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Mattarella scudiscia la destra: “Italia abituata all’odio, la democrazia è fragile”

Photo by Roberto Monaldo / LaPresse

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Che sarebbe stato un discorso importante e di grande impatto lo si era capito sin da quando, alla vigilia, dal Colle erano partiti segnali precisi in questo senso. Sergio Mattarella non ha deluso le aspettative del resto volute e costruite.

Quello rivolto ieri ai vertici istituzionali, di fronte a una platea selezionata, introdotto dal discorso del presidente del Senato La Russa, è stato probabilmente il discorso di più ampio respiro nel corso del suo già lunghissimo mandato. Ed è stato un discorso nel quale, appena celata dietro attestati di fiducia nel futuro quasi obbligatori, campeggiava una profonda preoccupazione. Non solo per le guerre e le crisi mondiali o per le divisioni della politica italiana, che pure sono state più volte prese di mira, ma per lo stato di salute della democrazia.

Il presidente parte dalle guerre, sulle quali si era già soffermato 24 ore prima nel discorso agli ambasciatori. Ma lo fa, stavolta, soprattutto per arrivare al vero tema che intende affrontare: le divisioni sempre più polarizzate nelle società occidentali e in quella italiana. “Le immagini della guerra seminano anche in chi non ne è direttamente coinvolto paura, inimicizia, divisione odio, barriere di ogni tipo. Abituandosi a convivere con l’odio si rischia di diffonderlo e qualcosa, purtroppo, è già cambiato”. È un discorso generale, ma con un occhio di riguardo e particolarmente allarmato per l’Italia: “Si registra ovunque un fenomeno di polarizzazione che tocca tanti aspetti della convivenza”. Appare sempre più difficile preservare lo spazio del dialogo all’interno di “società che sembrano oggetto di forze centrifughe divaricanti”. E la spaccatura non si limita all’agone politico, “la precede e va molto oltre”.

L’obiettivo di Mattarella è, esplicitamente, la riduzione del confronto politico ma anche culturale ed etico, alle categorie amico/nemico, dunque alla negazione del pluralismo. È una dinamica perversa che si espande, sino a che “non esistono ambiti tenuti al riparo da questa tendenza alla divaricazione incomponibile”, anche perché soffia sul fuoco “un uso distorto e irresponsabile dei social media che talvolta divengono strumenti perversi di divisione e di condizionamento acritico”. Sin qui il capo dello Stato potrebbe anche riferirsi, sia pure nelle forme alte e indirette che gli sono proprie, al quadro italiano, che corrisponde perfettamente alla descrizione desolata che traccia nel suo discorso.

Mattarella però va molto oltre. Mette in guardia con toni che non è esagerato definire apocalittici dalla “concentrazione in pochissime mani di enormi capitali e del potere tecnologico, così come il controllo accentrato dei dati”. Le poche corporation che stanno acquistando questo potere immenso, “svincolate da qualsiasi autorità pubblica”, minacciano di “intaccare l’idea stessa di Stato per come la abbiamo conosciuta”. Revocano in dubbio, infatti, i due pilastri della statualità: il monopolio della forza e quello della moneta. L’antidoto può essere solo una vera democrazia, fatta di partecipazione e passione. Ma anche qui incombe una minaccia: “Si insinua il dubbio che il potere democratico sia debole, inefficiente, lento”.

Solo il recupero di un forte rapporto fiduciario tra popolo e istituzione può mettere al riparo da questi pericoli ma perché questo rapporto si ricostituisca è fondamentale recuperare “valori condivisi e cultura, sentimenti popolari che ci fanno riconoscere come un unico popolo”. Ed è altrettanto fondamentale “il rispetto delle istituzioni nei confronti di chi ne ricopre il ruolo. Così come coloro che rivestono responsabilità istituzionali sono tenuti a esercitarle sapendo che le istituzioni sono di tutti. La Repubblica vive di questo ordine”. È un rimprovero quasi esplicito a chi governa in nome della fazione e mai del Paese, anche più acuminato delle frecciate lanciate 24 ore prima ricordando al governo la centralità del diritto d’asilo e del rispetto delle Corti di giustizia che applicano le Convenzioni internazionali. Ma sarebbe superficiale interpretare un discorso così accorato solo come monito al governo.

È l’intera divisione della società in squadre avversarie, in campi contrapposti che Mattarella teme e da questo punto di vista gli strali sono davvero per tutti, per l’opposizione non meno che per la maggioranza, per gli operatori dei media di ieri e per la legione immensa di chi manipola quelli di oggi, i social. Non si tratta però neppure solo di un’analisi estemporanea, puntuale ma priva di legami con la cronaca quotidiana. In tutta evidenza Mattarella teme che qualcosa possa rendere il processo già in corso più travolgente e meno reversibile. Quel qualcosa sono probabilmente le sfide referendarie che si affolleranno nei prossimi due anni. Nulla divide e spacca una società più dei referendum. Se potesse, ci si può scommettere, Sergio Mattarella li eviterebbe come la peste. E forse spera che chi può evitarli lo faccia. O almeno rinunci ad affrontarli come se fossero guerre di religione.