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Chi era Winston Churchill: il lord vittoriano che spezzò le reni a Hitler

Foto LaPresse Torino/Archivio storico

Foto LaPresse Torino/Archivio storico

Quando fu nominato primo ministro, nel 1940, con l’Inghilterra a un passo dall’essere travolta dalla Germania nazista, Winston Spencer Churchill aveva già 65 anni e una lunghissima carriera politica alle spalle. Dichiarò di avere sentito che tutta la sua vita era stata solo una preparazione a quell’incarico. Fu davvero così, in misura molto maggiore di quanto lo stesso Winston potesse immaginare. La leadership del suo partito, i Conservatori, era propensa a trattare con Hitler una pace da sconfitti. Sembrava inevitabile con la Francia travolta in poche settimane e l’esercito inglese imbottigliato sulla spiaggia di Dunkerque.

A capo di un governo di unità nazionale, appoggiato nella sua scelta di resistere soprattutto dai Laburisti di Clement Attlee, Churchill rifiutò quella che sarebbe stata una resa. Riuscì a riportare a casa quasi tutto l’esercito mobilitando tutte le imbarcazioni anche civili disponibili per trasportare i soldati dall’altra parte della Manica. Restituì fiducia agli inglesi, organizzò la difesa di Londra e del Regno Unito bersagliato nella battaglia d’Inghilterra dalla Luftwaffe. Senza di lui l’esito della guerra sarebbe stato probabilmente opposto. Larger Than Life: a nessuno dei grandi protagonisti, nel bene e nel male, del XX secolo la definizione si adatta meglio che a Winston Churchill, “il mastino inglese”. Una sola vita gli sarebbe andata strettissima e ne visse infatti molte.

Intemperante, spendaccione, vulcanico, iperattivo e instancabile, è stato il leader politico che impedì all’Inghilterra di arrendersi e negò a Hitler una vittoria che pareva certa, il giornalista e scrittore con una lista impressionante di pubblicazioni insignito nel 1953 di un meritatissimo premio Nobel per la letteratura, il militare non coraggioso ma temerario, “il più folle e coraggioso mai visto” lo definivano i commilitoni, dotato di una genialità strategica che coniugata con il temperamento incandescente e avventuriero gli costò anche sanguinosi disastri. Fu a tempo perso ottimo pittore dilettante, sportivo di successo soprattutto come giocatore di polo, architetto e muratore, viaggiatore appassionato per tutta la vita. In parte il dinamismo di Churchill era anche una difesa dagli agguati della depressione, “il mio cane nero”, ma era soprattutto il riflesso di una esuberanza e di una genialità prorompenti.

Era smodato e indisciplinato. Innaffiava l’abbondante colazione con un bicchiere di whisky già nelle prime ore del mattino, beveva una bottiglia di champagne a pranzo e una a cena, poi passava al brandy. Marito molto fedele e affettuoso adorava il combattimento e il rischio. A 69 anni solo il divieto formale del sovrano gli impedì di partecipare in prima persona allo sbarco in Normandia come era determinato a fare senza sentire ragioni. Churchill intendeva la politica come un combattimento continuo. Dovette la sua prima elezione nel Parlamento inglese, a 26 anni, proprio all’enorme fama che si era conquistato nella guerra anglo-boera. Aveva già combattuto soprattutto in Afghanistan e in Egitto ma in Sudafrica era in veste di civile, come giornalista. Il treno blindato su cui viaggiava fu attaccato dai boeri. Fu fatto prigioniero, riuscì a fuggire, diventò popolarissimo. Si era candidato già una volta invano. Ce la fece, ancora giovanissimo, dopo che l’avventura boera lo aveva reso un eroe.

Non che il giovane Winston avesse mai avuto dubbi sul suo futuro. Anche il passaggio nell’esercito, dove riuscì a entrare solo al terzo tentativo dopo due bocciature, era finalizzato ad acquistare meriti da spendere poi nella carriera politica. La stessa prolifica attività di giornalista e scrittore serviva anche a questo, pur se soprattutto a portare in cassa le sterline di cui era sempre a corto e che in effetti affluivano: i suoi erano libri molto venduti. Viveva nel mito del padre, Randolph Churchill, politico importante arrivato a diventare cancelliere dello scacchiere. Sognava di sedere al suo fianco nel Parlamento inglese nonostante fosse da lui disprezzato. O forse proprio come reazione alle lettere venefiche con le quali il padre stesso lo criticava ferocemente in tutto.

La carriera di Churchill

Ma anche come politico puro una sola vita non gli sarebbe bastata. La carriera di Churchill, più detestato che amato soprattutto tra i Conservatori dei quali fece parte per la maggior parte della sua vita, somiglia alle montagne russe, fatta di ascese ma anche di rovinose cadute. Riuscì a entrare in Parlamento giovanissimo ma il padre era nel frattempo morto di sifilide. Nel 1904 passò dai Conservatori ai Liberali, strada che avrebbe percorso all’inverso 18 anni dopo e sulla quale ironizzava lui stesso: “Ci vuole talento per tradire due volte”. Con il passaggio nelle file dei Liberali la sua carriera decollò. Come ministro del Commercio introdusse per primo il salario minimo, istituì gli uffici di collocamento, limitò l’orario di lavoro a 8 ore. Passato agli Interni rifiutò di fare intervenire l’esercito contro i minatori in sciopero ma fu anche durissimo nella repressione delle suffragette e attirò critiche comprensibili quando volle presenziare di persona, con tanto di filmati facilmente reperibili anche oggi su Youtube, all’assedio di una casa dove si erano rifugiati due rapinatori lettoni. L’edificio prese fuoco, il ministro vietò ai pompieri di intervenire: “Perché dovremmo rischiare vite inglesi per due banditi lettoni?”.

Primo lord dell’ammiragliato, a capo dunque della Marina, dal 1911, Churchill è stato il padre dell’aviazione del Regno Unito, la Raf, così come, da responsabile degli Interni, aveva creato il nucleo del futuro servizio segreto, l’MI5. Ma scoppiata la guerra commise l’errore che segnò il primo rovesciamento della sua fortuna politica. Fu il principale promotore dell’attacco alla Turchia nei Dardanelli, con l’obiettivo di creare un secondo fronte e alleggerire così la pressione sulle Somme. Strategicamente gli storici la considerano oggi una mossa che sarebbe potuta essere vincente. Finì con il disastro di Gallipoli, la sconfitta che costò agli inglesi e alle truppe loro alleate 45mila vittime. Rimosso dall’ammiragliato, Churchill preferì abbandonare del tutto il governo e andare al fronte. Dopo 7 mesi tornò al governo come ministro degli Approvvigionamenti, poi della Guerra e insistette invano per passare subito a un altro conflitto, stavolta contro la Russia bolscevica.

Negli anni 20 passò da un ministero all’altro. Nel 1924, dopo essere tornato Tory, diventò cancelliere dello scacchiere come suo padre. In quel decennio ‘effervescente’ Churchill fu attivo su più fronti. Ridisegnò in buona parte le mappe del Medio Oriente, in particolare creando dal nulla e a tavolino la Giordania. Fu il principale sostenitore del ritorno alla parità aurea della sterlina. Represse con particolare durezza un grande sciopero dei minatori, pur ritenendo giuste le loro rivendicazioni. Gli anni 30 furono per Churchill il cono d’ombra. Spinto ai margini dal suo partito, si rifugiò soprattutto nella scrittura e nel restauro della sua casa di campagna. I suoi continui allarme contro la minaccia nazista, con richiesta di riarmo e soprattutto di potenziamento dell’aviazione, erano puntualmente respinti da una leadership dei Conservatori e poi del governo che puntavano invece sul contrario, sulla politica di appeasement con Hitler. Fu la guerra a riportarlo in vetta. La prova che su Hitler aveva ragione. L’ombra di una disfatta dovuta anche al rifiuto di riarmare dei fautori dell’appeasement: il primo ministro Chamberlain, il ministro degli Esteri lord Halifax. L’anatema scagliato meno di due anni prima dopo Monaco, “Potevate scegliere tra guerra e disonore. Avete scelto il disonore, avrete la guerra”, suonava ora profetico.

Eppure, nonostante fosse stato il più lucido nel capire la vera natura del nazismo, Churchill, inviso a re Giorgio perché era stato tra i pochi a schierarsi contro l’abdicazione di suo fratello dopo lo scandaloso matrimonio con la divorziata americana Wally Simpson, non ce l’avrebbe fatta senza l’appoggio dei Laburisti. Il suo discorso dopo Dunkerque, quello in cui prometteva di non arrendersi mai, è oggi storia. In realtà, limitato anche da un difetto di pronuncia, incontrava molte più difficoltà come oratore che come scrittore. Doveva scrivere, riscrivere e poi imparare a memoria, incapace di andare a braccio. Anche così riuscì a “mobilitare la lingua inglese per mandarla in guerra”. I suoi sofferti discorsi furono essenziali per rianimare una popolazione smarrita.
Dopo la guerra Churchill perse le elezioni e fu sostituito proprio da Attlee.Il popolo decide e vota. Abbiamo combattuto per questo”, commentò. Tornò primo ministro nel 1951 e mantenne la carica fino al 1955, poi si dimise ma non abbandonò la politica attiva fino al 1964, un anno prima della morte a 91 anni, età ragguardevole per uno che da giovane era convintissimo di essere condannato dalla genetica a morire molto giovane.

Non ci sono solo luci nella vita politica di Winston Churchill. Fu un convinto imperialista e colonialista, probabilmente non scevro da pregiudizi razzisti. Fu senza dubbio un sincero e appassionato democratico ma anche un aristocratico ambizioso. La famiglia, da parte di padre, era di altissima aristocrazia inglese, quella dei duchi di Marlborough sul primo dei quali, John Churchill, Winston scrisse un biografia in 4 volumi. La madre era un’americana, figlia di un grande finanziere e speculatore. Era nato in uno dei principali castelli inglesi, la residenza di Belnheim Palace, e lui stesso si descriveva per quello che era: un vittoriano, figlio dell’Impero. E un grande combattente.