Accordo al ribasso che fa felice i paesi ricchi
Un accordo faticoso e che lascia l’amaro in bocca ai Paesi in via di sviluppo. È quello raggiunto nella notte tra sabato e domenica alla Cop29 di Baku in Azerbaijan, dove si è chiusa la conferenza annuale delle Nazioni Unite per il contrasto al cambiamento climatico.
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Il nodo che ha provocato lo scontro più grande tra i presenti non è stato quello sulla “ricetta” per tentare di fermare il “climate change”, bensì quello economico.
Il punto che ha provocato un lungo stallo, risolto solamente nella notte, è quello relativo alla “finanza climatica”, ovvero agli aiuti economici che i Paesi più ricchi, quello storicamente più responsabili per le emissioni di gas serra che causano il riscaldamento globale, si impegnano a versare a quelli in via di sviluppo.
Nel documento finale è previsto un esborso di circa 1300 miliardi di dollari all’anno di aiuti: di questi però solamente 300 arriveranno ai Paesi meno sviluppati nella forma più immediata e necessaria, ovvero come contributi e prestiti a basso interesse.
Gli altri mille miliardi, la fetta più grande, dovranno essere raccolti in modalità ancora incerte, come da aziende, finanziatori privati, tasse sul settore dell’aviazione e altro: si tratta a tutti gli effetti di fondi non ancora stanziati e soprattutto non definiti, un enigma.
Come da diversi anni a questa parte, si è riaccesa anche a Baku la polemica sui Paesi che dovrebbero fornire gli aiuti economici: fari puntati anche questa volta sulla Cina, oggi il primo Paese per emissioni di gas serra nell’atmosfera ma che secondo le classificazioni dell’Onu viene considerata ancora un Paese in via di sviluppo e che dunque non rientra nel gruppo di nazioni obbligate a versare i contributi.
Un accordo al ribasso che aveva scatenato le proteste di due gruppi di nazioni, l’Alleanza dei piccoli stati insulari e i Paesi meno sviluppati, che avevano abbandonato i negoziati sabato pomeriggio: il timore era che la Cop29 si sarebbe conclusa senza un accordo, come accaduto solamente in occasione della Cop6 del 2000.
L’intesa alla fine è stata raggiunta, ma si tratta di un accordo che non può fare felici i Paesi meno sviluppati. Sulla sfondo c’è poi il prossimo ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, che ha già promesso l’abbandono da parte degli Stati Uniti degli Accordi di Parigi, il più importante accordo sulla limitazione delle emissioni.
Al contrario, alla Cop29 (così come all’edizione dello scorso anno di Dubai) sono emersi chiaramente i tentativi di lobbisti e Paesi esportatori di petrolio e gas di rivedere al ribasso gli impegni sul clima: l’Arabia Saudita, uno dei più grandi produttori di greggio, ha tentato più volte di eliminare dal documento finale il passaggio che parla di “allontanarsi gradualmente dai combustibili fossili nei sistemi energetici”, passaggio inserito proprio nella Cop28.