Il massacro di bambini

Bimbi di Terra Santa senza un grotta per ripararsi: l’infanzia violata da bombe e odio a Gaza e nei kibbutz

L’infanzia rubata, violata, a Gaza e nei kibbutz. “Nel mondo ci prepariamo a celebrare il Natale, ma questa guerra dovrebbe perseguitarci”, dicono gli operatori umanitari in preda al senso di impotenza. La stesso dei medici che assistono gli ostaggi di Hamas: “In nessun manuale c’è scritto come curare i bambini tornati dalla prigionia”

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

25 Dicembre 2024 alle 11:23

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AP Photo/Abdel Kareem Hana
AP Photo/Abdel Kareem Hana

Se Gesù bambino rinascesse a Gaza non avrebbe una grotta in cui ripararsi. Gesù bambino vivrebbe la stessa condizione dei bimbi di Gaza. Anche Giuseppe e Maria in fuga dall’Egitto passarono per Gaza, ma oggi un bambino della Striscia se la sogna una grotta con la mangiatoia: le mamme dormono all’aperto, per lasciare ai figli il pavimento d’una scuola o la sedia d’un ospedale. «È con dolore che penso a Gaza, a tanta crudeltà, ai bambini mitragliati, alle scuole e agli ospedali bombardati. Questa è crudeltà, questa non è guerra. Voglio dirlo perché tocca il cuore», dice commosso Papa Francesco al termine della preghiera domenicale dell’Angelus, e prim’ancora nell’incontro per gli auguri alla Curia.

La testimonianza dell’Unicef

Quei bimbi gazawi, mitragliati, affamati, amputati, vogliamo raccontarli con la testimonianza toccante di Rosalia Bollen, Communication Specialist dell’Unicef: «I bambini di Gaza hanno freddo, sono malati e sono traumatizzati. La fame e la malnutrizione, e le condizioni di vita generali, continuano a mettere a rischio la loro vita. In questo momento, oltre il 96% delle donne e dei bambini di Gaza non può soddisfare i propri bisogni nutrizionali di base. La maggior parte sopravvive con farina, lenticchie, pasta e cibo in scatola razionati, una dieta che compromette lentamente la loro salute.

Gaza deve essere uno dei luoghi più strazianti del mondo per gli operatori umanitari. Ogni piccolo sforzo per salvare la vita di un bambino viene vanificato dalla feroce devastazione. Per oltre 14 mesi, i bambini sono stati al centro di questo incubo, con – secondo le notizie – più di 14.500 bambini uccisi e migliaia di altri feriti. La scorsa settimana ho incontrato Saad, cinque anni. Ha perso la vista in un bombardamento, ha riportato una ferita alla testa e ustioni. Quando l’ho incontrato questa settimana, mi ha detto: “I miei occhi sono andati in cielo prima di me”. Mentre parlavamo, un aereo è passato sopra di noi. Si è bloccato, ha urlato e si è aggrappato a sua madre. Vedere questo bambino, da poco diventato cieco, in un’angoscia così profonda, è stato insopportabile.

Mentre ci avviciniamo alla fine dell’anno, un periodo in cui il mondo si sforza di celebrare la famiglia, la pace e l’unione, a Gaza la realtà per oltre un milione di bambini è la paura, la privazione totale e una sofferenza inimmaginabile. La guerra contro i bambini a Gaza ci ricorda la nostra responsabilità collettiva. Una generazione di bambini sta subendo la brutale violazione dei propri diritti e la distruzione del proprio futuro. Le storie che ho sentito negli ultimi mesi mi tormenteranno per sempre. Permettetemi di condividerne una: quest’estate abbiamo incontrato un bambino, anche lui di nome Saad, di sette mesi. Il miracolo di sua madre dopo anni di tentativi di concepimento. A sette mesi pesava solo 2,7 chilogrammi, una frazione di quanto avrebbe dovuto pesare un bambino della sua età. Undici giorni fa, il suo fragile corpo ha ceduto dopo non aver ricevuto abbastanza cibo. È nato in guerra e ha lasciato questo mondo senza avere la possibilità di vivere in pace. Non riesco nemmeno a immaginare la profondità della sofferenza dei suoi genitori. La sofferenza non è solo fisica. È anche psicologica.

L’inverno è ormai sceso su Gaza. I bambini sono infreddoliti, bagnati e scalzi. Molti indossano ancora abiti estivi. Senza il gas per cucinare, molti cercano tra le macerie dei pezzi di plastica da bruciare. Le malattie stanno devastando i loro piccoli corpi, mentre gli ospedali sono in condizioni difficili, continuamente sotto attacco. L’assistenza sanitaria è in ginocchio: gli ospedali mancano di medicinali, forniture mediche e medici. La situazione è aggravata dal perdurare di un blackout elettrico quasi totale, che rende gli ospedali e altre infrastrutture critiche interamente dipendenti dalle scarse importazioni di carburante. Ci sono cose immediate che tutti noi possiamo fare oggi per rendere la vita di questi bambini un po’ più sopportabile. Possiamo usare la nostra voce, il nostro capitale politico e la nostra influenza diplomatica per chiedere l’evacuazione dei bambini gravemente feriti e dei loro genitori da Gaza e per cercare cure mediche salvavita a Gerusalemme Est o altrove.

Mentre molti di noi si avviano verso le celebrazioni del Natale e del nuovo anno, circondati da tante cose, prendiamoci un momento per pensare a questi bambini, che hanno così poco e continuano a perdere di più, giorno dopo giorno. Usate il vostro potere, usate la vostra influenza per spingere per un cessate-il-fuoco e per l’ingresso di aiuti su larga scala. Ogni giorno senza azione ruba un altro giorno ai bambini di Gaza. Ogni ritardo costa altre vite. Questa guerra dovrebbe ‘perseguitarci’ tutti. I bambini di Gaza non possono aspettare».

I racconti dei bambini di Gaza

Ghazal, ad esempio, una giovane ragazza di 15 anni con paralisi cerebrale, ha detto di aver perso i suoi ausili per l’autonomia in un attacco alla sua casa a Gaza City l’11 ottobre: «Ero un peso per loro [per la mia famiglia], un carico extra insieme ai loro averi. Non riuscivo a trovare alcun mezzo di trasporto. Ho rinunciato e mi sono seduta per terra in mezzo alla strada, piangendo. Ho detto loro di andare avanti senza di me». «Da grande vorrei fare l’infermiera. Spero che la guerra finisca subito. Amo tutti i bambini, non voglio che muoiano come noi». È il sogno di Salwa Elvan, 8 anni, di Rafah, uno dei gironi infernali di Gaza. «Quando la guerra finisce, voglio diventare poliziotto. E arrestare chi ci ha fatto questo», dice Abud S. 10 anni, di Rafah.

Racconta Lila, 12 anni e mezzo, che in un attacco israeliano aveva riportato gravi ustioni alle gambe: «Vivo in una condizione di soffocamento, ma dico a me stessa: ‘No, Lila, tu non soffochi, tu stai respirando. Devo vivere con le gambe ustionate e con il cuore spezzato, ma sono una sorella maggiore di 12 anni e mezzo e devo dimostrare alle più piccole quanto sono forte. Devo comportarmi come se tutto andasse bene, come se tutto dovesse andare bene. Ma quando vado a dormire ricordo il mio dolore, la mia perdita. Mi ricordo delle bugie che ho detto alle mie sorelle, che il mondo è consapevole dei crimini di Israele, che il mondo li vede e che troverà il modo di salvarci perché siamo bambine e abbiamo dei diritti». «Non abbiamo cibo e beviamo acqua non potabile. Ora veniamo qui a gridare a voi e chiedervi di proteggerci. Noi vogliamo vivere come tutti gli altri bambini», è un passaggio dell’appello ai media, letto da 14 ragazzini davanti all’ospedale Al-Shifa di Gaza City. Chi non potrà raccontare la sua storia è Mustafa, 8 anni. Mustafa, che era andato a prendere del prezzemolo per la cena di famiglia. È stato ucciso con un colpo di pistola alla testa, nella “zona sicura” di Al-Mawasi, la zona in cui i bambini e le famiglie di Rafah dovrebbero ora fuggire.

Il dramma dei bambini israeliani rapiti da Hamas

Ma l’infanzia negata, violata, spezzata, riguarda anche i bimbi israeliani. Quelli massacrati dai miliziani di Hamas e del Jihad islamico quel terrificante 7 ottobre 2023. Quel giorno furono ritrovati i corpi senza vita, martoriati, di 2 neonati, 12 sotto i 10 anni, 36 tra i 10 e i 19. Su Haaretz, l’illuminato quotidiano israeliano, compaiono i loro volti. Da vivi. Il loro sorriso, la loro bellezza. E la memoria va ai volti dei bimbi che riempiono, tra specchi che moltiplicano all’infinito, tante fiammelle quanti sono stati i bimbi ebrei uccisi nelle camere a gas nei lager nazisti, il Museo dei bambini della Shoah, lo Yad Vashem, a Gerusalemme. Il pensiero va a Abigail, Raz, Aviv, Yuval, Emilia, Ofri e gli altri bambini brutalmente sottratti alla loro infanzia dai terroristi di Hamas il 7 ottobre, tornati a casa da alcuni mesi. Quella esperienza li segnerà per sempre.

Lo Schneider Children’s Medical Center of Israel ha accolto 19 dei 38 bambini al momento del rilascio. Efrat Bron Harlev è la CEO della struttura. «Dei 253 rapiti, 38 erano bambini – racconta – , e penso a Kfir Bibas, che aveva 8 mesi, 8 mesi! Abbiamo trattato feriti in situazioni disperate, ma neppure nei peggiori incubi avremmo immaginato di dover preparare terapisti, assistenti sociali e personale ospedaliero al ritorno di bambini deportati, bambini di 3, 4, 5, 8, o 14 anni che tornavano dalla prigionia. Abbiamo cercato nelle pubblicazioni scientifiche, ma non abbiamo trovato nulla. Abbiamo così creato nuovi protocolli, sapevamo che avremmo dovuto essere molto flessibili, che avremmo dovuto adattare i protocolli ai bambini…».

«Abigail ha 4 anni, i terroristi le hanno ucciso i genitori davanti ai suoi occhi. Lei è riuscita a correre via, si è rifugiata in casa dei vicini, ma poi è stata portata a Gaza con una donna e i suoi tre figli. È rimasta senza nessuno dei suoi parenti stretti, papà e mamma morti, senza poter gridare, singhiozzare, lavarsi semplicemente i denti… Come dobbiamo curare questa bambina? In certi momenti ci sentiamo impotenti – dice Omer Niv, vicedirettore e pediatra dello Schneider Children’s Medical Center, abbassando la voce di fronte a un dramma così schiacciante – Non sappiamo come sarà la loro situazione mentale domani, tra anni. Ci vorrà molto tempo. Questi bambini probabilmente avranno bisogno di essere curati per tutta la vita», riconosce il vicedirettore dello Schneider. «Pensavo ai miei figli rapiti e mi chiedevo quali cose che avevo insegnato loro avrebbero potuto aiutarli nella prigionia. Vi ho insegnato tutto quello che dovevo, pensavo. Mi dispiace di non avervi insegnato come sopravvivere da ostaggio» dice Mirit Regev, madre degli ostaggi rilasciati Maya e Itay. E aggiunge: «Non sai come piangerà tuo figlio quando tornerà dalla prigionia».

«Nella spirale dell’odio più crudele dal 7 ottobre ci sono i bambini di tutti i colori e le religioni e appartenenze che mi trovano come una nonna disperata – ha affermato la senatrice a vita Liliana Segre nel suo intervento all’Università Statale di Milano dove ha ricevuto una laurea honoris causa – Perché i bambini sono il futuro e vengono uccisi per l’odio degli adulti che non si ferma mai, loro che sarebbero il futuro dei popoli fratelli. Questo mi ha dato una forma di disperazione serale, quando affronto la notte». Vivere la propria infanzia. È il più grande regalo di Natale per i bimbi di Gaza e d’Israele.

25 Dicembre 2024

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