Le regionali confermano il trend
Schlein contro Meloni, torna il bipartitismo: conferme da Emilia Romagna e Umbria, alleati sempre più ininfluenti
Da una parte il partito di Elly, che piazza una doppietta dopo essersi preso lo scettro di forza più votata anche in Liguria. Dall’altra i Fratelli di Giorgia. E gli alleati (vedi M5s e Lega) sempre più ininfluenti
Politica - di David Romoli
La tornata elettorale d’autunno, iniziata con il voto in Liguria e conclusa nel weekend scorso, registra una sorprendente pur se parziale simmetria tra la situazione di Elly Schlein e quella di Giorgia Meloni.
La segretaria del Pd può dire oggi di avere vinto la prima parte della sua scommessa: ha resuscitato un partito che sembrava in coma irreversibile e che ha dimostrato in Emilia e Umbria, ma anche in Liguria nonostante la sconfitta, di essere tornato in ottima salute. Non era affatto scontato. La crisi del Pd era profondissima e resta una minaccia latente, l’affidarsi a una outsider esterna al partito, spinta verso la segreteria dal voto degli esterni e non degli iscritti, relativamente inesperta, era un grosso azzardo andato però a ottimo fine. La seconda parte della scommessa, quella che impegnerà la leader di qui alle elezioni politiche, è per certi versi più insidiosa: il partito c’è, la coalizione no.
- Chi sono gli sconfitti delle Regionali in Emilia Romagna e Umbria: tracollo del trio populista Conte-Salvini-Bandecchi
- Elezioni regionali, dilaga il Pd: stravince in Emilia Romagna e riconquista l’Umbria, scoppola per la destra
- Elezioni Emilia Romagna e Umbria: il centrosinistra vince con De Pascale e Proietti, la doppia vittoria esalta le opposizioni unite
Ma il quadro è anche più complicato. La coalizione non c’è perché il partitone centrale ha salassato gli alleati su entrambi i lati. Sulla sinistra, perché Elly è stata portata alla segreteria da quell’onda e si è industriata per restituire al suo partito una parte almeno di quell’identità di sinistra che era stata completamente perduta. Verso il centro, perché il corpaccione del Pd, soprattutto lontano da Roma, è pur sempre ancora quello che negli ultimi decenni si era trasformato a tutti gli effetti in un partito centrista con lieve strabismo dell’occhio sinistro. Da un lato, di conseguenza, c’è e ci sarà anche in futuro, comunque finisca l’Assemblea costituente di Conte nel prossimo weekend, il rischio che prevalgano le spinte autonomiste, quelle che chiedono al Movimento di sottrarsi al soffocante abbraccio con il Pd. Dall’altro senza una coalizione reale, capace di raccogliere i voti che sfuggono al Pd, l’eventualità che Elly si ritrovi alla guida di un partito tornato molto forte ma destinato alla sconfitta è del tutto realistica.
La situazione di Giorgia Meloni è non certo identica ma almeno simile. Quella di due giorni fa è stata la prima vera sconfitta della premier da quando ha vinto le elezioni politiche. Tra Albania, bocciatura dell’Autonomia da parte della Consulta e rischio che Fitto perda la vicepresidenza della Commissione europea la mazzata arriva in un momento critico, nel quale per la prima volta la leader di FdI rischia di vedere seriamente appannata la propria immagine. Ma si tratta appunto solo di eventualità e rischi. La premier ha perso l’Umbria ma vinto contro ogni pronostico in Liguria e il suo partito si conferma forte anche quando gioca fuori casa come in Emilia ma sostanzialmente anche in Umbria, regione considerata per decenni e fino a quattro anni fa incrollabilmente in mano alla sinistra. Anche per la premier, però inizia a porsi un problema di coalizione simmetrico a quello che affligge la rivale.
Il tracollo della Lega è a tutto campo: salassata nei forzieri elettorali, superata con poche speranze di recupero da Forza Italia, privata nella sostanza dell’autonomia differenziata la Lega di Salvini aspetta solo il colpo di grazia. Lo tirerà proprio l’alleata Giorgia quando alle regionali dell’anno prossimo sottrarrà al Carroccio la roccaforte veneta. Come nei rapporti tra Pd e M5s, anche qui non è affatto detto che Salvini si rassegni al ruolo di ancella senza scalciare e provocare terremoti nella coalizione. Ma anche l’agonia di una Lega rassegnata modificherebbe strutturalmente il centrodestra, trasformandolo nell’alleanza tra un torreggiante partito di destra e un molto più modesto alleato centrista, che a quel punto potrebbe anche preferire la strada del partito unico tentando la carta della conquista di una destra nella quale l’elettorato moderato è probabilmente maggioritario dall’interno.
In Italia la carta del bipartitismo è stata già tentata una volta, da Berlusconi e da Veltroni. L’esito è stato diametralmente opposto alle aspettative: non solo il bipartitismo non è mai riuscito a configurarsi come opzione reale ma l’esito di un azzardo molto velleitario è stato la fine anche del bipolarismo. Ma le cose cambiano, l’Italia si trova sulla soglia di una nuova trasformazione del suo sistema politico dopo il decennio segnato dall’ascesa del M5s e dalla fine del bipolarismo. Le protagoniste assolute di questa nuova trasformazione sono Giorgia Meloni ed Elly Schlein. La preponderanza dei rispettivi partiti nei due campi avversi va già molto oltre il primato di Fi a destra e del Pd a sinistra nell’era del bipolarismo. E stavolta sono gli elettori stessi a rimettere sul tavolo l’opzione bipartitista.