Il presidente nazionale Arci
“Chi critica Israele è automaticamente accusato di antisemitismo, siamo alla caccia al nazista”, parla Massa
Walter Massa: «Se qualcuno critica il governo israeliano viene automaticamente accusato di essere antisemita. Danni incalcolabili per le generazioni future. Bisogna reagire»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
La parola a Walter Massa, presidente nazionale dell’Arci.
Per avere documentato il genocidio in atto a Gaza, Amnesty International è stata accusata di tutto, le hanno affibbiato anche il marchio d’infamia dell’antisemitismo.
Non mi pare una novità, purtroppo. Ci siamo passati tutti, le Nazioni Unite con il suo Segretario Generale in primis e solo perché è diventato impossibile contestare un governo fascista che oggi, con una capriola storica da Guinness dei primati, è diventato esempio per le peggiori destre europee e mondiali. Quello che sta riuscendo a Netanyahu – nella più assoluta impunità – in termini di apartheid, razzismo e genocidio non era mai riuscito a nessuno fino ad oggi. Dopo la seconda guerra mondiale, ovviamente. Come scrive molto bene Gad Lerner nel suo libro “Gaza” che consiglio vivamente, “la destra s’è fatta sionista” e questa interessante e veritiera riflessione che offre Lerner parte una frase del neoeletto presidente Usa, Donald Trump, pronunciata in campagna elettorale: “Qualsiasi ebreo che voti democratico tradisce la sua religione”. Se qualcuno contesta e critica apertamente il governo israeliano automaticamente diventa antisemita a prescindere. Se poi ti chiami Amnesty International, Arci, all’accusa infamante si aggiunge una vera e propria caccia al nazista. Siamo di fronte ad una vera svolta culturale prima ancora che politica e occorre prestare attenzione a questo aspetto. Non sono minimamente calcolabili oggi i danni che potrebbero investire le generazioni future.
Come presidente dell’Arci farà parte di una nutrita delegazione che venerdì prossimo sarà all’Aia alla Corte di giustizia europea per incontrare il relatore che segue il dossier Palestina in nome e per conto del procuratore generale. Anche la Corte di giustizia europea e la Corte penale internazionale sono tacciate di “antisemitismo”.
Si saremo a l’Aia il 13 dicembre per ascoltare il relatore del dossier Palestina e per poter dialogare con lui circa le decisioni assunte dalla Corte e quelle in divenire. È una azione politica che sta nel solco della Carovana per Rafah che organizzammo come Arci, Aoi e Assopace Palestina, unitamente ad un nutrito gruppo di parlamentari italiani e diversi giornalisti con lo scopo di documentare ciò che stava accadendo al valico omonimo e scortare i convogli di aiuti da noi organizzati. Questa nuova missione ha lo scopo di restituire al nostro Paese una informazione corretta circa il lavoro della Corte di Giustizia Europea e comprendere meglio i prossimi passi. È una novità importante che anche noi associazioni pacifiste e Ong siamo parte di questa delegazione. È un segnale politico.
L’Italia è tra i Paesi che riconoscono la Cpi, eppure, come peraltro la Francia, non è intenzionata ad eseguire il pronunciamento della Corte per quel che riguarda i mandati di cattura internazionali per il primo ministro israeliano Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Gallant per crimini di guerra e contro l’umanità. Che segnale è?
Nel nostro Paese si versano ad ogni elezione lacrime di coccodrillo perché non si vota più. Manca la partecipazione e questo è oggettivamente un dato drammatico per la tenuta democratica e civile di un paese che si vuole definire tale. Io penso che una significativa parte di questo astensionismo sia oggettivamente dettato dalla perdita di credibilità delle scelte politiche, dal fatto che la legge non è uguale per tutti e da una idea classista della convivenza che avanza paurosamente parallela all’aumento delle diseguaglianze. Basta affacciarsi in qualsiasi istituto di pena per capire chi ci finisce dentro e quanto il suo destino sia segnato tragicamente dato che per i poveri, esistono carceri povere. Quindi come può essere presa questa notizia dall’operaio di Stellantis in cassa integrazione, giusto per fare un esempio attuale – e a patto che ne sappia qualcosa, cosa non scontata di sti tempi – che vede premiare contemporaneamente il suo ex amministratore delegato con oltre 100 milioni di buona uscita dopo aver distrutto la sua vita e quella di migliaia e migliaia di lavoratrici e lavoratori e le dichiarazioni del suo governo e di altri europei sulla totale impunità concessa a due potenziali criminali di guerra? Come tutto ciò può non essere considerato un corto circuito democratico e soprattutto come può essere credibile quello stesso governo che dovrebbe difendere il tuo posto di lavoro e il principio sacrosanto della legge uguale per tutti e invece punisce solo te perché, ti dice, tu non conti nulla? È dunque un segnale pessimo per il nostro futuro e questa cosa la sappiamo noi e la sa anche chi governa che non a caso dal giorno del suo insediamento ha deciso di impostare una politica repressiva e autoritaria, contro i più giovani in particolare, partendo dal decreto rave, per arrivare all’obbrobrio politico dell’ennesimo “decreto sicurezza”, passando per un decreto Caivano qui e un decreto Cutro di là. Stiamo correndo un rischio grande ormai è consapevolezza diffusa. Vedo segnali positivi ma vedo ancora tanta, incredibile per questi tempi, miopia e arroganza da parte di chi dovrebbe lavorare per unire e non per primeggiare.
Il pacifismo è pratica, è sapere, è memoria. Oggi alla Camera dei deputati sarà presentato “Pace in movimento”, il portale dedicato a Tom Benetollo. Da dove nasce questo progetto?
È un portale dedicato al nostro Tom, pacifista illuminato. Non c’era un modo migliore e più efficace per attraversare questo ventennale dalla sua scomparsa e così rendere attualissimo il suo esempio, le sue intuizioni, le sue battaglie e i suoi valori. Valori che abbiamo assunto come identitari e fondativi in quella stagione lunghissima segnata, appunto, dal pacifismo italiano che ha condizionato in modo positivo la politica e le scelte italiane. Un pacifismo prima di tutto “come scelta politica” che non ha mai vissuto di sola testimonianza ma di azione, mediazione e processi culturali tali da unire in una sola voce esperienze diversissime tra loro per pratiche, idee e valori. Cosa che oggi risulta, come dicevo prima, difficilissima. Ecco credo che questa eredità, questa conoscenza storica e politica di una stagione che ha attraversato l’Italia da Comiso contro gli euro missili a Genova contro la Mostra navale bellica, da Roma alle più importanti capitali del mondo in quella straordinaria giornata che è stata il 15 febbraio 2003 quando 110 milioni di persone scesero in piazza in oltre 600 città contro la guerra in Iraq, solo per citarne alcune meriti prima di tutto di essere conosciuta ancora prima di essere ricordata. Conosciuta da chi, ad esempio, non ha mai conosciuto la forza intrinseca delle mobilitazioni politiche come strumenti di cambiamento vero tali da far chiudere una mostra dei mostri a Genova o far scrivere al New York Times per quel 15 febbraio 2003 che era “nata la seconda potenza mondiale del pianeta”. Perché quel pacifismo politico che abbiamo conosciuto e che Tom ha impersonificato è stato capace di rivoluzionare le scelte e far tremare le cancellerie di mezzo occidente, in modo talmente forte, tanto da subire una violentissima repressione quando maturò il convincimento che quel pacifismo politico contrario alla logica delle guerre, al riarmo ossessivo ed anche poco convinto del ruolo di polizia internazionale assunto dalla Nato all’indomani della caduta del muro di Berlino e del frantumarsi dell’Unione Sovietica, poteva anche aspirare a cambiare il sistema economico. Mi riferisco ad un’altra Genova, quella legata a quel drammatico luglio 2001 con i tragici fatti del G8. Perché quel movimento, in parte o del tutto, era figlio di quella lunghissima stagione che, nel frattempo, seminando, era cresciuto ulteriormente e si poneva sul piano politico non solo a combattere le conseguenze di un capitalismo ormai malato e in preda a convulsioni estreme ma le cause, proponendo un’alternativa. La lotta alla globalizzazione in quelle giornate culminate a Genova era anche la lotta per un mondo in pace. Qui sta il senso di questo grande lavoro che restituiamo alla comunità e che è stato possibile grazie al lavoro volontario di moltissimi protagonisti diretti di quella straordinaria stagione. Che non è finita ma continua.
Visto dall’Arci, che anno è stato il 2024 e con quale spirito affrontate l’anno che sta arrivando?
È stato l’anno del coraggio se posso abusare di questo termine. Nonostante un mondo in fiamme, immerso in una terza guerra mondiale seppur a pezzi, dove anche in questo fine anno ha visto riaccendersi la scintilla bellica in una già martoriata Siria, l’Arci ha scelto di metterci la faccia sempre, senza rintanarsi nel cantuccio caldo delle proprie convinzioni e delle proprie parole d’ordine. Abbiamo scelto di andare oltre le virgole degli appelli partendo dal presupposto che è tra diversi che si possono fare passi avanti ed è tra belligeranti che si deve fare la pace. Già perché la cosa più importante di sti tempi è rifuggire dalle bolle, esporsi, ascoltarsi e riconoscersi, provare a vedere anche ciò che l’altro prova a nasconderti, perché è mettendo insieme i diversi è possibile fare grandi cose. Così siamo cresciuti dagli anni 90 in poi e così è bene continuare a crescere. Se è vero che la fatica raddoppia e la pazienza a volte deve essere la prima virtù, è altrettanto vero che quando le cose riescono allora si che la soddisfazione ti ripaga di tutto, difficoltà comprese. Se non avessimo ritrovato questo spirito e questo approccio non avremmo neppure potuto ribaltare la battaglia fondamentale sull’Iva al Terzo Settore che non è questione accessoria per noi dell’Arci. Se dovessi racchiudere il tutto in una parola userei “militanza”. Una militanza che vuole rivoluzionare questo mondo, agendo come fattore inquieto e sempre problematico. Questo è il miglior augurio per noi dell’Arci e per tante e tanti compagni di strada.