L'operazione flop di Meloni
Centri per migranti in Albania, ecco i primi ospiti: sono i cani randagi di Gjader…
Ospiti trattati con i guanti, garantendo cibo, acqua e cure mediche: sono quelli, a quattro zampe, che vivono nel centro per migranti di Gjader in Albania, la struttura frutto dell’accordo tra il governo Meloni e il presidente Edi Rama che ad oggi si sta rivelando un colossale flop.
Di migranti nei centri sparsi tra Gjader e Shengjin infatti non ce n’è neppure l’ombra: effetto delle decisioni di diversi tribunali italiani, da Roma a Palermo, fino a Catania e Bologna, di non convalidare i trattenimenti dei migranti al loro interno sulla base di una sentenza dello scorso ottobre della Corte di Giustizia Europea che restringe la possibilità di definire un Paese “sicuro”.
Così in assenza di migranti, e con la decisione di far tornare in italia il personale di Medihospes, la cooperativa a cui era stata affidata la gestione dei centri, e di larga parte degli agenti di polizia spediti sull’altro lato dell’Adriatico, a Gjader ci si occupa dei cani.
A scriverne oggi è il quotidiano Domani. A Gjader, all’interno del complesso più grande tra quelli costruiti con i soldi italiani (già costati 60 milioni nell’ambito di un piano ne che costerà almeno 800) c’è anche un piccolo carcere da 20 posti: è destinato a chi, tra i migranti, avrebbe commesso reati nell’area considerata di giurisdizione italiana.
A sorvegliare il carcere, ovviamente vuoto, sono 15 agenti di polizia penitenziaria: si tratta di un terzo del contingente spedito dal governo in Albania, poi fatto rientrare in Italia.
Qui i 15 agenti, come da resoconto della rivista “Polizia penitenziaria” edita dal sindacato Sappe, citato da Domani, gli uomini in divisa si occupano di chi “era stato barbaramente legato”, “immobilizzato”, “visibilmente disidratato e spaventato”. Toni che sembrano adeguati a chi scappa da guerre e carestie per cercare fortuna in Italia e in Europa, e invece si tratta dei cani randagi di Gjader.
“Una storia bellissima”, si legge ancora sulla rivista della polizia penitenziaria, che “dimostra che la polizia penitenziaria non è fatta di aguzzini crudeli e torturatori come qualcuno vorrebbe far credere”, con evidente riferimento alle plurime inchieste sulle torture nelle carceri italiane, l’ultima da Trapani.