La presidente di Emergency

Intervista a Rossella Miccio: “La guerra non uccide solo con le bombe, sono vittime anche i malati non curati per gli ospedali distrutti”

«Secondo “The Lancet” le morti indirette superano da 3 a 15 volte il numero di morti dirette. Nei conteggi delle vittime di una guerra non si tiene mai il conto di questa disumanità»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

19 Dicembre 2024 alle 09:00 - Ultimo agg. 19 Dicembre 2024 alle 09:42

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Photo credits: Giulia Palmigiani/Imagoeconomica
Photo credits: Giulia Palmigiani/Imagoeconomica

Fa bene ricordarlo sempre: c’è chi disserta su guerre, tragedie umanitarie, comodamente seduto in uno studio televisivo, mettendo i voti, dando patenti di affidabilità e cartellini rossi, e chi le guerre, le tragedie umanitarie le vive sul campo, cercando di salvare, ogni giorno, centinaia di vite umane. È il caso di Emergency, di cui Rossella Miccio è la Presidente nazionale. L’Ong fondata da Gino e Teresa Strada ha vissuto tutti i conflitti che hanno segnato gli ultimi quarant’anni. Sempre dalla parte delle tante e tanti che pagano il più alto tributo di sangue alle guerre: i civili.

Che anno è stato il 2024 per Emergency?
È stato un anno estremamente sfidante e preoccupante. Abbiamo affrontato l’intensificarsi e l’espandersi dei conflitti nel mondo e questo è un problema, almeno per noi, particolarmente sentito. L’intensificarsi dei conflitti è coinciso con uno smantellamento sistematico e globale di quelli che erano considerati i capisaldi della comunità internazionale…

Vale a dire?
I principi del diritto internazionale, quelli del diritto internazionale umanitario, i diritti umani, in mare, in terra. Tutto questo ha anche alimentato un clima di sempre maggiore distacco da parte dell’opinione pubblica da quelle che invece dovrebbero essere priorità che riguardano tutti. Più sfide, più bisogni, in un contesto sempre più ostile, dove l’indifferenza continua ad aumentare.

I bambini di Gaza trattati come numeri, effetti collaterali di una guerra “giusta”; i migranti morti in mare o sulla rotta balcanica definiti da chi detiene responsabilità di governo “pacchi umani” da spostare come merce avariata. Il 2024 non è anche l’anno della disumanizzazione?
Assolutamente sì. A questo facevo riferimento in precedenza quando parlavo dello smantellamento, mattoncino dopo mattoncino, di quel sistema di valori che ci teneva insieme. Quello che stiamo vedendo a Gaza credo che sia al di là di ogni peggiore immaginazione. Ci si domanda come si possa, in un mondo dove tutto è accessibile, tutto è visibile, e quindi non possiamo dire di non sapere, come sia possibile, tollerabile far passare in sordina questa devastante disumanizzazione. La vita delle persone, che siano donne, bambini, adulti, anziani, non ha alcun valore di per sé. È diventata strumentale al raggiungimento di obiettivi neanche tanto bene dichiarati e tanto meno condivisi, di natura politica, economica. A volte sembra che siano delle vendette personali. Questo è estremamente preoccupante anche perché non riguarda solo i bambini di Gaza, riguarda tutti, perché sono i fondamenti della nostra società. I morti a Gaza, come quelli nel Mediterraneo, i morti in Ucraina come quelli in Sudan, in Libano, in Siria e l’elenco purtroppo potrebbe proseguire a lungo, queste sono tutte tragedie che ci riguardano, perché la guerra ci riguarda, perché il destino degli esseri umani deve riguardare tutti, a maggior ragione quelli che sono più vulnerabili e in maggiore difficoltà.

Restando a Gaza: assieme a Oxfam e Medici senza Frontiere, Emergency ha raccolto oltre 500mila firme in pochi mesi per richiedere un cessate-il-fuoco, l’apertura agli aiuti umanitari, il blocco totale dell’invio di armi, il rispetto del diritto internazionale. 500mila appelli al governo italiano che finora, denunciano i promotori dell’iniziativa, “è stato capace di astenersi sul voto per il cessate il fuoco all’assemblea generale delle Nazioni Unite”.
Con queste firme proviamo a rompere la coltre di soffocante indifferenza verso la popolazione civile e le ong. Come Emergency da due mesi e mezzo attendiamo le autorizzazioni per costruire una clinica, nel frattempo sosteniamo un ospedale già esistente, con 6 sanitari internazionali e 20 palestinesi: 170 visite al giorno, finora 3.200 persone. Mentre a un chilometro da noi hanno usato bombe incendiarie. La stima delle vittime della guerra, già di per sé scioccanti, non calcola tutte le persone che muoiono per patologie croniche non più curate per mancanza di farmaci come diabete, ipertensione, insufficienza renale, tumori. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet a luglio “nei conflitti recenti, le morti indirette vanno da tre a 15 volte il numero di morti dirette”. Non possiamo far arrivare da Gaza Nord i componenti per i desalinizzatori e siamo costretti a comprare l’acqua potabile in bottiglia, con un aumento dei costi. Sono 30 anni che operiamo in aree di conflitto, ma a Gaza vediamo cose mai viste.

A proposito di demonizzazioni e criminalizzazioni: nel 2024 abbiamo anche assistito, e l’Unità l’ha più volte denunciato, ad una guerra contro le ong da parte del governo italiano e non solo.
In realtà questo è un processo che arriva da lontano. Lo abbiamo visto negli ultimi sei/sette anni. È un trend in crescita e che ormai ha perso ogni freno inibitore. Una volta l’operatività, le scelte della politica nel concreto arrivavano allo stesso obiettivo, quello di ostacolare il lavoro delle ong, ma, come dire, c’era forse un po’ di pudore nel provare a mascherarlo con qualche altra cosa, magari negando. Oggi invece ci si sente liberi di poter accusare non solo le ong ma più in generale la società civile, nel senso più alto e nobile del termine, di contribuire ai disastri della nostra società. Siamo diventati tra i nemici numero uno, l’altro sono i migranti, soprattutto quelli con la pelle scura. Si compiono apertamente scelte politiche particolarmente gravi…

Quali?
Ad esempio, l’Albania, con tutto quello che ha comportato, sia dal punto di vista dei diritti umani e delle persone, sia dal punto di vista economico, del danno erariale, tale è spendere un miliardo per mettere in piedi un sistema carcerario di repressione in uno Stato terzo, che per fortuna ad oggi i tribunali hanno reso inefficace. Tutto questo a spese dei contribuenti italiani. Questo miliardo potevano utilizzarlo per rendere migliore la vita qui da noi alle tante e tanti che faticano a portare avanti una esistenza dignitosa, siano essi italiani o stranieri. Un investimento di civiltà, per garantire accoglienza, integrazione, inclusione, per rafforzare lo stato sociale, invece di essere impiegati per promuove un modello carcerario-punitivo che non ha nessunissimo senso né legalità.
Quello che stiamo vedendo è una distanza sempre più marcata tra le scelte della politica e quelle della legalità e del diritto. Chi ha responsabilità politiche e di governo agisce come se si sentisse in un regime di impunità, come se non dovesse rispondere delle sue scelte. Questo vale in Italia come in Europa e a livello internazionale.

Quali sono le sfide del 2025 per Emergency?
Riuscire a portare avanti il nostro lavoro in tanti contesti, molti dei quali sono colpevolmente dimenticati, ignorati. Con enorme fatica stiamo lavorando a Gaza e intendiamo continuare a fare di tutto per poter offrire i servizi più necessari ad una popolazione sempre più stremata. Siamo anche in altri contesti: siamo ancora in Afghanistan, di cui nessuno parla più, se non, ogni tanto, quando si parla di un nuovo editto dei talebani, ci si indigna per mezza giornata e poi l’Afghanistan torna nel dimenticatoio assieme ai suoi 35 milioni di abitanti. Siamo ancora in Sudan, un Paese marchiato da una guerra che dura da un anno e mezzo, considerata ad oggi dalle Nazioni Unite la più grande crisi di sfollati al mondo, con 11 milioni di persone che sono state costrette a lasciare le proprie case, anche due, tre volte, di cui nessuno parla. Noi di Emergency, con le nostre attività umanitarie, pediatriche, di cardiochirurgia e di medicina generali, siamo gli unici ancora operativi a Karthoum come organizzazione internazionale. Una responsabilità nei confronti di queste persone fortissima, minata dalla mancanza di risorse sufficienti, necessarie a garantire i servizi che vorremmo, perché il mondo guarda da un’altra parte. Per noi sono sfide molto grosse, impegnative al massimo, perché ci sentiamo addosso, dentro ognuno di noi, la responsabilità di dare risposte a queste persone. Parlavo l’altro giorno con i colleghi che sono a Gaza, che stavano accogliendo i pazienti che arrivavano nella nostra clinica, che sono i più svariati, donne, bambini, anziani, malati cronici. Torno su questo punto: si contano i morti legati direttamente alla guerra, ma l’impatto che questo conflitto sta avendo sul sistema sanitario è devastante. È stata distrutta tutta l’infrastruttura sanitaria. Ci sono persone con il cancro, persone con il diabete che non trovano più l’insulina. È arrivato un papà con un bimbo che ha una malformazione cardiaca e non aveva come curare questo bambino, perché avrebbe bisogno di essere portato all’estero. E lì capisci cosa è davvero la guerra, la sua assoluta disumanità. Noi abbiamo un centro di cardiochirurgia in Sudan. Avremmo potuto operarlo lì, se non ci fosse stata la guerra in Sudan e a Gaza. Quando penso alla guerra, penso alla follia di questo strumento che ancora viene considerato legittimo, e pensiamo allo stesso tempo a come portare assistenza sanitaria a tutti quelli a cui le guerre negano il diritto alla vita, e, parimenti, ai modi nuovi per far sentire più forte la nostra voce, così da arrivare davvero a quello che sancisce l’articolo 11 della nostra Costituzione, il ripudio della guerra. E l’utilizzo dei milioni di miliardi spesi nel mondo per gli armamenti, per garantire a tutti i diritti primari, a cominciare dal diritto alla salute e alla vita.

Nel praticare la solidarietà, Emergency, come altre ong, si è trovata spesso sul banco degli imputati, come se fosse stati di parte.
L’unica parte da cui stiamo, e ne siamo orgogliosi, è quella delle persone che hanno bisogno. Dobbiamo rivendicarlo tutti a testa alta. Non abbiamo fini politici, non seguiamo bandiere di partito, cerchiamo semplicemente di fare l’unica cosa giusta: curare chi ne ha bisogno, in un momento di difficoltà. Se poi c’è chi intende strumentalizzare queste scelte e questo lavoro, ostacolandolo, credo che queste persone si assumono una responsabilità molto grande e grave.

19 Dicembre 2024

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