Il lungo comunicato di Assad
Siria: la Grande Israele passa per il Golan ma il piano di colonizzazione Netanyahu accende il Medio Oriente
Negli ultimi giorni più di 70 raid israeliani: “Gli attacchi più pesanti dal 2012”. L’ex Presidente siriano racconta dalla Russia le sue ultime ore a Damasco: “Mosca mi ha chiesto di evacuare”
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
La Grande Israele passa anche per la maxi-colonizzazione del Golan siriano. Nella riunione domenicale, il governo israeliano ha approvato all’unanimità un piano per raddoppiare il numero di coloni che abitano nelle alture del Golan, un altopiano di circa 1.800 chilometri quadrati che l’esercito israeliano occupa dal 1967, dopo averlo sottratto al controllo della Siria.
Attualmente le alture sono abitate da circa 50mila persone, divise tra 30mila israeliani – i cui insediamenti sono considerati illegali dalla comunità internazionale – e 20mila siriani, la maggior parte dei quali drusi, una minoranza religiosa non musulmana. Il governo guidato da Benjamin Netanyahu ha stanziato l’equivalente di 11 milioni di dollari per il piano, che ha definito un progetto di “sviluppo demografico”. «Rafforzare il Golan significa rafforzare lo stato di Israele, ed è particolarmente importante in questo momento», taglia corto Bibi.
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L’Egitto ha ribadito la sua condanna all’espansione di Israele nelle Alture del Golan perché “rappresenta una flagrante violazione della sovranità dello Stato siriano e della sua integrità territoriale”. Questo è quanto reso noto in un comunicato del ministero degli Esteri egiziano. Ma il premier israeliano non intende ragioni. Netanyahu promette che Israele “continuerà a mantenere” quel territorio, “a farlo prosperare e a colonizzarlo”. Ma la mossa è stata duramente condannata anche dall’Arabia Saudita – oltreché da Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Iraq e Turchia – che l’ha definita “il proseguimento del sabotaggio dell’opportunità di ripristinare la sicurezza e la stabilità in Siria”. E rischia di alzare la tensione con i nuovi padroni della Siria, i jihadisti di Hayat Tahrir al Sham (Hts). Il leader siriano al-Jolani ha criticato i raid israeliani sostenendo abbiano superato una serie di “linee rosse”, anche se ha rassicurato di non avere nessuna intenzione di entrare in conflitto con Israele.
Circa 20 raid aerei israeliani sono stati condotti ieri in varie regioni della Siria. Lo riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, secondo cui nelle ultime 48 ore Israele ha compiuto più di 70 attacchi aerei, a cui si sommano le centinaia di raid condotti nell’ultima settimana, dopo la dissoluzione del potere incarnato dalla famiglia Assad, per annientare ogni tipo di difesa militare siriana. Le aree più colpite nella notte sono quelle nelle regioni centrali di Hama, Homs, nella costa mediterranea e lungo il confine con Libano. Altri raid nella Siria sud-orientale, al confine con l’Iraq.
In precedenza, l’altra notte, “Aerei da guerra israeliani hanno lanciato attacchi’’ contro diversi siti, tra cui unità di difesa aerea e “depositi di missili terra-terra”, in quelli che l’ong ha descritto come “gli attacchi più pesanti dal 2012” nella regione costiera di Tartus, che ospita una base navale russa. Attacchi che rendono sempre più incerto lo status delle basi militari occupate dalla Russia in Siria. “Non c’è fino a ora una decisione finale. Siamo in contatto con i rappresentanti delle forze che controllano la situazione nel Paese. Tutto sarà deciso attraverso il dialogo”, ha affermato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, rispondendo a chi gli chiedeva se era vero che Mosca aveva deciso di trasferire le basi, ora a Tartus e Kmeimim, in Libia.
Intanto, l’ex presidente siriano Bashar al-Assad ha raccontato ieri in un lungo comunicato diffuso da Mosca le sue ultime ore in Siria, affermando che “in nessun momento” durante l’avanzata di miliziani islamisti su Damasco “ho preso in considerazione l’idea di dimettermi o di cercare rifugio” e che era sua intenzione “continuare a combattere contro l’assalto terroristico”. «La mia partenza dalla Siria non era pianificata né è avvenuta durante le ultime ore delle battaglie, come alcuni hanno sostenuto. Al contrario, sono rimasto a Damasco, svolgendo i miei compiti, fino alle prime ore di domenica 8 dicembre 2024 – si legge nel comunicato – mentre le forze terroristiche entravano a Damasco, mi sono trasferito a Latakia in coordinamento con i nostri alleati russi per supervisionare le operazioni di combattimento. All’arrivo nella base aerea di Hmeimim quella mattina è diventato chiaro che le nostre forze si erano completamente ritirate da tutte le linee di battaglia e che le ultime posizioni dell’esercito erano cadute. Mentre la situazione sul campo nell’area continuava a peggiorare, la stessa base militare russa è finita sotto un intenso attacco da parte di droni».
«Senza mezzi praticabili per lasciare la base, Mosca ha chiesto al comando della base di organizzare un’evacuazione immediata in Russia la sera di domenica 8 dicembre. Questo è avvenuto un giorno dopo la caduta di Damasco, in seguito al crollo delle ultime posizioni militari e alla conseguente paralisi di tutte le rimanenti istituzioni statali – si precisa nella nota – in nessun momento durante questi eventi ho preso in considerazione l’idea di dimettermi o di cercare rifugio, né una proposta del genere è stata fatta da alcun individuo o parte. L’unica linea d’azione era continuare a combattere contro l’assalto terroristico». Parola del “macellaio di Damasco”.