L'ex presidente dello IAI

Quale sarà il futuro della Siria, parla Stefano Silvestri: “Un enigma tra jihadisti, Russia e Trump”

«Quale sarà il rapporto del nuovo governo siriano con i curdi, cosa farà di ciò che rimane dell’Isis? Le ombre all’orizzonte restano tante e minacciose»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

14 Dicembre 2024 alle 09:00

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Photo credits: Sara Minelli/Imagoeconomica
Photo credits: Sara Minelli/Imagoeconomica

Il futuro della Siria nel dopo-Assad. Gli equilibri di potenza nel tormentato Medio Oriente, un bilancio geopolitico del 2024 in attesa dell’insediamento, il 20 gennaio 2025, di Donald Trump alla Casa Bianca. L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli analisti italiani di politica estera e geopolitica: Stefano Silvestri, già presidente dello IAI (Istituto Affari Internazionali) e oggi consigliere scientifico. Il professor Silvestri è stato anche docente sui problemi di sicurezza dell’area mediterranea presso il Bologna Center della Johns Hopkins University e ha lavorato presso l’International Institute.

Professor Silvestri, nel caos armato mediorientale si aggiunto il capitolo siriano…
Un capitolo aperto da tempo. Oggi, dopo la caduta del regime degli Assad, si può dire che si riapre una partita che era stata congelata dalla Russia e dall’Iran che in questi anni avevano garantito la salvezza del regime assadiano. Il regime di Assad è definitivamente finito, l’Iran è fortemente indebolito, in Siria e non solo, non sappiamo neanche quanto e se dureranno le basi navali russe nella “nuova Siria”. Più in generale, non sappiamo cosa avverrà della Siria. Per il momento siamo in una situazione di beatifico stupore, con i jihadisti “moderati”. Come se Riina fosse diventato presidente della Corte costituzionale… Può essere che il capo dei capi siriano, al-Jolani, si mostri diverso e non solo nel look sfoggiato. In questo sembra una sorta di Zelensky mediorientale.

Vale a dire?
Si è presentato in mimetica e non con il turbante da “califfo”. Ha pure fatto appello all’Opac (l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, ndr) perché lo aiutino a mettere in sicurezza e a distruggere gli arsenali chimici, quelli che sopravviveranno ai bombardamenti israeliani. Non so se la cosa verrà fatta, mi auguro di sì e che l’invito venga rapidamente accolto.

È una forzatura giornalistica affermare che ad oggi i grandi vincitori sullo scacchiere siriano, rispondano al nome di Recep Tayyp Erdogan e Benjamin Netanyahu?
Erdogan sicuramente è un vincitore, Netanyahu può definirsi parzialmente tale perché ha fatto fuori, o comunque fortemente indebolito, Hezbollah in Libano. Ma sul futuro ci andrei con i piedi di piombo. Questi potranno anche rivelarsi degli islamisti-jihadisti “moderati”, ma sia come islamisti che come nazionalisti siriani, non li vedo come dei grandi amici di Israele. Potrebbero trovare degli accomodamenti. Per il momento Israele si sta muovendo militarmente, sia occupando il monte Hermon, nella parte siriana del Golan, per rafforzare le sue posizioni confinarie con la Siria, sia proseguendo la distruzione dei siti militari del vecchio regime. Sicuramente per Israele è un vantaggio, soprattutto se dopo Assad, dalla Siria se ne va l’Iran. Le variabili sono diverse e tutte da scoprire.

Quali, professor Silvestri?
Ad esempio, quale sarà il rapporto del nuovo governo siriano con i curdi. E poi c’è l’enigma della guerra all’Isis. L’attuale capo della Siria, al-Jolani, esce dall’Isis, per entrare in al-Qaeda, per poi fondare un suo gruppo. Un percorso non proprio da leader moderato. Che cosa farà di ciò che rimane dell’Isis, e soprattutto degli americani e dei curdi, è tutto da vedere. Le ombre sul futuro della Siria restano tante e minacciose. Se effettivamente, come sembra, la Turchia è diventata più dominante in Siria, questo rappresenterebbe un indubbio rafforzamento di Erdogan come punto di riferimento dei musulmani, con il rafforzamento dell’ala che potremmo definire della Fratellanza musulmana. Ciò, però, non piace, ovviamente, agli iraniani, ma non piace neanche un po’ agli altri sunniti, ai sunniti arabi, in particolare l’Egitto e l’Arabia Saudita. Questo potrebbe alimentare una contesa, che esiste da tempo, e creare nuove tensioni. La faccenda potrebbe anche essere risolta diplomaticamente. Non è da escludere. Potremmo trovarci di fronte ad un avvicinamento tra l’Arabia Saudita e la Turchia contro l’Iran, ma anche ad un avvicinamento saudita e iraniano contro i turchi. Tutte le triangolazioni sono possibili. Bisognerà vedere come si svilupperà la situazione in Siria e poi che cosa faranno gli Stati Uniti di Trump. Un grande punto interrogativo che resta tale, perché il neoeletto presidente Usa cambia idea dalla sera alla mattina, dovremmo probabilmente aspettare il 21 gennaio 2025, il giorno dopo la cerimonia di insediamento alla Casa Bianca, per capire se farà qualcosa e in quale direzione. Finora Trump ha alternato dichiarazioni sulla pace con appoggi estremi a Netanyahu. Tutto e il contrario di tutto.

In questo scenario che definire terremotato è peccare di ottimismo, il fronte palestinese come si ricolloca?
Il fronte palestinese è fortemente indebolito. Un fronte in mano ad Hamas è un fronte perdente. Possono essere criminali assieme a Netanyahu, ma sempre criminali restano. L’Autorità palestinese e Hamas avevano raggiunto un accordo per la gestione della ricostruzione della Striscia di Gaza in caso di sospensione della guerra. Accordo che avrebbe dovuto affidare la gestione della ricostruzione ad una specie di governo di tecnici. Accordo raggiunto al Cairo, sotto la sponsorship saudita-egiziana. Ma Israele non era stato consultato sull’argomento, e non sappiamo cosa ne pensi. Resta il fatto che la sparizione totale di Hamas resta per Israele un obiettivo ottimistico, irraggiungibile al momento e in un futuro prossimo. Se vogliamo ragionare sul futuro dei palestinesi bisogna partire dal capire se hanno un futuro, sia a Gaza che in Cisgiordania. E questo si potrà capire, forse, soltanto se e quando il governo Netanyahu arriverà al punto di dover rendere i conti, elettorali e politici. Ciò che appare chiaro, è che Netanyahu non abbia intenzione di porre fine ad un clima di guerra. Perché se ciò fosse, se la guerra dovesse non direi concludersi ma avere una fase di stasi, beh, con la fine della guerra finirebbe pure Netanyahu. In questo, si materializza il timore di Primo Levi….

Cioè?
Che Israele diventasse nel tempo un Paese mediorientale, in un senso negativo del termine.

In un Medio Oriente che pure nel caos, resta, per mille ragioni, una regione nevralgica del mondo, l’Europa è fuori gioco?
Diciamo che la latitanza è assai forte. In parte perché abbiamo perso il dialogo con la Turchia, anche se poi a ben vedere siamo presenti, l’Europa è presente, in Medio Oriente. Abbiamo le basi, abbiamo i soldati, le navi. Siamo molto presenti ma non c’è una vera politica. Anche se alcuni strumenti di dialogo e di sicurezza continuano ad esserci, come la Nato. Il fatto è che siamo in una fase di forte crisi di leadership in Europa, da cui speriamo prima o poi di uscire. Di certo non possiamo aspettarci che il problema venga risorto da Ursula von der Layen, non è il suo compito, e gli altri hanno quasi paura di parlare. Detto questo, facciamo un po’ di fantapolitica…

Prego, professor Silvestri…
Immaginiamoci che questo nuovo governo siriano, le cui forze si sono viste bombardare in questi ultimi tredici anni dagli aerei e dalle navi russe, decida di voler vedere gli aerei russi abbandonare la Siria. E nel momento in cui chiude la base aerea, viene da sé che chiude pure la base navale di Tartus, i russi si troverebbero improvvisamente senza basi strategiche nel Mediterraneo. Dove vanno? Molto probabilmente in Libia. E se vanno in Libia, possiamo noi europei far finta di niente?

Per restare alla Russia. Sconfitto in Siria, Putin potrebbe voler prendersi una immediata rivincita in Ucraina, accelerando, come sta avvenendo in queste ore, gli attacchi su vasta scala?
Certamente Putin è indebolito da quello che è successo in Siria. Se pensa di poter ottenere successi militari in Ucraina può provarci, d’altro canto finora non è che avesse dato segnali chiari, tangibili, di voler negoziare. È possibile che voglia tentare delle forzature, ma resto dell’avviso che vedremo gli sviluppi di tutto questo dopo il 20 gennaio.

Il 2024 ci sta per lasciare. Senza avventurarsi in profezie sull’anno che sta arrivando, si può dire che nel 2024 il disordine globale si è ulteriormente aggravato?
In un certo senso sì. Nel senso che si sono cominciati a vedere i veri problemi del governo della globalizzazione. Una globalizzazione molto frammentata politicamente e che sta portando a grossissimi problemi, perché contemporaneamente le nostre sicurezze sono fortemente collegate ma non c’è alcuna leadership politica ordinatrice. Il fatto che il problema sia più chiaro, potrebbe essere, lasciamoci con una nota di speranza, un aiuto alla sua soluzione.

14 Dicembre 2024

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