Il Movimento al voto
Cosa deciderà la Costituente del Movimento 5 Stelle: i quesiti sono il redde rationem tra Conte e Grillo
Dodici quesiti, meno di 90mila votanti. E un quorum difficile da raggiungere: al primo voto on line hanno preso parte in 12mila. Giuseppi si gioca tutto
Politica - di David Romoli
L’Assemblea costituente del M5s che si apre oggi è soprattutto, se non esclusivamente, la resa dei conti finale tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo. Del resto è stata pensata e organizzata, al netto delle dichiarazioni esorbitanti, quasi solo per questo. Non è certo che il garante sceglierà la sfida in campo aperto, anche se è a Roma e sembra deciso a intervenire nelle assise, oppure se sceglierà le armi del sarcasmo corrosivo. È destinato a perdere comunque anche se, qualora non si raggiungesse la maggioranza degli aventi diritto sul quesito che riguarda il ruolo del Garante, quindi il suo, la battaglia sarebbe destinata a proseguire e quindi a degenerare.
I quesiti sono 12, i votanti poco meno di 90mila. La maggioranza dei quesiti, tra i quali quello politicamente decisivo sul doppio mandato, non richiede la maggioranza degli aventi diritto ma solo quella dei votanti. Ci sono quindi pochissimi dubbi sulla vittoria di Conte. Ma sui quesiti che riguardano le modifiche statutarie servono invece circa 45mila votanti, in caso contrario le modifiche sarebbero cassate. Quelle sul nome e il simbolo servono a impedire a Grillo di disporre di entrambi imponendo di cambiarli in caso di vittoria della linea che non condivide. Ma quello determinante riguarda la conferma, la soppressione o la decurtazione drastica della figura del garante. È né più né meno che un quesito sulla detronizzazione ufficiale dell’Elevato. Il quale ha sempre detto di considerare regola più irrinunciabile di qualsiasi altra quella sul limite del doppio mandato.
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L’assenza di quorum nei quesiti statutari confermerebbe sia Grillo che la sua “proprietà” su nome e simbolo. La vittoria della proposta di eliminare il doppio mandato lo smentirebbe sull’elemento che costituisce il principale oggetto del contendere, dal punto di vista dell’identità del Movimento. Ne risulterebbe un quadro tanto contraddittorio quanto esplosivo e non è escluso, per quanto poco probabile, che finisca così. Nel marzo scorso, dopo una fase di iscrizioni a valanga, gli aventi diritto sarebbero stati 180mila. Quanto a iscritti il M5s aveva superato il Pd. La scrematura pre Assemblea costituente è stata in realtà un colpo di ramazza che ha dimezzato la platea e reso possibile il raggiungimento altrimenti proibitivo del quorum. Ma anche così la partita è aperta: nell’ultimo voto si sono espressi solo 12mila iscritti. Ecco perché Conte ha scelto negli ultimi giorni di drammatizzare al massimo la situazione, con una raffica di intervista nelle quali ha ripetuto sempre la stessa cosa: “Non si può tornare indietro, al Movimento delle origini. Nel caso gli iscritti scegliessero questa strada io lascerei”. L’avvocato, oltre che sulla popolarità personale che nel Movimento, o in ciò che ne resta, è alta, punta sulla consapevolezza della base che un addio del nuovo leader significherebbe probabilmente la fine dei 5S.
Ma se la sfida di oggi e domani è davvero decisiva per il quadro interno del M5s la stessa cosa non può dirsi su quello esterno, cioè sulle alleanze. Il quesito sulle alleanze è talmente pieno di subordinate da risultare tutt’altro che costrittivo. L’ex premier peraltro non ha alcuna voglia di farsi costringere all’abbraccio con il Pd. Quella che sino a due giorni fa era la sua rivale e che oggi invece forma con il leader una sorta di tandem, l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino ne ha anche di meno. La posizione di Conte promette in realtà di proseguire senza deviazioni sulla strada percorsa dalle elezioni politiche in poi. “Un’alleanza organica e strutturale con il Pd è estranea al dna del Movimento”, assicura infatti ed è su questa base che ha trovato l’intesa con Appendino, convinta anche lei che col Pd ci si debba alleare però “senza farsi fagocitare”. Cosa significa: contrattazione permanente, bracci di ferro a go go, intese a macchia di leopardo, competizione interna serrata. Cioè quel che è stata la politica del Movimento sinora.
Il solo confine che verrà marcato è il posizionamento senza ambiguità di sorta nell’area “progressista”. Ciò significa solo, però, escludere a priori qualsiasi alleanza con la destra e non ci sarebbe stato bisogno di chiamare al pronunciamento gli iscritti per escludere quel che era di fatto già escluso nei fatti. Se poi si dovesse riaprire in un futuro fantapolitico una possibilità di alleanza con la Lega, si potrà probabilmente dire che in quel caso non si tratta più di destra. Ma anche se questa previsione, che probabilmente non arriverà mai alla prova della realtà, non fosse fondata, resterebbe il fatto che l’appartenenza all’area progressista non equivale affatto all’obbligo di un’alleanza con il Pd. In fondo si può essere progressisti anche correndo da soli alle elezioni.