Dal libro al film
Il treno dei bambini: che cos’erano “i treni della felicità”, la storia vera del film, l’idea di Pci e Unione delle Donne nel Dopoguerra
Un'iniziativa, riscoperta dal romanzo di Viola Ardone, che portò migliaia di bambini dalle zone più colpite dalla guerra a famiglie più al sicuro. "Non esiste Nord e Sud, esiste l'Italia", recitava uno degli slogan
News - di Redazione Web
Come se fosse un Erasmus per bambini, un progetto di scambio e solidarietà per riparare alla devastazione della II Guerra Mondiale. Li chiamavano “treni della felicità” quei vagoni che portarono migliaia di bambini dalle zone più colpite dalle bombe a famiglie che dal conflitto erano state meno danneggiate. Un’esperienza riscoperta grazie al romanzo di Viola Ardone, Il treno dei bambini, un grande successo tradotto in decine di lingue diventato un film presentato al Festival del Cinema di Roma in uscita il 4 dicembre sulla piattaforma Netflix, diretto dalla regista Cristina Comencini e interpretato da Serena Rossi, Christian Cervone, Barbara Ronchi e Stefano Accorsi.
Il progetto dei “treni della felicità” fu assemblato dall’Unione Donne Italiane (Udi) e dal Partito Comunista Italiano, partì alla fine della II Guerra Mondiale e andò avanti fino al 1952. Dalle città più colpite come Milano, Napoli o Roma, o da zone come Puglia, Sicilia, Polesine e Cassinate, bambini di famiglie poco abbienti o molto colpite dalla guerra e dalle sue conseguenze venivano assegnate ad altre famiglie in minore difficoltà, presso le quali restavano per il tempo di un anno scolastico o più. A offrire ospitalità non erano soltanto militanti del Pci o famiglie abbienti, spesso erano famiglie di contadini che figli già ne avevano. Di solito le destinazioni erano Emilia Romagna, Toscana, Marche e Liguria.
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Il progetto di Pci e Udi: l’idea di Teresa Noce
Ideatrice del progetto fu Teresa Noce, partigiana che aveva preso parte alla Guerra Civile in Spagna con il nome di battaglia Estella, imprigionata dai nazisti, tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane, organizzazione nata a Napoli di donne antifasciste che avevano partecipato alla Resistenza con l’obiettivo di inserire i diritti delle donne nella Costituzione Italiana. Il progetto partì con le famiglie di “compagni” tra Bologna, Modena e Parma. Si trattava di sfamare, curare, vaccinare, pulire, educare, formare, istruire migliaia di bambini in condizioni di disagio. Molti erano figli di operai e contadini arrestati nelle manifestazioni represse con violenza dal ministro dell’Interno Scelba all’inizio degli anni ’50.
L’Italia unità dai treni dei bambini
Se a partire erano fratelli, poteva capitare venissero divisi tra più famiglie: un altro shock dopo l’iniziale separazione dalle famiglie di origine che poteva essere anche drammatico. “Non esiste Nord e Sud, esiste l’Italia”, recitava uno degli slogan dell’iniziativa. Il divario era già evidente e cominciava ad allargarsi. Se decenni prima l’Italia si era unita nelle trincee, con i soldati fianco a fianco in guerra, quelli della Sicilia come quelli della Lombardia, i “treni della felicità” unirono l’Italia nella solidarietà.
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Non mancava la propaganda dei partiti di destra o della Democrazia Cristiana che spaventava piccoli e grandi con la puntuale e immancabile leggenda dei Comunisti che mangiano i bambini o con la minaccia della spedizione dritti dritti in Unione Sovietica. Quando arrivavano a destinazione e sentivano parlare nei dialetti del nord, alcuni davvero pensavano fossero arrivati a Mosca o in Siberia. E si rifiutavano perfino di scendere dal treno. Alcuni di quei bambini, orfani della loro famiglia, arrivati con i treni della felicità non tornarono mai più indietro. Altri tornarono per continuare il percorso scolastico.
Il romanzo di Viola Ardone: un caso editoriale
Ardone ha preso questa esperienza dimenticata ed emozionante della storia della Repubblica e ne ha fatto un romanzo di grande successo, tradotto in decine di Paesi. Il protagonista è Amerigo, il bambino che parte da Napoli, lascia la madre nei Quartieri Spagnoli per il Nord, è lui a dare il punto di vista alla narrazione, l’io narrante. Circa 20mila bambini partirono da Napoli.
Pubblicato nel 2019 da Einaudi, 200mila copie vendute, tradotto in 35 lingue, Il treno dei bambini è stato un successo enorme che ha riportato alla luce un capitolo bellissimo, struggente ed emozionante, oltre che dimenticato, della storia italiana del dopoguerra. “A volte dobbiamo rinunciare a tutto, persino all’amore di una madre, per scoprire il nostro destino. Nessun romanzo lo aveva mai raccontato con tanto ostinato candore”, recitava la quarta di copertina del libro alla sua uscita, un caso editoriale.
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