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Il dramma di Aminatou, in fondo al mare non ha più paura…

Presenze non utili a nessuno, ciascuna con una sola domanda, in lingue e toni diversi ma sempre la stessa: perché?

Cronaca - di Ammiraglio Vittorio Alessandro

27 Dicembre 2024 alle 16:00

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AP Photo/Maria Ximena – Associated Press/LaPresse
AP Photo/Maria Ximena – Associated Press/LaPresse

La prima a risvegliarsi, nell’oscurità del mare profondo, è Aminatou. Si guarda intorno per un attimo, come le mamme che al mattino ripetono a mente le cose da fare. Dà una carezza ad Hassane che dorme accanto a lei, lui si risveglia e la guarda. Ha tre anni e indossa una felpina rossa. Il vuoto intorno non gli fa paura, la calma e il silenzio hanno cancellato grida, onde, il grande terrore. Aminatau e Hassane si alzano lentamente e si mettono in cammino. Non sappiamo quale alito di vita li sospinga, quale stella marina li stia guidando verso un luogo cercato anni fa, prima che la barca affondasse.

Vanno, la mano di Hassane in quella forte della mamma, e i loro corpi, di una consistenza opaca, quasi trasparente, non portano più l’oltraggio del mare, dei pesci voraci, del tempo trascorso. Camminano sulla grande distesa di fango e, sul lungo percorso, dai barchini in ferro e dai legni dei vecchi relitti altri corpi appannati si levano nel buio, unendosi nella stessa direzione. Vanno Luia, giovane eritrea incinta del frutto mai visto di uno stupro; Maden di sei anni, che stava ancora giocando quando la barca si capovolse; Alhassane con in braccio il piccolo Houseine; Tahirou, che ha ancora le cuffie alle orecchie per chissà quale musica; Ibrahim, che stringe un gualcito diploma scolastico. Gli esseri luminescenti che nuotano a quelle profondità li osservano distratti: i migranti in cammino – cento, mille, poi sempre di più – procedono lentamente, fianco a fianco, sembrano i contadini di un vecchio dipinto.

Sono nigeriani, tunisini, egiziani, siriani, gambiani e di tanti paesi remoti, qualcuno riconosce l’altro con un sorriso. A loro si è unito, chissà come, Boboucar, suicidatosi in una cella libica, e gli altri scomparsi nelle prigioni, poi anche i molti migranti sepolti nei più sperduti cimiteri siciliani. Sospinti da qualcosa, forse da un comando sconosciuto, procedono lentamente. Dagli oltre cinquemila metri delle profondità fangose del Mediterraneo raggiungono i primi riflessi di luce, i coralli, le attinie dai colori danzanti, luoghi luminosi frequentati da un numero sterminato di creature. Camminano insieme nel silenzio, i più piccoli corrono avanti per qualche metro per poi ricongiungersi agli altri, gli occhi sgranati per cogliere ogni cosa intorno.

Vanno, ognuno con un nome e una storia diversa, e raggiungono finalmente le acque basse e sabbiose emergendo, uno a uno, a pochi metri dalla riva siciliana. Sono quaranta o cinquantamila, forse di più, e a nessuno di loro serve ormai soccorso o accoglienza. Nel piccolo paese di mare in cui sono approdati ci si prepara al Natale, quest’anno più disadorno e distratto dei precedenti. La gente a terra si muove frettolosa, in attesa di festeggiare un bambino povero e straniero la cui storia, ormai anch’essa appannata, attende un altro risveglio.

I primi a vedere quella umanità affiorante dal mare sono i pescatori che, a quella vista, risentono nelle ossa la paura che più di una volta li colse in mezzo al mare. Gli annegati, fermi, statua di se stessi, sembrano attendere qualcosa. Nulla sanno della terra di approdo, non ne comprendono la lingua e le leggi. Ne riconoscerebbero soltanto gli sguardi e le carezze, ché sono uguali in ogni parte del mondo. Presenze non utili a nessuno, ciascuna con una sola domanda, in lingue e toni diversi ma sempre la stessa: perché?

*Ammiraglio

27 Dicembre 2024

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