcuna ricetta. Le ricette vecchie non funzionano più e non basta fare l’elenco dei diritti delle minoranze oppresse per vincere le elezioni. Bisogna ritrovare la forza analitica che la sinistra storica, marxista e post-marxista, come anche il Pci, dimostrava di avere quando cercava ci capire quali fossero le forze trainanti della società. Dove andavano. Da questo punto di vista, mi viene in mente che bisognerebbe andare a rileggere la grande intuizione che ebbe Palmiro Togliatti quando scrisse “Le lezioni sul fascismo”, quelle che lui svolse nel 1935 a Mosca. Togliatti capì che non bastava condannare, dire che il fascismo era violento…Tutto vero. Ma, e qui è la forza di quelle “lezioni”, che il fascismo aveva fatto riferimento a forze reali della società italiane. A quelle forze reali bisognava tornare. Una capacità di lettura che ha contribuito alla forza del Pci nel secondo dopoguerra. Quelle lezioni in sé ovviamente non valgono più. Ma vale il metodo. Dobbiamo rimboccarci le maniche e cercare di capire cosa abbiamo davanti e non illuderci di risolvere i problemi con degli escamotage di politique d’abord che non portano da nessuna parte.

Capire dove va la società, le sue trasformazioni, le forze trainanti. Un impegno intellettuale che ha caratterizzato tutta la lunga e prestigiosa vita accademica e saggistica del professor Franco Ferrarotti, scomparso mercoledì scorso.
Una grande perdita. Quella di un uomo colto e intelligente. Un’altra scuola. Per proseguire su quella strada, servirebbe ritornare ai grandi paradigmi interpretativi delle dinamiche strutturali e delle loro implicazioni economiche e culturali. Certo a Marx ma anche a Durkheim, a Weber e a Pareto. Insomma, riascoltare la lezione dei grandi sociologi come abbiamo fatto noi di quella generazione che a metà degli anni ‘60 scoprì la dimensione dell’impegno politico e della critica della cultura crociana e idealistica frequentando le lezioni di grandi maestri come Lucio Colletti e Franco Ferrarotti il cui insegnamento ci fece conoscere non solo la grande sociologia americana ma anche la dolente bellezza delle periferie di Roma.

15 Novembre 2024

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