Punto Nave
Le migrazioni sono un fenomeno globale, non mafioso
Non sappiamo se i centri in Albania fun-zio-ne-ra-nno. Certamente suonano come uno schiaffo non solo alle norme vigenti, ma al senso di civiltà.
Editoriali - di Ammiraglio Vittorio Alessandro
“I centri in Albania funzioneranno. Fun-zio-ne-ra-nno! Dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano. Fun-zio-ne-ra-nno! Perché io voglio combattere la ma-fia!”. Così ha scandito Giorgia Meloni dalla tribuna di Atreju, e la platea si è levata in piedi ad applaudire. Come in guerra, la retorica oratoria scalda l’animo dei seguaci verso la vittoria imminente: non può che essere alle porte, ormai, nonostante le perdite subite (erano già oltre ventimila i nostri morti e i dispersi in Grecia quando, nel 1941, Mussolini usò toni simili al teatro Adriano).
L’assunto meloniano è che la questione migratoria non sia un fenomeno globale – meritevole di risposte razionali e rispettose insieme della sicurezza e dei diritti umani – ma una guerra alla mafia: chi non scatta in piedi di fronte a questa chiamata alle armi, se non è mafioso, è quantomeno connivente. Nelle stesse ore, il presidente Mattarella, con ben altri accenti, affermava: “I drammi migratori sono talvolta oggetto di gestioni strumentali da parte di alcuni Stati, per trasformarli in minaccia nei confronti dei vicini, in palese violazione di convenzioni internazionali liberamente sottoscritte”, e veniva da pensare ai Paesi che, incoraggiati e finanziati dall’Italia, usano il ricatto – quello sì, mafioso – contro l’Europa e, come arma, i disperati.
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Non sappiamo se i centri in Albania fun-zio-ne-ra-nno. Certamente suonano come uno schiaffo non solo alle norme vigenti, ma al senso di civiltà. Rievocano la soluzione di cui Hitler parlò all’alleato italiano in un incontro al Brennero: “Si sta elaborando un piano per la deportazione dei giudei in Madagascar, isola africana nell’Oceano Indiano capace di accoglierne fino a quindici milioni”. Varrà forse la pena di considerare queste ricorrenze, da qui alla “fine del governo italiano”.