Il Quirinale blocca la legge
Finanziamento pubblico ai partiti: democrazia italiana è senza fiato, ma Mattarella ferma tutto
Il Quirinale blocca la legge che avrebbe aumentato i soldi per la politica. Però non aveva bloccato lo spazzanaufraghi, il decreto rave, il carcere per i bambini, il decreto anti Ong, l’Albania...
Editoriali - di Piero Sansonetti
Il presidente della Repubblica Mattarella ha fatto sapere che non firmerà una eventuale legge che aumenti il finanziamento pubblico dei partiti. Non perché un provvedimento di questo genere possa essere considerato incostituzionale, ma perché, a giudizio del Presidente, non è opportuno. Rientra nei suoi poteri. Poi però è possibile esprimere un giudizio su questa sua iniziativa. Tenendo conto del fatto che, da quando si è insediato un governo di destra, il Presidente talvolta ha chiesto parziali correzioni ai decreti o alle leggi, ma mai si è opposto. Per la prima volta si oppone.
In cosa consisteva la proposta di legge per aumentare il finanziamento? In una correzione della legge attuale, che concede la possibilità, agli elettori dei singoli partiti, di finanziare il proprio partito destinandogli il 2 per mille della quota di reddito che versano al fisco. Vuol dire che un elettore medio, che versa al fisco 10 o 12mila euro, se lo vuole e lo indica esplicitamente nella scheda, può fare in modo che 20 o 30 di questi euro finiscano nelle casse del suo partito. In questo modo i partiti più robusti (il Pd e Fdi) ricevono un finanziamento che oscilla tra i 3 e i 5 milioni, i partiti più di opinione, come Forza Italia, ricevono poco più di mezzo milione. Cifre assolutamente insufficienti per sostenere una azione politica e di partecipazione di un qualche rilievo.
Questa legge è stata immaginata per sostituire la legge precedente, che assegnava ai partiti un finanziamento molto maggiore, ma che fu travolta dalla furia dei 5 Stelle che avevano fatto irruzione in Parlamento, guidati (teleguidati) da Beppe Grillo, e intendevano radere al suolo i partiti politici. Non bisogna avere studiato molta politologia per sapere che i partiti politici hanno bisogno di denaro per esistere. Una volta, nella Prima repubblica, i partiti politici erano molto forti, e il grado di democrazia e di partecipazione, in Italia, era molto alto. I partiti erano finanziati in vari modi. Anche illegali. Dalle grandi imprese, specialmente i partiti di governo, dai propri aderenti, che erano moltissimi, o anche da alcune potenze straniere (americani e sovietici) in modo assai consistente.
Poi, negli anni 70, fu introdotto la legge sul Finanziamento pubblico. Questo permetteva ai partiti di avere forti apparati, di radicarsi nel territorio, di sostenere molte strutture culturali o sociali. La partecipazione popolare alla vita dei partiti era molto ampia. Ogni sera, in tutt’Italia, si riunivano centinaia e centinaia di sezioni di partito, o circoli, o cellule, e centinaia di migliaia di persone discutevano di politica. Pensate che oggi i 5 Stelle tengono un congresso, peraltro con votazione online, alle quali partecipano sì e no 50mila persone. Quando c’era il Pci, ai congressi partecipavano, in presenza, più di un milione di persone. E votavano, ed eleggevano delegati, e discutevano per ore, giorni, mesi. Congressi di sezione, e poi congressi cittadini, regionali e infine il congresso nazionale. Spesso, ancora in questi giorni, leggo drammatici lamenti dei politici, dei giornalisti, degli intellettuali, per l’astensionismo che tiene la metà degli elettori lontano dalle urne.
Da che dipenderà? Dal destino? Evidentemente dipende dal fatto che il trionfo del populismo che ha caratterizzato gli ultimi 15 anni ha raso al suolo i partiti, che erano l’ossatura della democrazia italiana, e con loro ha raso al suolo gran parte della nostra democrazia. Perché ci lamentiamo, se è stata questa classe politico-intellettuale – appoggiata dall’azione massiccia della magistratura – a demolire il nostro impianto democratico? E poi succede che se per caso qualche pezzetto del mondo politico, un po’ più coraggioso degli altri, decide di provare a ridare risorse, e quindi linfa e forse anima, ai partiti, subito si erge un muro. Il moralismo, il populismo, il qualunquismo. E questo muro addirittura è presidiato dal Presidente della Repubblica.
Si era opposto il Presidente della Repubblica a una legge dello Stato, evidentemente incostituzionale, che stabilisce che fare un figlio all’estero, con l’aiuto di una donatrice, è reato universale? No. Si era opposto al decreto anti-ong, che ha drammaticamente indebolito il sistema dei soccorsi in mare per i naufraghi, provocando migliaia di morti? No. Si era opposto agli accordi tra i nostri governi e governi di Tunisia e Libia, per arrestare e internare nei campi di concentramento, o lasciar morire nel deserto, migliaia di naufraghi che cercano di raggiungere l’Italia? No. Si era opposto all’apertura di un campo di concentramento in Albania per stranieri che non hanno commesso delitti, in violazione palese della Costituzione e del codice penale? No. Si è opposto alla norma che prevede la prigioni per i bambini, anche neonati, figli di borseggiatrici? No. Perché? Il Presidente si è giustificato così: perché alle volte devo firmare leggi che non condivido. Già. E perché non può firmare una legge che ridia fiato alla democrazia italiana?