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Teresa Mattei, madre costituente che c’insegna qualcosa sui bambini di Gaza

AP Photo/Abdel Kareem Hana – Associated Press/LaPresse

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Una supplente delle elementari ci fece notare la differenza fra i giochi “per” l’infanzia e quelli “dell’”infanzia. Ecco, al di là dei giochi, le bambine e i bambini vengono considerati oggetti, più che soggetti; “pazienti” morali, più che agenti morali.

Si tratta di creature particolarmente fragili, soprattutto dal punto di vista emotivo, delle quali, tuttavia, non si dovrebbe considerare solo il versante della passività. Si tratta di esseri umani che amano, pensano, sentono, odiano, si esprimono, e, a dispetto dell’etimologia, anche gli infanti, ancora relativamente poveri di parole, comunicano con un linguaggio articolato. Nelle cronache di guerra spesso si prova a suscitare compassione evocando la condizione di “donne e bambini”. Come dire, i più vulnerabili, coloro che, quasi costituzionalmente, quasi “per natura”, subiscono.
Che ne è (stato) delle bimbe e dei bimbi di Gaza, ad esempio? Al di là degli appelli umanitari, qualcuno si è chiesto che responsabilità avessero della situazione di sangue e di morte che stavano attraversando? Qualcuno – si tratti dei leader di Hamas o di Israele, si tratti di ciascuno di noi – ha provato ad ascoltarli o, almeno, a porsi nella loro prospettiva?

Credo che occorra tornare a cimentarsi con la lezione di Teresa Mattei (1921-2013), la più giovane fra i e le costituenti e perciò, in quei mesi formidabili, segretaria dell’Ufficio di presidenza dell’Assemblea. La sua gravidanza senza aver ancora contratto regolarmente matrimonio spinse Palmiro Togliatti a non ricandidarla, nel 1948. In seguito, fra i due si acuì il dissenso politico.
Ed ella provò in tutti i modi, cinema compreso, a restituire una voce ai bambini, che per secoli ne erano stati privati. Come ricorda Raniero La Valle nel libro Quel nostro Novecento. Costituzione, Concilio e Sessantotto: le tre rivoluzioni interrotte, per Teresa «è dalla nascita che si diventa cittadini, e anche per i neonati vale l’articolo 1, per il quale “la sovranità appartiene al popolo”».

La subalternità delle donne era (è) parallela a quella dell’infanzia, entrambe simili a quella schiavile. Nel caso dei bimbi, poi, tutto è più subdolo: essi vengono situati, nell’immaginario, in una sorta di universo popolato di coccole, balocchi e vezzeggiativi e rappresentati costantemente come oggetto di premure e attenzioni, sperduti e incapaci di esprimere davvero istanze e desideri. I loro bisogni, secondo un’ottica del genere, andrebbero costantemente interpretati. Salvo poi, nella realtà, frustrarli e mortificarli in mille modi, sopraffatti da genitori litigiosi e caotici o, per i più sfortunati, dall’infanticidio o dal fuoco dell’artiglieria che si accanisce sugli ospedali. A partire dal rispetto per le bambine e dall’impegno per restituir loro istruzione, voce e dignità, qua e là per il globo, occorrerebbe invece dischiudere altri orizzonti.