Le storie dietro le sbarre
Bambini prigionieri in carcere, in cella con le madri: li avete mai guardati negli occhi?
Mentre scrivo sono 17 i piccoli reclusi da innocenti nei nidi delle carceri e delle Icam, luoghi che ne pregiudicano la socialità, lo sviluppo, la salute fisica e psichica. La norma del ddl sicurezza che elimina l’obbligo di rinvio della pena per le detenute madri e incinte è la più ideologica e vigliacca
Cronaca - di Michela Di Biase
La prima volta che ho incontrato la sguardo di un bambino in carcere è stato durante una visita a Rebibbia. Nel carcere femminile c’è una sezione nido dedicata ad accogliere le detenute madri con i loro bambini, uno spazio ricavato per loro, all’interno dell’istituto penitenziario, che affaccia su un quadrato di verde all’esterno delimitato da alte mura perimetrali. Quello che lo distingue dai comuni luoghi detentivi sono i colori tenui e qualche immagine di cartoni animati dipinti sulle pareti.
Per il resto nulla di quel luogo parla di infanzia, semmai ogni cosa ne è la negazione: le porte chiuse a chiave, l’esiguità degli spazi, le sbarre alle finestre, la solitudine. Non giova raccontare il mio stato d’animo nel vedere quel bambino recluso, serve forse, raccontare la sua reazione nel vedermi. Si è coperto il viso con le mani e cosi è rimasto per tutto il tempo del mio colloquio con la madre, non era abituato a vedere un’estranea, le persone con cui si rapportava erano sempre le stesse: le donne della Polizia penitenziaria e le operatrici che gli facevano visita.
Mentre scrivo, i bimbi detenuti da innocenti all’interno dei nidi degli Istituti penitenziari e delle Icam, Istituti a custodia attenuata per detenute madri, al 30 novembre, sono diciassette. (Fonte dipartimento amministrazione penitenziaria). Entrambi questi luoghi non sono adatti all’infanzia di un bambino perché ne pregiudicano la socialità con i coetanei, gli impediscono di rapportarsi agli altri e crescere grazie a quel rapporto. Quando si esce dopo una visita in un carcere ci si porta dietro quel rumore metallico e ripetitivo delle porte che si chiudono ad ogni passaggio, il freddo di inverno che ti entra nelle ossa e quel caldo insopportabile d’estate che ti leva il respiro, si va via con la sensazione che il tempo lì dentro scorra e sia scandito in modo diverso dal nostro.
Ci si porta dentro le storie di chi il carcere lo abita: detenute e detenuti, uomini e donne della polizia penitenziaria, personale sanitario, assistenti sociali, insegnanti e volontari, molto spesso stremati dalla fatica e senza adeguati strumenti per far fronte alla drammatica situazione delle carceri. Ma quando tutto questo riguarda un innocente, quando tutto questo riguarda un bambino la nostra coscienza non può non scuotersi. Fosse anche uno solo il bambino a cui viene negata l’infanzia, varrebbe la pena battersi. Tra le tante misure repressive introdotte dal ddl sicurezza quella che prevede la non obbligatorietà del rinvio della pena per le donne incinte e per le madri di bambini fino a un anno di età è la più ideologica e vigliacca perché ignora completamente le conseguenze per la salute e l’equilibrio fisico e psichico delle donne e dei bambini.
Una norma che è stata scritta, nonché pubblicamente raccontata, come norma anti-rom, (non ho memoria di una norma della nostra Repubblica voluta per colpire un’etnia) partendo dal pregiudizio che le donne rom siano tutte dedite al furto e che scelgano la maternità per sottrarsi alla carcerazione. Eppure, i dati ci dicono altro: le donne rom in carcere sono poche decine e tale esiguità dovrebbe da sola scardinare ogni pregiudizio. Il rinvio, che oggi è obbligatorio, non solo diventa facoltativo ma può essere rifiutato laddove si ritenga che la donna possa commettere ulteriori reati. Lo abbiamo detto durante la discussione alla Camera e stiamo continuando a farlo ora in Senato: con questa norma, il governo riesce a peggiorare persino il codice Rocco di epoca fascista, facendo fare al nostro paese un salto indietro di decenni.
Eppure la nostra carta Costituzionale detta all’art.31 la tutela della maternità, dell’infanzia e della gioventù, sancendo l’interesse del minore. Nella stessa direzione le disposizioni internazionali e sovranazionali che ne arricchiscono e completano il significato. D’altronde l’art. 3 della Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza sancisce con estrema chiarezza il principio che in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l’interesse del bambino o dell’adolescente sia preminente. Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea all’art.24 ribadisce la preminenza dell’interesse superiore del minore, con l’obiettivo di garantirgli la protezione e le cure necessarie al suo benessere.
Questi bambini, detenuti anche loro pur non avendo colpe, sono costretti, sin dalla nascita, a pagare le colpe delle madri, eppure una consolidata evidenza scientifica conferma che i primissimi anni di vita dei bambini, al pari della gestazione, sono fondamentali per il loro sviluppo cognitivo. Farli nascere e crescere in carcere significa mettere a rischio il loro sviluppo, pregiudicare il loro futuro. Questa norma esporrà un numero sempre maggiore di detenute incinte ad un rischio per la loro salute, come drammaticamente hanno evidenziato alcuni casi avvenuti all’interno degli Istituti penitenziari. Abbiamo chiesto e continueremo a chiedere di stralciare dal ddl sicurezza questa norma. Avevamo sperato in una presa di coscienza di alcuni partiti della maggioranza affinché si potesse modificare un testo iniquo che se la prende con gli ultimi. Con i fragili, con chi non può difendersi.
La legge 62 del 2011 prevede l’istituzione delle case famiglia protette che, a differenza delle carceri o degli Icam, sarebbero luoghi maggiormente idonei ad ospitare un minore, luoghi pensati per rispondere alle difficoltà incontrate nell’accedere a misure alternative alla detenzione da detenute madri prive di un domicilio ritenuto adeguato dalla magistratura. Spazi di esecuzione penale che hanno dimostrato di funzionare e che potrebbero rappresentare una migliore soluzione per conciliare l’aspetto della certezza della pena con l’interesse superiore del minore. Per questo continueremo a chiedere il rifinanziamento del fondo per la realizzazione delle case famiglia protette, riteniamo che debbano essere presenti in tutte le regioni.
Pochi giorni fa nel comune di Quarto, in Campania, una villa confiscata alla mafia è stata destinata a casa famiglia per madri detenute. Dopo l’esperienza di Milano e di Roma, questa è la terza casa famiglia nel nostro paese. Cinque bambini sono reclusi nell’istituto a custodia attenuata di Lauro, in Campania, due nel carcere di Rebibbia, due a Milano San Vittore, quattro nel carcere della Giudecca a Venezia, due a Torino Le Vallette, uno nel carcere di Sassari ed un altro minore nel carcere di Reggio Calabria. Dal nord al sud, un’ingiustizia profonda che attraversa il Paese. Questi bambini sono in carcere non avendo colpe, a loro stiamo facendo scontare quelle degli adulti: delle madri che hanno commesso un reato e di quelli che, accecati dal furore ideologico, non gli consentono di vivere la loro infanzia.
All’Icam di Lauro, dove ci eravamo recati in visita con altri colleghi parlamentari per verificare le condizioni loro e delle detenute madri, abbiamo trovato personale premuroso, stanze ordinate e ben tenute ed un’area esterna attrezzata per il gioco. La cucina ed i luoghi comuni erano curati ed ampi. Abbiamo passato un intero pomeriggio nell’Istituto, abbiamo giocato con loro e ci hanno raccontato della mattina a scuola. Abbiamo avuto un’impressione di normalità. Poi, nel momento dei saluti, una bambina è scoppiata in un pianto inconsolabile e tra le lacrime ci ha detto: “Non andate via che io poi rimango da sola”. Quella bambina era poco più piccola della mia.