Come in Liguria, peggio che in Liguria. Donatella Tesei, presidente leghista uscente dell’Umbria, e la rivale Stefania Proietti procedono in un primo momento appaiate, con un impercettibile vantaggio della seconda, come forse non era mai successo in una tornata elettorale. Ma da subito i dati del Pd sono più ottimisti e si rivelano azzeccati. A metà delle sezioni scrutinate la candidata del Campo Largo prende la rincorsa e stacca la rivale in modo netto e inappellabile.
In Emilia-Romagna non c’è nessuna misura. Michele De Pascale, il sindaco di Ravenna candidato del centrosinistra, raggiunge quella che la sconfitta Elena Ugolini, dopo averlo chiamato al telefono per complimentarsi, definisce “una vittoria schiacciante”. Merito del Pd. Il partito di Elly esce con l’alloro in testa da entrambe le prove: intorno al 41% in Emilia-Romagna (ma al 45 % con la Lista De Pascale), oltre il 30 in Umbria: il quadro a sinistra è quello di un partito dominante con intorno solo cespugli e neppure lussureggianti: Avs al 6% in Emilia e poco sopra il 3% in Umbria, i 5S al 5% in Umbria e al 3,5% in Emilia. Quadro non del tutto rassicurante per un Pd che ha recuperato come partito ma langue come coalizione.
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Sul fronte opposto la situazione registra sempre il predominio nettissimo, ma non quanto quello del Pd a sinistra, di FdI. Fi e Lega non si scostano però troppo dai risultati delle europee ma con un ribaltone significativo e a propria volta potenzialmente destabilizzante: in entrambe le regioni il partito azzurro supera il Carroccio. La partita fondamentale si gioca in Umbria: in Emilia-Romagna non ci sono mai state né partita né suspence. Anche quando il calo dell’affluenza poteva sembrare un segnale minaccioso al Nazareno erano paciosi. Le urne aperte hanno dato ragione ai tranquillissimi: stacco siderale, intorno ai 17 punti percentuali a favore di De Pascale. In realtà, mettendo insieme Pd e liste civiche nei risultati del 2020, la percentuale è più o meno la stessa di allora. È la destra che arretra e il dato interessante è proprio lo scivolone all’indietro del centrodestra. Nel 2020 l’Emilia-Romagna sembrava contendibile, Salvini si era speso più di quanto non abbia poi mai più fatto in una singola Regione. La speranza a destra era palpabile. Stavolta non c’erano speranze alla vigilia ed è andata anche peggio del previsto.
L’Emilia-Romagna non è un test credibile a livello nazionale. È la roccaforte rossa, una delle pochissime aree in cui la struttura del Pd è ancora fortissima. Ma la assoluta assenza di competitività del centrodestra dovrebbe far pervenire a Giorgia un messaggio non limitato al caso specifico: su una fascia di elettorato che è maggioritaria in Emilia ma è ampia ovunque la propaganda truculenta nella quale eccelle Salvini, il citofono di quattro anni fa, le “zecche rosse” oggi, o manifestazioni come la sfilata di Casa Pound a Bologna sono del tutto controproducenti. Il consenso che a livello nazionale Meloni mantiene deriva dal suo aver preso le distanze dalle tirate populiste e demagogiche dei vecchi tempi, quelli del 3%. Più le conserva, più si indebolisce.
L’Umbria sembrava una partita aperta e lo è stata davvero. Non è un dato del tutto positivo per il Pd La destra aveva conquistata fortunosamente quella che sino a non molto tempo fa era la terza regione rossa d’Italia con Emilia e Toscana. Non è riuscita a mantenerla. soprattutto perché la presidente Tesei si è poi rivelata molto deludente. Fino a pochi giorni fa la vittoria del centrosinistra era considerata, almeno al Nazareno, quasi certa. Forse anche grazie all’arruolamento del pittoresco sindaco di Terni Stefano Bondecchi, populista sanguigno e verace, la destra è rientrata invece in partita. Anche se l’apporto di Bandecchi, contrastato da FdI e fortemente voluto da Fi, si è rivelato meno prezioso del previsto e secondo alcuni analisti addirittura controproducente. È l’eterno limite della destra: l’assenza di una classe dirigente in grado di consolidare le vittorie ottenute sull’onda della propaganda e della popolarità personale della leader e premier.
Anche l’handicap del centrosinistra è quello di sempre: l’inesistenza di una coalizione credibile, in grado di stare al passo con il partito principale. Dunque moltissimo dipenderà da come Conte risolverà il dilemma che ha di fronte: provare a rivitalizzare un Movimento agonizzante staccandosi dal Pd, oppure accettare la parte della forza molto minore e accontentarsi della rendita di postazione che è sempre il compenso delle forze vassalle. Elly è stata capace di rivitalizzare un partito che due anni fa sembrava avviato sul viale del tramonto. Ora deve dimostrarsi capace di costruire una coalizione di governo.