L'audizione in Parlamento
Santoro sfida Scarpinato, in Antimafia smontati i teoremi dell’ex procuratore e senatore 5 Stelle (che non si presenta)
Il giornalista spiega perché non si reggono in piedi i teoremi dell’ex Procuratore generale di Palermo e difende la credibilità del pentito Avola
Giustizia - di Paolo Comi
Il teorema di Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo ed ora senatore pentastellato, secondo cui dietro le stragi di mafia del 1992- 1994 c’è stata anche la mano dei Servizi segreti, dell’eversione nera e di pezzi dello Stato, è inconsistente.
Lo ha ribadito ancora una volta Michele Santoro in audizione ieri davanti alla Commissione parlamentare antimafia presieduta dalla meloniana Chiara Colosimo. L’audizione era stata sollecitata nei giorni scorsi dallo stesso ex giornalista Rai, con un articolo sull’Unità. Santoro aveva puntato il dito proprio contro Scarpinato il quale “in più occasioni ha denunziato l’esistenza di recenti depistaggi e tra essi ha incluso il mio libro”. L’audizione di ieri doveva essere un duello tra Santoro e Scarpinato, ma il duello non c’è stato perché Scarpinato, prudentemente, ha evitato di presentarsi all’audizione. Santoro, insieme a Guido Ruotolo, nel 2021 aveva dato alle stampe “Nient’altro che la verità”, basato sulla vita del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, pentitosi nel 1994, e sul ruolo del clan Santapaola nelle stragi.
Avola, in particolare, ex killer di mafia con ottanta omicidi sulle spalle, nel 2020 aveva dichiarato di aver fatto parte del commando autore dell’attentato nel quale persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta. “Sono l’ultima persona che ha visto lo sguardo di Borsellino prima di dare il segnale per fare quella maledetta esplosione”, aveva raccontato a Santoro, scatenando così la reazione dei pm di Palermo, ad iniziare da Scarpinato, la cui presenza in commissione Antimafia continua a suscitare imbarazzi per gli evidenti conflitti d’interesse, essendo chiamato nel suo ruolo di parlamentare a svolgere ora accertamenti su questioni di cui si è occupato da magistrato. “Scarpinato – ricorda Santoro – ritiene che le dichiarazioni di Avola siano false e sollecitate da terzi, dunque strumento di consapevole depistaggio. Ho indicato fatti oggettivi e verificabili che consentono di affermare che quanto pubblicato nel libro non solo non sono accuse eterodirette, come peraltro già accertato dalla stessa Autorità giudiziaria di Caltanissetta, ma che è assolutamente necessario continuare a indagare per accertarne la verità o smentirle in maniera definitiva con dati di fatto incontrovertibili“.
Su quanto raccontato da Avola era stata infatti aperta una indagine. Per capire “l’origine” delle dichiarazioni dell’ex killer, i pm avevano intercettato anche Santoro e Ruotolo, mai indagati, sollevando inevitabili polemiche sul mancato rispetto della professione giornalistica da parte dei magistrati. Secondo il procuratore Salvatore de Luca e l’aggiunto Pasquale Pacifico – questa è la loro tesi che però è stata smentita e rigettata dal giudice – Avola non sarebbe stato credibile. Per questo motivo i due avevano chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, definendo come “assai probabile” che le dichiarazioni di Avola “possano essere state eterodirette da parte di soggetti, non identificati sulla scorta delle indagini in corso, interessati a porre in essere l’ennesimo depistaggio”.
La tesi dei Pm, non accolta dal Gip, è che i racconti di Avola sembrano talvolta “tappare i buchi” che nella ricostruzione della strage di via d’Amelio sono rimasti aperti su mondi esterni a Cosa Nostra. Nell’ottobre del 2023, però, il gip Santi Bologna aveva rigettato la richiesta di archiviazione ordinando altre indagini. Avola, scrisse il giudice, non è mai stato condannato per calunnia e quindi non può essere ritenuto “inattendibile”. “Le ricostruzioni giudiziarie fino ad oggi non hanno permesso di ricostruire compiutamente la fase dell’imbottitura della Fiat 126, né l’identità di tutti i soggetti del commando di via D’Amelio, né chi ebbe materialmente ad azionare il congegno di detonazione e da dove”, aveva puntualizzato il giudice nisseno, parlando chiaramente di “buchi neri nella ricostruzione della fase esecutiva”. Da allora è trascorso più di un anno e adesso la Procura di Caltanissetta si trova ad un bivio: chiedere nuovamente l’archiviazione o esercitare l’azione penale. Nel primo caso, oltre a smentire il racconto di Santoro e Ruotolo, è però inevitabile per l’ex killer una accusa di calunnia.
“È impressionante vedere mafia e antimafia attaccare un libro con tanto livore ma la consideriamo una ennesima prova di come certo giornalismo e certa magistratura stiano lentamente sprofondando in una palude da cui faticano ad uscire”, avevano più volte sottolineato Santoro e Ruotolo. “Cosa nostra non era la sezione di Forza Italia: i giornali vanno bene solo se riportano i teoremi delle Procure”, ha invece aggiunto ieri l’ex giornalista Rai rispondendo alle domande dei commissari