La telenovela della commissione europea è quasi finita. Manca l’ultimo passaggio, il voto dell’aula in seduta plenaria sull’intera commissione del 27 novembre, ma i due scogli che paralizzavano tutto da 10 giorni sono stati superati ieri: sia Raffaele Fitto che Teresa Ribeira, i due vicepresidenti esecutivi presi di mira rispettivamente dai socialisti e dai popolari, sono stati eletti ieri dagli 8 coordinatori delle commissioni parlamentari incaricati di decidere col voto a maggioranza qualificata di due terzi.
Ma nella riunione dei coordinatori non c’è stata alcuna suspense: il solo fatto che la riunione fosse convocata, dopo ore di incertezza poteva significare solo che il doppio impasse era stato superato. Del resto lo avevano annunciato di fatto poco prima i tre presidenti dei gruppi di maggioranza, il popolare Weber, la socialista Garcia Perez e la liberale Hayer, presentandosi insieme, sorridenti e distesi, alla riunione dei capigruppo incaricata di preparare il voto del 27 novembre. La missione è stata difficile e a rischio sino all’ultimo. Nel gruppo del Pse, Socialisti e democratici, i tedeschi e soprattutto i francesi hanno puntato i piedi contro Fitto sino all’ultimo e i 12 europarlamentari francesi, sconfitti, potrebbero di conseguenza votare contro la commissione la settimana prossima.
- Perché la Commissione Europea di Von der Leyen è a pezzi: lo scontro tra popolari e socialisti
- Commissione von der Leyen sospesa, i voti per Fitto vicepresidente non ci sono: Ursula spalle al muro
- L’audizione di Fitto a Bruxelles, il ministro meloniano si rimangia le battaglie della destra: “Qui per rappresentare l’Europa”
Anche più difficile l’impresa diplomatica dei popolari, impegnati a convincere la delegazione spagnola ad accettare Teresa Ribeira. La mediazione raggiunta da Weber e dall’italiano Tajani prevedeva l’impegno della commissaria spagnola a dimettersi se finirà indagata per il disastro di Valencia, sul quale ha riferito ieri di fronte alle Cortes spagnole. Lei però non ha accettato l’accordo, i popolari spagnoli hanno rimesso tutto in discussione e anche loro potrebbero far mancare i 22 voti di cui dispongono nel voto finale. I Verdi, che sulla carta farebbero parte della maggioranza che in luglio ha eletto per la seconda volta Ursula von der Leyen presidente, non erano neppure presenti al vertice dei capigruppo della maggioranza. Di fatto sono fuori ed è molto difficile che la loro cinquantina di voti per la commissione ci sia.
L’accordo è completo: non solo sui vicepresidenti ma anche sul commissario alla Salute, l’ungherese Vharelyi, sul cui nome, dopo l’audizione, la commissione aveva chiesto un supplemento di indagine e di riflessione. Alla fine ha passato la prova, sacrificando però una parte importante della sua delega, la gestione delle pandemie e dei diritti riproduttivi. Per spianare la strada a Fitto è stato essenziale il ripensamento dei socialisti spagnoli, dovuto allo scambio con il sì alla loro Ribeira, e di quelli italiani, cioè del Pd. Sul partito di Elly ha pesato in modo decisivo il pronunciamento del capo dello Stato che la settimana scorsa ha fatto capire molto chiaramente, dopo che Fitto si era raccomandato a viva voce sul Colle, di essere favorevole a sostenere l’ex ministro FdI sia come commissario che come vicepresidente. Come se non bastasse Mattarella, che sarebbe però bastato a rovesciare come un guanto la posizione del Pd sino a quel momento contraria alla vicepresidenza Fitto, sono arrivati in soccorso, con una dichiarazione congiunta anche Prodi e Monti, entrambi ex premier, il primo ex presidente della Commissione europea, il secondo ex commissario. Il loro è stato un messaggio conciso e drastico: “Confidiamo che davanti a candidati qualificati come Teresa Ribeira o Raffaele Fitto non prevalgano le tensioni intestine”. Detto fatto.
La giustificazione ufficiale per il ripensamento su Fitto è un documento comune che Popolari, Socialisti e Liberali stanno preparando: una piattaforma articolata su tutti i fronti per le future politiche della Commissione. Più del testo in sé conta il messaggio implicito nelle tre firme. Dovrebbe garantire che la maggioranza non è cambiata, non c’è stato nessun allargamento alla destra dei Conservatori, la vicepresidenza Fitto è da quel punto di vista insignificante. Solo che non è affatto vero. I Conservatori di Giorgia Meloni, o almeno la loro delegazione più significativa, quella italiana di FdI, voteranno a favore della Commissione. I Verdi probabilmente no. Negare che la maggioranza sia cambiata fa a pugni con il principio di realtà.
Ma anche senza il cambio dei voti a sostegno, la realtà sarebbe identica, mai annunciata anzi sempre negata però praticata. I Popolari, gruppo egemone nell’europarlamento, volevano sin dall’inizio allargare a destra, promuovendo i sedicenti “moderati” di Giorgia a componente di fatto della maggioranza e in realtà considerandoli interlocutore privilegiato. Ci sono riusciti. È una strada aperta, in fondo alla quale potrebbe esserci l’alleanza tra Ppe e la destra tutta, non solo i Conservatori, prima a Strasburgo e Bruxelles, poi nei singoli Stati dell’Unione.