L’Anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che con questo o quel tasto porta l’anima a vibrare.
(Wassily Kandinsky)
Partiamo dalla fine. Partiamo da David, Zachary e Elijah. Partiamo dagli abbracci, dall’amore, partiamo da una vita che è andata al contrario, partiamo da un uomo ed un artista che ha cambiato il mondo della musica, non solo tra le note ma anche tra bottoni e piume. Partiamo dalla fine di questo Never too late, documentario, che sarebbe forse più giusto definire una testimonianza d’amore, in onda su Disney+ dal 13 dicembre. Never too late mostra in realtà il vero scopo della vita, ciò che si insegue più di ogni altra cosa, per chiunque, senza nessuna distinzione: ovvero essere amati. Non conta poi se nella vita per gli altri sei una star, un’icona, un mito, che ha sconvolto e definito la musica. Non importa se per gli altri sei quell’uomo seduto al piano, al quale quello stesso piano si è inchinato per le melodie che sei riuscito a tirare fuori da quei tasti bianco e neri.
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Ecco, sì: “Ladies and gentleman” il sogno più grande, lo scopo della sua vita, quello di Sir Elton John è racchiuso nella fine di questo documentario, in questi tre nomi: in quello di David Furnish, marito, manager e regista (anche di Never too late), e dei due figli Zachary, e Elijah. Altro elemento centrale della vita di Elton John è la paura della morte, non perché incombe – considerata l’età e gli acciacchi tremendi -, ma perché potrebbe togliergli la possibilità di vederli crescere, potrebbe interrompere quell’amore profondissimo cercato e inseguito ad ogni costo, contro tutto e tutti, anche contro sé stesso, che lega un padre ai suoi figli.
Ha paura Sir Elton John, anche se ancora oggi, per la rivista Time è l’icona del 2024, perché lo è ancora, in quello che fa, per come si muove nel mondo, per come difende i diritti delle persone, dei fragili, dei deboli, di quelli che non hanno mai avuto il coraggio di rivelarsi per quello che in realtà erano. Perché lui, nonostante in quegli anni – gli anni 70 e giù di lì – fosse un peccato per la discografia, rivelarsi per quello che si era, lui si rivela, rivela la sua bisessualità/omosessualità senza battere ciglio. Elton John è stanco di essere solo per gli altri, vuole sentirsi libero e la libertà ha su di lui un prezzo enorme, ma è il primo passo, quello di rivelarsi, è il primo passo per guarire, in un certo senso, essere sé stessi è il primo passo verso la felicità anche se, lo stesso Elton, non sa cosa significa essere davvero essere felici.
E così aspettatevi tutto da questo Never too late, ma soprattutto aspettatevi l’amore, la ricerca dell’amore, in maniera chiara, pulita e netta, senza fronzoli, che pare strano considerando il “personaggio”. Ma è qui il vero punto: non considerate Never too late per il personaggio ma per la persona, considerate la costruzione di quel personaggio non come la fine ma come il punto di partenza per essere uomo/persona e rinascere. Un Elton John (nato Reginald Dwight) piccolo, che vive in mezzo a due genitori violenti: un padre che definirà “una iena” e una madre che per farlo stare sul vasino, in tenera età, lo pesterà a sangue. Di un ragazzo che arriva a cambiarsi nome e cognome, quasi a voler cancellare quell’odio che i suoi genitori provavano nei suoi confronti. È un Elton John che si chiude in camera per sfuggire alle urla e alla violenza dei suoi genitori, un Elton John che si sdraia a terra e che abbraccia i suoi dischi. Abbraccia la musica, l’unico conforto, l’unico amore in quel momento, le uniche braccia di cui fidarsi. E poi il coraggio di rispondere ad un annuncio che cercava nuovi autori. «Non so come mi sia venuto quel coraggio, ma l’ho fatto ed è stato fondamentale». L’incontro con Bernie Taupie, il suo paroliere, la sua metà, senza il quale la musica di Elton forse non avrebbe avuto senso.
Però è la vita, il destino che toglie e dà, che dona gli incastri perfetti, e Bernie è stata l’altra metà della mela per Elton, e l’abbraccio sul palco alla fine dell’ultimo concerto al Dodger stadium di Los Angeles, dove tutto era iniziato, è ciò che significa unione. È un avanti e indietro nel tempo questo Never too late, con rarità e momenti che rimarranno per sempre impressi nel mondo della musica. La sua amicizia con John Lennon, di quello che senza che loro possano saperlo, sarà l’ultima apparizione su un palco per l’ex Beatles, anno 1974. L’insicurezza di John Lennon, le lacrime di Elton John, chiuso in un bagno per la gioia, John Lennon che gli siede accanto, sempre nel bagno. Yoko Ono nascosta tra il pubblico… Un’amicizia fatta di lacrime e di scorpacciate di cocaina e la gioia di Elton quando John ritorna insieme a Yoko e danno alla luce Sean, di cui Elton è padrino.
È un pugno allo stomaco per chi lo ascolta, e ad un tratto svanisce ogni piuma, ogni eccesso, ogni brillante smette di luccicare: in Never too late Elton John appare nudo, è come se l’uomo di oggi venisse fuori in maniera sovrastante. L’Elton John padre che si preoccupa del futuro dei suoi figli è più importante di Elton John che ha il mondo ai suoi piedi. Ed è anche sbagliato, come si legge un po’ in giro, definire la sua infanzia non proprio felice: quella di Sir Elton John non è stata proprio infanzia, non è stata vita. Un bambino che vive una vita non venendo amato da chi lo ha messo al mondo non si può chiamare vita. Ed è così che il piccolo Reginald inizia a suonare un piano che era in casa, inizia a riprodurre tutta la musica che sente: il pianoforte diventa l’amore negato, diventa la sua anima.
È un racconto molto schietto quello che fa Elton della sua vita, e sembra usare quasi un tono cinico quando racconta delle sue sofferenze, come se non volesse dargli in un certo senso tutta questa importanza, oggi che nel 2024 è un uomo amato, che ama molto ed è ricambiato, oggi che sa cosa significa la parola amore. Lascia quasi interdetti quando dice “mio padre non è mai venuto a vedermi”. Lascia senza fiato quasi, vedere un uomo di 77 anni, carico di dolore e di questo dolore farne una smorfia sul viso. Never too late parte da quel concerto a Los Angeles, che lo ha visto diventare il numero uno, con quei vestiti scintillanti, quei suoi occhiali grandi, colorati, una maschera in più. Eppure, sempre in piedi, sempre davanti al suo pianoforte, anche se il giorno prima, si era gettato nella piscina di casa sua a Beverly Hills davanti alla madre, alla nonna, al patrigno, imbottito di psicofarmaci. “Annegare, volevo solo annegare”.
Pensate ad un artista che ha raggiunto tutto ma che ha solo voglia di annegare. Nel mezzo, e non di poco conto, il suo primo grande amore, quello che diventerà il suo manager John Reid, bravissimo nel suo lavoro, ma cocainomane, alcolizzato, violento con Elton, che senza mezze misure dirà “quando beveva mi picchiava e una volta mi ha ferito in volto. La sua violenza mi ricordava mio padre. E io non volevo un altro come lui nella mia vita, anche se lo ho amato molto. Quando la nostra storia è finita, io ho provato un vuoto, ma ho lasciato che fosse ancora il mio manager. Per me la carriera era tutto”. Un amore che lascia un vuoto, un amore per Elton che inizia ad insinuare lo spettro dei sensi di colpa e a chiedersi se fosse lui in realtà il problema “perché sono solo, perché non sono amato…”.
La solitudine diventa un cappio al collo, un cappio che fra alcool e droghe, Elton la star più star dell’universo, inizia a stringere con le sue mani sempre di più. Inizia così una spirale vertiginosa fatta di cocaina e alcool. Montagne di cocaina, di una star che più ne aveva e più ne voleva e che passava il suo tempo a chiedersi “Chi cazzo sei? Cosa sei diventato?”. Esagerare, ecco. Elton John esagerato ed esasperato. Arriva alla fine Elton, e quando arriva vicino alla fine, decide che è tempo di amare ed essere amati. A 43 anni, come dirà lui stesso “ho capito che uomo ero e che uomo volevo essere”. Una dura lotta contro la droga e l’alcool che vince e supera grazie all’amore di suo marito e all’amore dei e per i suoi figli. In Never too late c’è l’importanza di essere padre, c’è l’importanza dell’amore: c’è la melodia più bella in assoluto, che Sir Elton John abbia mai potuto comporre: quella di essere padre.